Ecclesia Dei. Cattolici Apostolici Romani

LA MESSA E' VERO SACRIFICIO?, Indagine alla luce della dottrina tomista

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TotusTuus
view post Posted on 13/5/2006, 21:56     +1   -1




IL SACRIFICIO DELLA MESSA

La principale questione relativa all'essenza del Sacrificio della Messa non è impostata allo stesso modo all'epoca di S. Tommaso e dopo l'apparire del protestantesimo. l'Angelico nella Summa Theologiae, IIII, q. 83, a. 1 ha formulato molto esplicitamente l'obiezione che verrà ripresa e sviluppata dai protestanti.

1° Nel secolo XIII i teologi impostano generalmente il problema in questi termini: "Utrum in celebratione hujusce sacramenti (Eucharistiae) Christus immoletur" (S. T., III, q. 83, a.1); e rispondono comunemente con Pietro Lombardo impiegando la distinzione di S. Agostino, Lettera a Bonifacio: "Semel immolatus est in semetipso Christus, et tamen quotidie immolatur in sacramento", ossia immolatur sacramentaliter, non realiter seu physice sicut in cruce. Secondo questi teologi nella Messa non c'è immolazione reale ossia fisica del corpo di Cristo, perchè Egli è ora glorioso e impassibile, ma c'è un'immolazione sacramentale. Questo era il modo di parlare usato già comunemente dai Padri. Tale modo di esprimersi è ripetuto da Pietro Lombardo, IV Sent., dist. VIII, n. 2 e dai suoi commentatori, specialmente da S. Bonaventura e da S. Alberto Magno.
S. Tommaso dice nel citato articolo 1: "Respondeo dicendum quod duplici ratione celebratio huius sacramenti dicitur Christi immolatio. Primo quidem quia, sicut Augustinus dicit, ad Simplicianum, solent imagines earum rerum nominibus appellari quarum imagines sunt, sicut cum, intuentes tabulam aut parietem pictum, dicimus, ille Cicero est, ille Sallustius. Celebratio autem huius sacramenti, sicut supra dictum est, imago est quaedam repraesentativa passionis Christi, quae est vera immolatio. Unde Ambrosius dicit, super epistolam ad Heb., in Christo semel oblata est hostia ad salutem sempiternam potens. Quid ergo nos? Nonne per singulos dies offerimus ad recordationem mortis eius? Alio modo, quantum ad effectum passionis, quia scilicet per hoc sacramentum participes efficimur fructus dominicae passionis."
S. Tommaso aveva detto prima (q. 74, a.1; q. 76, a. 2, ad 1um) che come sulla croce il corpo e il sangue di Cristo furono separati fisicamente, così nella Messa sono separati sacramentalmente mediante la duplice consacrazione, nel senso che la sostanza del pane è convertita nel corpo di Cristo e la sostanza del vino in quella del suo Prezioso Sangue. In tal modo Cristo è realmente presente sull'altare in stato di morte, il suo Sangue non è sparso fisicaemnte, ma sacramentalmente, sebbene il corpo di Cristo sia per concomitanza sotto le speci del vino e il suo sangue sotto quelle del pane.

2° Dopo la comparsa del protestantesimo il quale ha negato che la Messa sia un vero sacrificio, i teologi cattolici impostano la questione in modo un po' diverso, cioè non più "Utrum in celebratione hujusce sacramenti (Eucharistiae) Christus immoletur", ma "Utrum Missa sit verum sacrificium, an solum memoriale praeteriti Crucis sacrificii".
Ma S. Tommaso non ignorava l'obiezione principale che fanno i protestanti, ed egli la formula in questi termini (a. 1, 2a object.): Immolatio Christi facta est in cruce, in qua tradidit sementipsum oblationem et hostiam Deo in odorem suavitatis, ut dicitur ad Ephes., V. Sed in celebratione hujusce mysterii Christus non crucifigitur, ergo nec immolatur.” Il S. Dottore risponde, ad 2um, che nella Messa non c’è l’immolazione cruenta della Croce, ma con la presenza reale di Cristo c’è la sua immolazione figurata, memoriale della immolazione precedente.
L’obiezione ritorna in forma diversa presso Lutero, Calvino, Zwingli, il quale ultimo diceva: ”Christus semel tantum mactatus est, et sanguis semel tantum fusus est. Ergo semel tantum oblatus est”.
L’obiezione vuol dire questo, che cioè ogni vero sacrificio comporta un’immolazione reale della vittima offerta; ora nella Messa non c’è immolazione reale del corpo di Cristo che è ora glorioso e impassibile: dunque la Messa non è vero sacrificio.
Alla critica risponde il Concilio di Trento ricordando la dottrina comunemente insegnata dai Padri e dai teologi del XIII secolo, specialmente da S. Tommaso e distingue l’immolazione cruenta e la immolazione incruenta o sacramentale (Cfr. Concilio Tridentino, sessione XXII, c. 1).
Ogni vero sacrificio comporta l’immolazione reale della vittima offerta? Questo si richiede in ogni sacrificio cruento, ma non nel sacrificio incruento della Messa, nel quale basta che ci sia un’immolazione incruenta o sacramentale che rappresenta l’immolazione cruenta della croce e ne applica i frutti. E’ quanto aveva detto, in sostanza, S. Tommaso (III, q. 83, a. 1). E così hanno risposto alle obiezioni protestanti i migliori tomisti, specialmente il Gaetano, Opusc. De Missae sacrificio et ritu adversos Lutheranos, 1531, c. 6: ”Modus incruentus sub specie panis et vini oblatum in cruce Christum immolatitio modo repraesentat”.. Parimenti Giovanni di S. Tommaso; Cursus theolog., De Sacramentis, ediz. Parigi 1667, disput. XXXII. Questa tesi, in base alla quale la doppia consacrazione non costituisce immolazione reale ma solo sacramentale, è stata riproposta da teologi e tomisti quali il Card. Billot, Tanquerey, Pégues, Héris, ecc.
Basta l’immolazione sacramentale perchè la Messa sia un vero sacrificio? Secondo i tomisti ciatati sopra, basta per due ragioni: perchè nel sacrificio in generale l’immolazione esterna è sempre in genere signi, perchè è il segno dell’immolazione interiore “del cuore contrito ed umiliato”, e senza quest’ultima essa non avrebbe nessun valore, come il sacrificio di Caino che era soltanto un simulacro di un rito religioso. Come dice S. Agostino in un testo citato spesso da S. Tommaso: ”Sacrificium visibile invisibilis sacrificii sacramentum, id est sacrum signum, est” (De civit. Dei; crf. S. Tomm., II-IIae, q. 81, a. 7; q. 85, a. 2 c. e ad 2um).
Anche nel sacrificio cruento l’immolazione esterna d’un animale non è richiesta come uccisione fisica, ma come segno di un’oblazione, di un’adorazione e di una contrizione interna, senza di che l’immolazione stessa non avrebbe alcun senso religioso, né alcun valore. Se così è, si capisce come possa esserci un sacrificio reale e incruento, la cui immolazione sia solo sacramentale, in genere signi, senza la separazione reale o fisica del corpo e del sangue del Redentore che adesso è impassibile. Del resto l’immolazione sacramentale è in tal modo il memoriale della immolazione cruenta del Calvario, di cui si applica i frutti, e l’Eucarestia contiene Christum passum, cioè Cristo che una volta ha realmente sofferto. Inoltre l’immolazione del Verbo Incarnato che avviene nella Messa, sebbene soltanto sacramentalmente, è un segno di adorazione riparatrice molto più espressivo che non l’immolazione cruenta di tutte le vittime dell’Antico Testamento. S. Agostino e S. Tommaso non esigono certo di più per la Messa, come immolazione, che l’immolazione sacramentale.
Questo si comprende anche per una seconda ragione, e cioè perchè l’Eucarestia è insieme sacramento e sacrificio.
Non ne segue però che per S. Tommaso la Messa sia soltanto un’oblazione. Egli scrive infatti: ”Sacrificia proprie dicuntur quando circa res Deo oblatas aliquid fit, sicut quod animalia occidebantur, quod panis frangitur et comeditur et benedicitur. Et hoc ipsum nomen sonat, nam sacrificium dicitur ex hoc quod homo facit aliquid sacrum. Oblatio autem directe dicitur cum Deo aliquid offertur, etiam si nihil circa ipsum fiat, sicut dicuntur offerri denarii vel panes in altari, circa quos nihil fit. Unde omne sacrificium est oblatio, sed non convertitur" (II-IIae, q. 85, a. 3, ad 3um).
Il sacrificio della Messa non è una semplice oblazione, ma un vero sacrificio, quia aliquid fit circa rem oblatam, cioè la duplice transustanziazione che è la condizione necessaria della presenza reale e il sostrato indispensabile della immolazione sacramentale.

3° Il Santo Dottore insiste su un altro punto fondamentale: Il sacerdote principale che offre attualmente la Messa è Cristo medesimo, di cui il celebrante non è che il ministro, il quale al momento della consacrazione non parla in nome proprio, né precisamente in nome della Chiesa, come quando dice Oremus, ma in nome del Salvatore. S. Tommaso dice: ”Hoc sacramentum tantae est dignitatis quod non conficitur nisi in persona Christi “ (III, q. 82, a. 1); “Sacerdos in Missa in orationibus quidem loquitur in persona Ecclesiae, in cuius unitate consistit. Sed in consecratione sacramenti loquitur in persona Christi, cuius vicem in hoc gerit per ordinis potestatem" (III, q.82, a. 7, ad 3um). Mentre quando battezza il sacerdote dice “Ego te baptizo” (Io ti battezzo), e quando assolve: “Ego te absolvo” (Io ti assolvo), quando consacra non dice: “Ego panem hunc consecro”, ma: “Hoc est corpus meum” (crf. a. 4). Il celebrante parla in nome di Cristo di cui è ministro e strumento. Non dice: “Questo è il corpo di Cristo”, ma “Hoc est corpus meum”, e non lo dice riportando semplicemente delle parole passate, ma come formula pratica che produce immediatamente ciò che significa, cioè la transustanziazione e la presenza reale. Mediante la voce e il ministero del celebrante è Cristo stesso, sacerdote principale, che consacra, sì che la consacrazione fatta da un sacerdote legittimamente ordinato è sempre valida, qualunque sia la sua indegnità personale (q.82, aa. 5, 6; q. 83, a. 1, ad 3um).
Ma basterà dire con alcuni teologi che Cristo non offre attualmente ma virtualmente la Messa, in quanto la istituì una volta ordinando di offrire il sacrificio sino alla fine del mondo?
Secondo S. Tommaso e i suoi discepoli questo sarebbe un diminuire l’influsso di Cristo. In realtà Egli offre attualmente ogni Messa, come sacerdote principale. Se il ministro, colto da distrazione in quel momento, ha soltanto un’intenzione virtuale, Cristo, sacerdote principale, vuole attualmente quella consacrazione e quella transustanziazione; inoltre, secondo S. Tommaso, la sua umanità è la causa strumentale fisica della doppia transustanziazione. (III, q. 62, a. 5).
Il Concilio di Trento afferma: “Un eademque est hostia, idem nunc offerens sacerdotum ministerio qui seipsum tunc in cruce obtulit, sola offerendi ratione diversa”. Sostanzialmente è lo stesso sacrificio, perchè è la stessa vittima e lo stesso sacerdote principale che l’offre attualmente, ma il modo è diverso, perchè l’immolazione non è più cruenta, ma sacramentale, e l’oblazione non è più dolorosa, né meritoria (Cristo infatti non è più viator).Però l’oblazione di adorazione riparatrice, di intercessione, di rendimento di grazie è sempre viva nel Suo cuore ed è come l’anima del sacrificio della Messa.
Il valore infinito di ogni Messa è affermato dai maggiori tomisti. Esso si fonda sulla dignità della vittima offerta e del sacerdote principale, perchè è sostanzialmente lo stesso sacrificio di quello della croce, sebbene l’immolazione sia sacramentale e non cruenta. Quindi una sola Messa può giovare tanto a diecimila persone ben disposte che ad una sola, come il sole riscalda ed illumina ugualmente bene tanto diecimila uomini che uno solo. Le obiezioni contro questa dottrina perdono di vista la infinita dignità della vittima offerta (valore oggettivo) e del sacerdote principale (valore personale di ogni atto teandrico di Cristo).

Approfondimento:

Bollettino "UNA VOCE Dicentes" ANNO III/n° 1 (Gennaio-Giugno 2004)

Edited by TotusTuus - 14/5/2006, 13:29
 
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dante pastorelli
view post Posted on 15/5/2006, 12:48     +1   -1




LA S. MESSA E' VERO SACRIFICIO

Poiché Totus Tuus ha sopra richiamato il numero A. III. N.1 (gennaio-giugno 2004) del mio bollettino UNA VOCE DICENTES, organo della sezione fiorentina di UNA VOCE, reputo opportuno pubblicare i due interventi sull'argomento cui allude: un breve ma denso ed esauriente saggio che mons. Gherardini ebbe la carità di scrivermi, ed un mio articolo.


L’illuminante parere di un grande teologo

LA S. MESSA E’ VERO SACRIFICIO

di mons. BRUNERO GHERARDINI

Nell’ultimo numero di questo bollettino ho commentato il rifiuto opposto dal Vescovo di Pistoia, mons. Simone Scatizzi, alla celebrazione della S. Messa secondo il Messale di S. Pio V e ne ho contestato, oltre alle deboli argomentazioni (secondo le quali i fedeli legati all’antico rito chiederebbero l’applicazione dell’indulto per meri motivi di cultura e compiacenza letteraria) la seguente affermazione, priva di seria motivazione e giustificazione nella sua schematicità: “Vede, per me, la Messa è un sacrificio unico e irripetibile”, perché irripetibile (nel significato di non replicabile) è soltanto il Sacrificio cruento di Cristo sulla Croce, il Sacrificio “storico”, insomma.
In questo civile dibattito si è inserito un sacerdote non privo di fama, il quale, a sostegno delle posizioni di mons. Scatizzi, mi ha scritto una lettera “personale” che, se in qualche parte è inopportunamente pretenziosa quanto generica (fra l’altro mi accusa di ricorrere a sofismi), altrove appare interessante per la conferma che offre alla mia convinzione più volte espressa che, nel dopo-concilio, regna una grande confusione persino sull’essenza della S. Messa.
Non credo di violare nessun codice di onore né la privacy del corrispondente se qui riporto una sua tesi assai ambigua al limite dell’eresia e, successivamente, rendo pubblica la mia risposta più articolata. Non è ammissibile che un sacerdote non abbia il coraggio di esprimere apertis verbis e sottoscrivere con nome e cognome ciò che egli ritiene essere “verità”: in fondo, è inderogabile dovere della sua missione parlare, correggere, istruire. Comunque, alla mia lettera, con la quale lo informavo che intendevo utilizzare le sue critiche osservazioni al fine di approfondire la discussione sull’argomento, con accorgimenti tali, tuttavia, da garantirgli l’anonimato e l’impossibilità di risalire alla sua persona, non è pervenuto, a distanza di cinque mesi, alcun riscontro negativo. Silenzio – assenso.
Ecco, dunque, il concetto controverso esposto dall’interlocutore: “Il sacrificio di Cristo è unico e irripetibile; la S. Messa non lo ripete, lo attualizza. Si ripete il rito non la realtà sacramentale che sta nel rito, che è appunto l’unico sacrificio di Cristo”.
Per elevare il tono del dibattito mi sono rivolto ad un’autorità di indiscusso valore, il mio vecchio Assistente FUCI, mons. Brunero Gherardini, già professore preso la Pontificia Università Lateranense, direttore della prestigiosa rivista “Divinitas”, postulatore per la causa di canonizzazione del beato Pio IX, autore di molte opere che ne hanno fatto, a detta di esperti non certo “compiacenti” e superficiali, quali il defunto esegeta mons. Francesco Spadafora, il massimo teologo italiano vivente, apprezzatissimo, oltre che ben noto, ecclesiologo e tra i più eccelsi cultori di Luterologia.
A lui ho posto la seguente domanda:
“Il Sacrificio di Cristo è unico e irripetibile? La Santa Messa ripete solo il rito di questo sacrificio, o il Sacrificio stesso? ”.
Trascrivo alla lettera la risposta del caro amico, venerato maestro ed illustre teologo.

Dante Pastorelli


La domanda ha una doppia articolazione che soltanto un intero trattato potrebbe prendere esaurientemente in esame. Dovrò invece procedere schematicamente per sommi capi.
1 – Sì, il Sacrificio di Cristo è unico. Fu offerto una volta per sempre in modo cruento sulla Croce (Ebr 9,11-22). In modo sacramentale, cioè “per re-praesentationem non cruentam in ritu et per ritum” venne anticipato il Giovedì Santo dallo stesso Signore e, da allora, viene offerto in ogni singola Messa (Trident., Sess. XXII DS 1738-42).
2 – E’ irripetibile? Sì, quanto alla sua forma cruenta; no, quanto alla sua forma sacramentale. Occorre peraltro notare che l’aggettivo irripetibile, nell’uso oggi frequente dal quale dipende certamente la domanda, è linguisticamente un neologismo e dogmaticamente un errore gravissimo: a) In origine l’aggettivo non ha il senso di unico e quindi non duplicabile né rinnovabile; questo senso è una forzatura indotta dal significato corrente di ripetere, ossia fare o dire di nuovo. L’etimo latino nega la legittimità di tale forzatura. In latino repeto ha un unico significato: chiedo indietro, esigo (un diritto, la restituzione, un pagamento). Irripetibile, perciò, nega la possibilità stessa di repeto e significa: che non può esser richiesto, né rivendicato, che non può esser restituito, di cui non deve chiedersi il pagamento. b) Dogmaticamente, arieggia l’eresia luterana, contro la quale il Tridentino fu chiaro e perentorio: “…quo cruentum illud semel in cruce peragendum repraesentaretur eiusque memoria in finem usque saeculi permaneret” (Sessio XXII, DS 1740). Son parole, queste, che hanno un loro valore sullo sfondo di quelle usate da Lutero per sostenere il contrario.
3 – La questione del rito, così com’è posta, parrebbe ignorare il valore liturgico-sacramentale del rito stesso. Non si dà un sacramento separato dal rito; il rito stesso, se debitamente posto, è l’ “opus operatum” del sacramento. Si deve dedurne che una separazione della Messa dal rito è un non senso. Se poi a tale separazione si desse la funzione di separare il Sacrificio di Cristo dalla Santa Messa, non solo ne riemergerebbe l’eco dell’eresia luterana, ma tale eco sarebbe nuovamente azzerata e condannata dal Tridentino: “Si quis dixerit Missae sacrificium tantum esse…nudam commemorationem sacrificii in cruce peracti…anathema sit”. (Trident., Sess. XXII DS 1753).
4 – E’ mia impressione che tutto dipenda da una mal intesa re-praesentatio. Il senso medievale dell’espressione è ben lungi dal presunto superamento di essa mediante l’inflazionata attualizzazione; è infatti dimostrato che proprio questo, non su base puramente linguistica, ma in connessione con la teologia del sacramento, è il senso di re-praesentatio. E questo fu anche il merito della scuola di Maria Laach, con particolare riferimento a Odo Casel, che pure non fu privo d’esagerazioni quando parlava del ripresentarsi hic et nunc (nel fatto sacramentale) del passato evento o mistero in tutte le sue proprietà e circostanze di tempo e di luogo. Se spogliata di siffatte esagerazioni, la sua Vergegenwartigung (“denuo sistere in praesens”, portare il passato nel presente) e collocata all’interno dell’efficacia sacramentale, costituisce un notevole contributo all’illustrazione e comprensione della re-praesentatio medievale.
Il collegamento con la realtà sacramentale è il presupposto di questa considerazione. Prescindendone, si rimane al puro ambito naturale: l’acqua rimane acqua, che significa e produce pulizia, ma non va oltre; però, se adibita per il rito sacramentale, in forza di esso (“accedit verbum”, direbbe sant’Agostino) il suo significato e la sua efficacia trascendono l’ambito della natura e producono la grazia.
5 – Oggi, senza il retroterra culturale che faceva del Casel un vero scienziato, se ne adotta il linguaggio acriticamente, con il risultato di far confusione là dove si pensa o si pretende di far chiarezza: per es., nell’opporre attualizzare a rappresentare e rinnovare. Forse senza sapere neanche di che cosa si tratti, sì fa dell’attualizzazione un nuovo zikaron (da zekar, ricordare). Lo zikaron veterotestamentario era infatti il ricordo, la memoria dell’evento passato: lo esprimeva nel rito, lo rendeva presente nel ricordo dei buoni israeliti, ma non lo rinnovava, non lo ripeteva, non lo coinvolgeva oggettivamente nella loro esperienza. Tutto il contrario avviene nel sacramento, che proprio per questo non è uno zikaron: nella realtà misterica del presente, ossia per l’efficacia di cui Cristo ha caricato il sacramento, il passato si attualizza e si ripropone, si ripete, si rinnova. Non nella sua oggettività d’evento determinato nel tempo e nello spazio (sarebbe un assurdo), bensì nella rassomiglianza (Rm 6,5; 8,3; Fil 2,7; Ebr 4,15) del fatto sacramentale.
6 – La Santa Messa è sacrificio non perché ed in quanto è zikaron (memoria) del Sacrificio di Cristo, ma perché è memoria sacramentale di esso, sua riproposta nella realtà misterica del rito. In altre parole, è il rito che ripete e rinnova il Sacrificio di Cristo.
7 – Ho preferito queste mie brevissime ed insufficienti indicazioni alla frase generica (e poco rispettosa di chi pone una domanda) con cui talvolta ci si lavano le mani: confronta qualche Autore sicuro e dogmaticamente accreditato (confer probatos Auctores); mi rendo ben conto, però, che soltanto lo studio di qualcuno di essi può toglier dei dubbi e raddrizzare le idee. Ecco allora qualche nominativo: Bellarmino, Lessio, Vasquez, Lugo, Gonet, Billuart, Franzelin, Billot; fra i più recenti, UMBERG J.B., Mysterium - Frommigkeit, in “Zeitschr. f. Aszese und Mystik” del 1926, 351-366; COPPENS J., Le mystère eucharistique, Lovanio 1929 ; SOEHNGEN G., Symbol und Wirklichkeit im Kultmysterium, Bonn 1937; SCHNACKENBURG R., Das Heilsgeschehen, Monaco 1950; FILOGRASSI G., De SS.ma Eucharistia, Roma 19576; JOURNET C., La Messe, Parigi 1957; ID., Le mystère de l’Eucharistie, Parigi 1981; DE BACIOCCHI J., L’Eucaristia, Roma-Tournai 1968; PIOLANTI A., Il mistero eucaristico, Roma-Vaticano 19833, sp. pp. 376-556.
8 – Un’ultima annotazione. Si parla spesso di “Mistero”, ma senza il dovuto atteggiamento di silente adorazione dinanzi ad esso. Troppa sicumera riempie la bocca di chi ne parla a propria ed altrui confusione. La vera teologia è prima preghiera che esposizione e quando si fa tale non si sovrappone al “Mistero”, ma l’accoglie. Non mi pare che si trovi in questa linea chi pretende di forzare le parole per banalizzare il “Mistero”.



Risposta al cauto avvocato difensore di mons. Scatizzi

LA S. MESSA: SACRIFICIO CHE SI RINNOVA
O NUDA COMMEMORAZIONE?


di DANTE PASTORELLI

Prima di ricevere le pagine, fortemente sentite ed illuminanti, di mons. Brunero Gherardini che tanta benevolenza, a distanza di quarantacinque anni, ancora mi dimostra – del che lo ringrazio di cuore, come tutti i figli della Chiesa dovrebbero ringraziarlo non solo per l’opera di un’intera vita spesa a difendere e a diffondere l’ortodossia cattolica con l’insegnamento e gli studi teologici, ma anche e soprattutto per essere stato ed essere sempre un sacerdote innamorato di Cristo e Maria, alla quale ha dedicato saggi importanti, che ha alimentato le sue ricerche con l’ausilio imprescindibile dell’Eucaristia e della preghiera – avevo risposto al sacerdote dalle cui affermazioni ha preso le mosse questo bollettino. Non riporto qui la sua lettera giacché non intendo che si possa, attraverso lo stile, riconoscerne la provenienza, essendomi in tal senso impegnato nella parte finale del mio scritto: per questo motivo anche la mia risposta è stata lievemente modificata ed in qualche punto ampliata, mentre non sono state eliminate quelle considerazioni che, dopo l’intervento di mons. Gherardini, possono apparire (e sono) inutili perché ripetitive. I concetti che il contraddittore esprime inserendosi - benvenuto - nel civile dibattito apertosi con S. Ecc. za mons. Scatizzi, sono, tuttavia, facilmente deducibili dalle mie parole.
d.p.


Firenze, 16. 01.04


Reverendo,

La ringrazio vivamente per la Sua lettera che ho letto e riletto molto attentamente, e soprattutto per la Sua paterna benedizione. Le assicuro che, come i miei amici, anch’io prego sempre per il Papa e per i Vescovi, anche per quelli che non accettano l’invito del Pontefice ad applicare “generosamente” l’indulto e ad avere il massimo rispetto per coloro che si sentono legati a forme della liturgia antica. Anzi, per questi ultimi le preghiere raddoppiano, perché desideriamo che, con l’aiuto divino, essi diventino i Pastori dell’intero gregge, sì che il loro amore si riversi in egual misura e senza distinzione su tutte le pecore loro affidate.
Mi scuso, inoltre, per il ritardo della mia risposta, dovuto a vari motivi, non ultimo una motivata perplessità sull’opportunità di procedere ad una corrispondenza sul tema Messa-Sacrificio con un sacerdote che mi dicono buono e acculturato: perplessità superata dopo intensa riflessione ai piedi dell’altare, dinnanzi al Tabernacolo, nella certezza che dal confronto possa scaturire del bene per noi due e per i lettori. Eccomi, dunque, a scriverLe con aperto animo filiale.
Lei può benissimo darmi lezioni, non me ne dorrei affatto ove lo facesse: come ministro di Dio Lei è Maestro ed ha il dovere di insegnare, guidare, rafforzare nella fede anche con giustificati richiami ed ammonimenti coloro che incontra sulla sua strada.
Anch’io ho insegnato ed ho imparato, nel corso degli anni, che le lezioni non devono essere “belle” ma “buone”: quelle belle soddisfano l’insegnante, le buone sono utili agli alunni. E per essere buone le lezioni devono esser chiare, precise, esposte in linguaggio piano, accessibile e senza ombra di ambiguità. A questi requisiti, a maggior ragione, devono rispondere le lezioni ed i chiarimenti in materia di fede: in caso contrario c’è da rimanerne sconvolti e travolti.
Ebbene, in tutta sincerità, e con la massima umiltà, perfettamente consapevole di non essere teologicamente così attrezzato da competere con Lei, devo confessarLe che le Sue argomentazioni a sostegno ed esplicitazione della scatizziana “irripetibilità della Messa” (Sacrificio unico e irripetibile), da me commentata nel numero di giugno-dicembre di “Una Voce dicentes”, a questi requisiti non mi sembrano rispondere granché, per cui, invece di chiarirmi le idee, Lei me le ha confuse, certo, ripeto, per mia carenza di preparazione.
Che in italiano ripetere non significhi attualizzare, almeno nel linguaggio corrente, lo capisco senza necessità di ricorrere, come da Lei suggerito, al dizionario del Devoto, il quale fu tra i miei professori: avendo studiato Lettere classiche a Firenze (110 e lode) in tempi non sospetti di lassismo (1958-62), e benché io ormai mi senta e sia, sotto parecchi aspetti, un nonno analfabeta di ritorno, a tanto ancora ci arrivo. Anzi dirò, senza bisogno di ricorso ad un qualsiasi dizionario latino (anche a questo, tra le altre poche cose, ancora ci arrivo: le lezioni dei proff. A. Ronconi, G. Pascucci, soci di “Una Voce – Firenze”, Rosa La Macchia, anch’essa cattolica di ferro, qualcosa han pure inculcato nella mia giovanissima mente) che il verbo repeto nell’espressione “Il Sacrificio della Croce è irripetibile”, dovrebbe avere il significato di “non pretendere ricompensa”, d’essere, cioè, gratuito, di “non chiedere che venga restituito”, perché la Nuova Alleanza suggellata da quel Sacrificio è irreversibile: ed in questo non mi aiuta soltanto quel po’ di latino che ricordo, ma pure l’insegnamento di vescovi e sacerdoti che ho frequentato prima nella mia fanciullezza (a 13 anni fui vincitore di un premio “Veritas”, grazie al quale potei recarmi a Roma, esser ricevuto dal grande Pio XII e riceverne una carezza che non ho mai dimenticato) e nella mia adolescenza nella natìa Puglia – C. Ursi, vescovo di Nardò e poi cardinale di Napoli, A. Semeraro, vescovo di Oria, mons. L. Neglia, pietra miliare nella storia religiosa di Manduria – e poi, nella mia giovinezza, a Prato, Pistoia e Firenze – mons. Fiordelli, diversi assistenti FUCI, e sacerdoti quali M. Bonacchi, M. Leporatti, L. Stefani, R. Bresci, G. Setti ecc -. Pertanto oserei manifestare l’impressione che Lei usi l’aggettivo derivato (irripetibile) piuttosto impropriamente nel contesto della Sua spiegazione. Comunque è verità di fede che il Sacrificio cruento di Cristo è irripetibile nel senso di non reiterabile e non sto a spiegarne le ragioni che credo siano evidenti anche ad un musulmano: era questo che Lei voleva farmi capire? Se così fosse, bah!, la forma avrebbe tradito completamente il contenuto.
Ma procediamo con ordine.
Lei usa il verbo attualizzare (la Messa attualizza il Sacrificio di Cristo): l’ha usato anche l’amico prof. Andrea Conti nell’ultimo numero del mio bollettino, così come io ho usato il verbo ri-presentare (rendere presente). Niente da eccepire, purché non lo si voglia assolutizzare ed esclusivizzare, presentandolo, cioè, come il verbo che meglio d’ogni altro possa significare il valore della Messa.
Mai ho sostenuto che la Messa “ripete” sic et simpliciter, il sacrificio fisico, storico di Gesù: non ho neppure utilizzato tale verbo, ma avrei potuto farlo senza tema, avendolo utilizzato pontefici quali Pio XII, per cui sarebbe stato opportuno non attribuirmi espressioni ed intenzioni che non mi appartengono. Essa, ho sempre pensato e scritto, è il Sacrificio della Croce che si rinnova perpetuamente in modo incruento per mezzo del sacerdote alter Christus; mistica e sacramentale immolazione che si compie quotidianamente e sotto tutti i cieli; sacrificio di lode, espiazione, propiziazione, impetrazione; vero sacrificio il quale applica i frutti che il Sacrificio del Calvario ha prodotto e da quello è distinto anche numericamente. (Cfr. P. Parente, Teologia del Sacerdozio di G. Cristo, in Enciclopedia del Sacerdozio, Firenze, LEF 1953; A. Piolanti, L’Eucarestia, Roma, ed. Studium 1952). In questa sua essenza la Messa è ripetibile-replicabile
Alla luce di quanto sopra esposto – che non è farina del mio sacco ma che ho fatto mia – non reputo irriverente rimarcare come la Sua affermazione “si ripete il rito e non la realtà sacramentale che sta nel rito, che è appunto l’unico sacrificio della croce” possa apparire una tesi teologicamente azzardata e logicamente incongruente, sempre che le parole (ed anche la sintassi) abbiano un senso, per quanto del tutto inappropriate al concetto che volevano esplicitare e che mi suonano suscettibili, nella loro ambiguità, di diversa interpretazione. Vediamo un po’.
Se nel rito della S. Messa c’è (o non c’è?), una realtà sacramentale, come è possibile una ripetizione del rito nella sua interezza ed in tutto il suo valore senza la contemporanea ripetizione di questa realtà? Scindendo rito e realtà sacramentale (nella quale Lei sembra identificare l’unico Sacrificio di Cristo sulla Croce: ma su questa espressione teologicamente inesatta e contorta presto si ritornerà) si approda alla cena nuda e cruda. Son convinto che Lei non volesse sostenere questo, che equivarrebbe al rinnegamento d’un dogma centrale della nostra religione, in cui convergono tutti gli altri, ma l’imprecisione, l’inadeguatezza, la frettolosità, forse, del Suo discorso (comprensibili e compatibili in un semplice fedele come me) con conseguente ambiguità concettuale, questo possono indurre a credere.
Ben diversa avrebbe dovuto essere, per terminologia e argomentazione, la sua “contestazione” al mio articolo, benché niente di contestabile altri vi abbia rilevato, alla quale avrebbe corrisposto, ora, un mio ben diverso giudizio. Trascrivo qui, per il loro esemplare nitore lessicale-concettuale, poche righe di mons. Antonio Piolanti, esimio teologo, Rettore della Pontificia Università Lateranense, recentemente scomparso: “Per l’intima solidarietà che vige tra il Capo e le Membra del Corpo Mistico, era necessario che il Sacrificio della Croce, rimanendo uno e assoluto, passasse nella trama quotidiana della vita della Chiesa, si rendesse coestensivo a tutti i tempi e a tutti i luoghi senza moltiplicarsi. Moltiplicando i segni non si moltiplica la realtà significata: sull’altare si moltiplicano le immolazioni mistiche, ma poiché queste hanno un carattere essenzialmente rappresentativo dell’immolazione del Calvario, non moltiplicano la realtà cui si riferiscono. Così nella Messa si hanno le identiche realtà del Calvario; vi è contenuta la stessa vittima e lo stesso sacerdote del Calvario; vi circola l’offerta che è una e immutabile, come la continuazione cristallizzata del Calvario; nella sfera esterna e rinnovata, in signo, in sacramento, ma non moltiplicata, la stessa morte della Croce” (A. Piolanti, Il Mistero Eucaristico, Firenze 1956).
Non è da meno padre Enrico Zoffoli, anch’egli professore alla Lateranense e autore di molte opere di teologia e filosofia, nel suo catechistico La Messa è tutto, Udine 1993: “Il rito eucaristico è un <<segno>> assolutamente diverso da tutti gli altri usati nella vita umana, i quali sono sempre altra cosa da quanto significano: la bandiera non è la nazione; la tela di Raffaello che ritrae Giulio II non è Giulio II; un film storico non è la vicenda rievocata. In questi e in tutti gli altri casi il <<segno>> è vuoto, il <<simbolo>> è privo di un contenuto, l’immagine non è la realtà riprodotta; e, trattandosi di un evento passato, il <<segno>> può farlo soltanto ricordare (…) sull’altare, invece, nel pane e nel vino – in virtù della consacrazione che transustanzia l’uno e l’altro nel corpo e nel sangue di Cristo – non abbiamo soltanto dei <<segni>>, ma anche la Realtà significata nella Persona di Cristo, Verbo incarnato, presente sotto le specie eucaristiche; con tutta la sua umanità e divinità. Si tratta, perciò, di una <<presenza sacramentale>>, perché rivelata (e creduta) da un <<sacramento>> (= signum) ricco del <<contenuto-Mistero>> costituito da Cristo, Sacerdote e Vittima nell’Atto unico e indivisibile dell’Offerta cruenta di Sé al Padre, riprodotta simbolicamente dalle specie eucaristiche; le quali appunto perché consacrate distintamente, evidenziano l’uccisione della Vittima della Croce, irrepetibile in se stessa, ma sempre ripresentabile attraverso la concreta eloquenza del <<segno>> indefinitivamente rinnovato. (…) Ad un solo <<sacrificio>> rispondono le <<molte messe>> secondo la moltiplicazione numerica del rito eucaristico”.
In tali ineccepibili esposizioni è proposto con icastica lucidità il valore liturgico-sacramentale-sacrificale della Messa che in forma solenne e vincolante ritroviamo confermato nell’enciclica Ecclesia de Eucharistia di Giovanni Paolo II, il quale ammonisce: “L’Eucaristia è un dono troppo grande per sopportare ambiguità e diminuzioni”. (E. d. E., Introduzione § 10).
S’io fossi un teologo autentico, di quelli fini, per evidenziare i grossi limiti delle sue asserzioni, Le osserverei che Piolanti e Zoffoli, in un dettato rigoroso, parlano a ragion veduta di “realtà significata” (res significata), realtà che, senza alterazione né moltiplicazione di sé, permanendo una ed unica, trova nel “signum” o “sacramentum tantum” una sua ri-proposta nell’ “hic et nunc” del rito sacramentale, una sua ri-presentazione. O, con C. Journet (La Messa, Milano 1958), che, parlando del Sacrificio della Croce, sulla traccia di S. Tommaso, del Caietano, del Bossuet ecc, preferisce “perseverare” a “rinnovare”, il cui uso pure, per traslato, approva, direi che la Messa reitera e rinnova le “presenze” del sacrificio cruento.
Fossi quel dotto, equivoca e poco intellegibile, come già accennato, definerei quella Sua “realtà sacramentale che sta nel rito e che è appunto l’unico sacrificio della Croce” e Le obietterei: se Lei dice “realtà sacramentale”, dice la realtà del “segno” (il sacramentum tantum e il rito che lo effettua) e non può dire, perciò, “la realtà sacramentale che sta nel rito” e tanto meno “che è l’unico Sacrificio di Cristo”. L’unico Sacrificio di Cristo è la Sua passione e morte di Croce. Tale Sacrificio è la “realtà significata” dal sacramento e dal medesimo ri-presentata (res significata et repraesentata). Il sacramento, infatti, spiegherei, proprio per l’efficacia del rito (“opus operatum”) è “signum et instrumentum”: ha, cioè, una funzione allusiva (indica, significa) ed una causalità efficiente-strumentale (produce ciò che significa; è il caso della “res simul et sacramentum”). Ne consegue che : a) nel rito c’è la realtà originaria in quanto significata e ripetuta, o ri-presentata; b) non c’è la realtà sacramentale essendo tale esso stesso.
E’ duro, in un bollettino d’impronta familiare, colloquiale, privo di ambizioni o velleità scientifiche, ricorrere ad una terminologia tanto specialistica, frutto di sapienza così profonda e assodata che, in tutta sincerità, fatico molto, non essendo sufficientemente attrezzato in materia, ad accedervi, oltre che a metterla per iscritto. Ma mi rendo ben conto che una terminologia come quella di cui Lei, attrezzatissimo, si serve, più o meno impropria, palesemente plurivalente se non proprio erronea, e comunque infelice, deve essere arginata, perché in campo teologico può provocar terremoti. Pensi, Reverendo, come anche l’errore di un infinitesimale “zero virgola” nei calcoli di un ingegnere basti e avanzi per far crollare ponti, dighe e grattacieli.
Purtroppo, assai numerose sono oggi le ambiguità fuorvianti frutto della nuova teologia, e del relativo nuovo linguaggio, che talvolta riprende la speculazione di ottimi teologi piegandola, coscientemente o meno non so, alle personalissime vedute dei suoi corifei, per cui io preferisco restare ancorato nel porto sicuro delle Verità che ho appreso nelle stagioni in cui nei seminari, nelle facoltà pontificie, nelle associazioni cattoliche e dai pulpiti si insegnava la retta dottrina. “L’augusto Sacrificio dell’altare… rinnovato ogni giorno… Dio vuole la continuazione di questo Sacrificio”, leggo nella Mediator Dei del Servo di Dio Pio XII, enciclica munita nelle sue parti dogmatiche della nota dell’infallibilità, che si ricollega alla teologia della S. Messa solennemente definita dal Concilio Tridentino, Sessione XXII, e a tutta la Sacra Tradizione, la quale, come si diceva un tempo, è canale della Rivelazione (Cito dagli originali vaticani riprodotti dalla Società “Vita e Pensiero” nel 1956). L’immolazione sacramentale, incruenta, si ripete-replica-reitera ogni giorno attraverso la S. Messa.
Oggi si disdegna alquanto, perché ritenuto antiquato, se non addirittura errato, il verbo “rinnovare” per il più à la page “attualizzare” che pure, se non ben inteso, qualche confusione potrebbe ingenerare, ove si consideri che il Sacrificio del Calvario è sempre attuale nel suo valore metastorico. Ma col cambiar linguaggio, come col mutuare espressioni dalla cultura contemporanea, non sempre ben digerita, si rischia di andare e far andar fuori strada, di cadere, come si è caduti, in proposizioni non cattoliche, nella trasfinalizzazione o nella transignificazione ad es., che dovrebbero sostituire la “tradizionale” transustanziazione, condannate da Paolo VI. Ed allora io mi attengo, anche linguisticamente, agli autori “probati” alla mia modesta portata, che sono una “summa” del Magistero della Chiesa in materia (Tanquerey, Piolanti, Parente, Bartmann, Premm, Lagrange, Grimal, Palazzini ecc.) e ad opere come l’ Enciclopedia cattolica, per non parlare della Mysterium Fidei e del Credo di Paolo VI e della recente Ecclesia de Eucharistia, oltre alla citata Mediator Dei.
La Sua lettera è “personale” e, come tale, resterà riservata. Alcuni concetti e definizioni ormai patrimonio diffuso, però, (il Sacrificio che si attualizza, la repetibilità del Sacrificio di Cristo e quello, che non è Sua invenzione, perché anche da altre parti si propone, di rito che si ripete mentre non si ripete la realtà sacramentale che vi sta dentro), senza ovviamente alludere minimamente alla Sua persona, e con accorgimenti tali da impedire che alla Sua persona essi possano ricondursi, (per quanto, a mio modesto avviso un sacerdote non dovrebbe aver timore di far conoscere urbi et orbi le sue posizioni dottrinali che ritiene pienamente ortodosse), li ho sottoposti al vaglio di un antico amico, teologo assai stimato, affinché sciolga i dubbi miei e quelli dei lettori del mio bollettino. Se lo riterrò opportuno darò notizia delle altre Sue considerazioni critiche, in modo sempre assolutamente impersonale, onde salvaguardare la Sua identità, e stia tranquillo che, quando mi sarà pervenuto l’alto parere, non avrò remore ad ammettere i miei errori pubblicamente, come impone la morale cattolica.
Come vede, con le persone corrette non amo polemizzare, ma discuto serenamente, accetto lezioni, replico in purezza d’intenti, mi espongo a critiche e non indietreggio davanti ad eventuali ritrattazioni.
Però, suvvia, Reverendo, questo lo riconosca: la veneranda S. Messa di S. Pio V non si può in alcun modo considerare rito per esteti e per lo scelbiano “culturame”.
Non si possono buttar nella spazzatura, o almeno considerare obsoleti, 2000 anni di Sacrificio, di Fede, di Magistero, di santità che in quel rito sono sintetizzati. Su questo non potrò mai seguire né Lei né alcun altro, vescovi e papi compresi, il cui insegnamento non può per nessun motivo, per quanto onesto possa essere, prescindere da quello dei predecessori. L’attuale Pontefice, come l’ex-novatore Ratzinger, che nel Concilio era più o meno sulle stesse posizioni dei nefasti Rahner, Chenu, Schillebeex, Congar, Kung ecc. a supporto teologico degli altrettanto nefasti cardinali Suenens, Lienart, Alfrink ed altri ecclesiastici olandesi, belgi, tedeschi, francesi eretici quanto i loro catechismi, oggi amaramente pentito come il Paolo VI del fumo di Satana, l’hanno capito, tardi ahimé, e stanno, finalmente, operando proficuamente nella giusta direzione, tentando di riparare, con quali esiti si vedrà, le troppe falle aperte proditoriamente nella barca di Pietro che, per tornare sicura al largo, ha bisogno di timonieri e marinai accorti e vigili.
Che Dio li ricompensi come meritano, in questa e nell’altra vita.
Dev.mo in Xto et Maria
Dante Pastorelli
o, accessibile e senza ombra di ambiguità. A questi requisiti, a maggior ragione, devono rispondere le lezioni ed i chiarimenti in materia di fede: in caso contrario c’è da rimanerne sconvolti e travolti.
Ebbene, in tutta sincerità, e con la massima umiltà, perfettamente consapevole di non essere teologicamente così attrezzato da competere con Lei, devo confessarLe che le Sue argomentazioni a sostegno ed esplicitazione della scatizziana “irripetibilità della Messa” (Sacrificio unico e irripetibile), da me commentata nel numero di giugno-dicembre di “Una Voce dicentes”, a questi requisiti non mi sembrano rispondere granché, per cui, invece di chiarirmi le idee, Lei me le ha confuse, certo, ripeto, per mia carenza di preparazione.
Che in italiano ripetere non significhi attualizzare, almeno nel linguaggio corrente, lo capisco senza necessità di ricorrere, come da Lei suggerito, al dizionario del Devoto, il quale fu tra i miei professori: avendo studiato Lettere classiche a Firenze (110 e lode) in tempi non sospetti di lassismo (1958-62), e benché io ormai mi senta e sia, sotto parecchi aspetti, un nonno analfabeta di ritorno, a tanto ancora ci arrivo. Anzi dirò, senza bisogno di ricorso ad un qualsiasi dizionario latino (anche a questo, tra le altre poche cose, ancora ci arrivo: le lezioni dei proff. A. Ronconi, G. Pascucci, soci di “Una Voce – Firenze”, Rosa La Macchia, anch’essa cattolica di ferro, qualcosa han pure inculcato nella mia giovanissima mente) che il verbo repeto nell’espressione “Il Sacrificio della Croce è irripetibile”, dovrebbe avere il significato di “non pretendere ricompensa”, d’essere, cioè, gratuito, di “non chiedere che venga restituito”, perché la Nuova Alleanza suggellata da quel Sacrificio è irreversibile: ed in questo non mi aiuta soltanto quel po’ di latino che ricordo, ma pure l’insegnamento di vescovi e sacerdoti che ho frequentato prima nella mia fanciullezza (a 13 anni fui vincitore di un premio “Veritas”, grazie al quale potei recarmi a Roma, esser ricevuto dal grande Pio XII e riceverne una carezza che non ho mai dimenticato) e nella mia adolescenza nella natìa Puglia – C. Ursi, vescovo di Nardò e poi cardinale di Napoli, A. Semeraro, vescovo di Oria, mons. L. Neglia, pietra miliare nella storia religiosa di Manduria – e poi, nella mia giovinezza, a Prato, Pistoia e Firenze – mons. Fiordelli, diversi assistenti FUCI, e sacerdoti quali M. Bonacchi, M. Leporatti, L. Stefani, R. Bresci, G. Setti ecc -. Pertanto oserei manifestare l’impressione che Lei usi l’aggettivo derivato (irripetibile) piuttosto impropriamente nel contesto della Sua spiegazione. Comunque è verità di fede che il Sacrificio cruento di Cristo è irripetibile nel senso di non reiterabile e non sto a spiegarne le ragioni che credo siano evidenti anche ad un musulmano: era questo che Lei voleva farmi capire? Se così fosse, bah!, la forma avrebbe tradito completamente il contenuto.
Ma procediamo con ordine.
Lei usa il verbo attualizzare (la Messa attualizza il Sacrificio di Cristo): l’ha usato anche l’amico prof. Andrea Conti nell’ultimo numero del mio bollettino, così come io ho usato il verbo ri-presentare (rendere presente). Niente da eccepire, purché non lo si voglia assolutizzare ed esclusivizzare, presentandolo, cioè, come il verbo che meglio d’ogni altro possa significare il valore della Messa.
Mai ho sostenuto che la Messa “ripete” sic et simpliciter, il sacrificio fisico, storico di Gesù: non ho neppure utilizzato tale verbo, ma avrei potuto farlo senza tema, avendolo utilizzato pontefici quali Pio XII, per cui sarebbe stato opportuno non attribuirmi espressioni ed intenzioni che non mi appartengono. Essa, ho sempre pensato e scritto, è il Sacrificio della Croce che si rinnova perpetuamente in modo incruento per mezzo del sacerdote alter Christus; mistica e sacramentale immolazione che si compie quotidianamente e sotto tutti i cieli; sacrificio di lode, espiazione, propiziazione, impetrazione; vero sacrificio il quale applica i frutti che il Sacrificio del Calvario ha prodotto e da quello è distinto anche numericamente. (Cfr. P. Parente, Teologia del Sacerdozio di G. Cristo, in Enciclopedia del Sacerdozio, Firenze, LEF 1953; A. Piolanti, L’Eucarestia, Roma, ed. Studium 1952). In questa sua essenza la Messa è ripetibile-replicabile
Alla luce di quanto sopra esposto – che non è farina del mio sacco ma che ho fatto mia – non reputo irriverente rimarcare come la Sua affermazione “si ripete il rito e non la realtà sacramentale che sta nel rito, che è appunto l’unico sacrificio della croce” possa apparire una tesi teologicamente azzardata e logicamente incongruente, sempre che le parole (ed anche la sintassi) abbiano un senso, per quanto del tutto inappropriate al concetto che volevano esplicitare e che mi suonano suscettibili, nella loro ambiguità, di diversa interpretazione. Vediamo un po’.
Se nel rito della S. Messa c’è (o non c’è?), una realtà sacramentale, come è possibile una ripetizione del rito nella sua interezza ed in tutto il suo valore senza la contemporanea ripetizione di questa realtà? Scindendo rito e realtà sacramentale (nella quale Lei sembra identificare l’unico Sacrificio di Cristo sulla Croce: ma su questa espressione teologicamente inesatta e contorta presto si ritornerà) si approda alla cena nuda e cruda. Son convinto che Lei non volesse sostenere questo, che equivarrebbe al rinnegamento d’un dogma centrale della nostra religione, in cui convergono tutti gli altri, ma l’imprecisione, l’inadeguatezza, la frettolosità, forse, del Suo discorso (comprensibili e compatibili in un semplice fedele come me) con conseguente ambiguità concettuale, questo possono indurre a credere.
Ben diversa avrebbe dovuto essere, per terminologia e argomentazione, la sua “contestazione” al mio articolo, benché niente di contestabile altri vi abbia rilevato, alla quale avrebbe corrisposto, ora, un mio ben diverso giudizio. Trascrivo qui, per il loro esemplare nitore lessicale-concettuale, poche righe di mons. Antonio Piolanti, esimio teologo, Rettore della Pontificia Università Lateranense, recentemente scomparso: “Per l’intima solidarietà che vige tra il Capo e le Membra del Corpo Mistico, era necessario che il Sacrificio della Croce, rimanendo uno e assoluto, passasse nella trama quotidiana della vita della Chiesa, si rendesse coestensivo a tutti i tempi e a tutti i luoghi senza moltiplicarsi. Moltiplicando i segni non si moltiplica la realtà significata: sull’altare si moltiplicano le immolazioni mistiche, ma poiché queste hanno un carattere essenzialmente rappresentativo dell’immolazione del Calvario, non moltiplicano la realtà cui si riferiscono. Così nella Messa si hanno le identiche realtà del Calvario; vi è contenuta la stessa vittima e lo stesso sacerdote del Calvario; vi circola l’offerta che è una e immutabile, come la continuazione cristallizzata del Calvario; nella sfera esterna e rinnovata, in signo, in sacramento, ma non moltiplicata, la stessa morte della Croce” (A. Piolanti, Il Mistero Eucaristico, Firenze 1956).
Non è da meno padre Enrico Zoffoli, anch’egli professore alla Lateranense e autore di molte opere di teologia e filosofia, nel suo catechistico La Messa è tutto, Udine 1993: “Il rito eucaristico è un <<segno>> assolutamente diverso da tutti gli altri usati nella vita umana, i quali sono sempre altra cosa da quanto significano: la bandiera non è la nazione; la tela di Raffaello che ritrae Giulio II non è Giulio II; un film storico non è la vicenda rievocata. In questi e in tutti gli altri casi il <<segno>> è vuoto, il <<simbolo>> è privo di un contenuto, l’immagine non è la realtà riprodotta; e, trattandosi di un evento passato, il <<segno>> può farlo soltanto ricordare (…) sull’altare, invece, nel pane e nel vino – in virtù della consacrazione che transustanzia l’uno e l’altro nel corpo e nel sangue di Cristo – non abbiamo soltanto dei <<segni>>, ma anche la Realtà significata nella Persona di Cristo, Verbo incarnato, presente sotto le specie eucaristiche; con tutta la sua umanità e divinità. Si tratta, perciò, di una <<presenza sacramentale>>, perché rivelata (e creduta) da un <<sacramento>> (= signum) ricco del <<contenuto-Mistero>> costituito da Cristo, Sacerdote e Vittima nell’Atto unico e indivisibile dell’Offerta cruenta di Sé al Padre, riprodotta simbolicamente dalle specie eucaristiche; le quali appunto perché consacrate distintamente, evidenziano l’uccisione della Vittima della Croce, irrepetibile in se stessa, ma sempre ripresentabile attraverso la concreta eloquenza del <<segno>> indefinitivamente rinnovato. (…) Ad un solo <<sacrificio>> rispondono le <<molte messe>> secondo la moltiplicazione numerica del rito eucaristico”.
In tali ineccepibili esposizioni è proposto con icastica lucidità il valore liturgico-sacramentale-sacrificale della Messa che in forma solenne e vincolante ritroviamo confermato nell’enciclica Ecclesia de Eucharistia di Giovanni Paolo II, il quale ammonisce: “L’Eucaristia è un dono troppo grande per sopportare ambiguità e diminuzioni”. (E. d. E., Introduzione § 10).
S’io fossi un teologo autentico, di quelli fini, per evidenziare i grossi limiti delle sue asserzioni, Le osserverei che Piolanti e Zoffoli, in un dettato rigoroso, parlano a ragion veduta di “realtà significata” (res significata), realtà che, senza alterazione né moltiplicazione di sé, permanendo una ed unica, trova nel “signum” o “sacramentum tantum” una sua ri-proposta nell’ “hic et nunc” del rito sacramentale, una sua ri-presentazione. O, con C. Journet (La Messa, Milano 1958), che, parlando del Sacrificio della Croce, sulla traccia di S. Tommaso, del Caietano, del Bossuet ecc, preferisce “perseverare” a “rinnovare”, il cui uso pure, per traslato, approva, direi che la Messa reitera e rinnova le “presenze” del sacrificio cruento.
Fossi quel dotto, equivoca e poco intellegibile, come già accennato, definerei quella Sua “realtà sacramentale che sta nel rito e che è appunto l’unico sacrificio della Croce” e Le obietterei: se Lei dice “realtà sacramentale”, dice la realtà del “segno” (il sacramentum tantum e il rito che lo effettua) e non può dire, perciò, “la realtà sacramentale che sta nel rito” e tanto meno “che è l’unico Sacrificio di Cristo”. L’unico Sacrificio di Cristo è la Sua passione e morte di Croce. Tale Sacrificio è la “realtà significata” dal sacramento e dal medesimo ri-presentata (res significata et repraesentata). Il sacramento, infatti, spiegherei, proprio per l’efficacia del rito (“opus operatum”) è “signum et instrumentum”: ha, cioè, una funzione allusiva (indica, significa) ed una causalità efficiente-strumentale (produce ciò che significa; è il caso della “res simul et sacramentum”). Ne consegue che : a) nel rito c’è la realtà originaria in quanto significata e ripetuta, o ri-presentata; b) non c’è la realtà sacramentale essendo tale esso stesso.
E’ duro, in un bollettino d’impronta familiare, colloquiale, privo di ambizioni o velleità scientifiche, ricorrere ad una terminologia tanto specialistica, frutto di sapienza così profonda e assodata che, in tutta sincerità, fatico molto, non essendo sufficientemente attrezzato in materia, ad accedervi, oltre che a metterla per iscritto. Ma mi rendo ben conto che una terminologia come quella di cui Lei, attrezzatissimo, si serve, più o meno impropria, palesemente plurivalente se non proprio erronea, e comunque infelice, deve essere arginata, perché in campo teologico può provocar terremoti. Pensi, Reverendo, come anche l’errore di un infinitesimale “zero virgola” nei calcoli di un ingegnere basti e avanzi per far crollare ponti, dighe e grattacieli.
Purtroppo, assai numerose sono oggi le ambiguità fuorvianti frutto della nuova teologia, e del relativo nuovo linguaggio, che talvolta riprende la speculazione di ottimi teologi piegandola, coscientemente o meno non so, alle personalissime vedute dei suoi corifei, per cui io preferisco restare ancorato nel porto sicuro delle Verità che ho appreso nelle stagioni in cui nei seminari, nelle facoltà pontificie, nelle associazioni cattoliche e dai pulpiti si insegnava la retta dottrina. “L’augusto Sacrificio dell’altare… rinnovato ogni giorno… Dio vuole la continuazione di questo Sacrificio”, leggo nella Mediator Dei del Servo di Dio Pio XII, enciclica munita nelle sue parti dogmatiche della nota dell’infallibilità, che si ricollega alla teologia della S. Messa solennemente definita dal Concilio Tridentino, Sessione XXII, e a tutta la Sacra Tradizione, la quale, come si diceva un tempo, è canale della Rivelazione (Cito dagli originali vaticani riprodotti dalla Società “Vita e Pensiero” nel 1956). L’immolazione sacramentale, incruenta, si ripete-replica-reitera ogni giorno attraverso la S. Messa.
Oggi si disdegna alquanto, perché ritenuto antiquato, se non addirittura errato, il verbo “rinnovare” per il più à la page “attualizzare” che pure, se non ben inteso, qualche confusione potrebbe ingenerare, ove si consideri che il Sacrificio del Calvario è sempre attuale nel suo valore metastorico. Ma col cambiar linguaggio, come col mutuare espressioni dalla cultura contemporanea, non sempre ben digerita, si rischia di andare e far andar fuori strada, di cadere, come si è caduti, in proposizioni non cattoliche, nella trasfinalizzazione o nella transignificazione ad es., che dovrebbero sostituire la “tradizionale” transustanziazione, condannate da Paolo VI. Ed allora io mi attengo, anche linguisticamente, agli autori “probati” alla mia modesta portata, che sono una “summa” del Magistero della Chiesa in materia (Tanquerey, Piolanti, Parente, Bartmann, Premm, Lagrange, Grimal, Palazzini ecc.) e ad opere come l’ Enciclopedia cattolica, per non parlare della Mysterium Fidei e del Credo di Paolo VI e della recente Ecclesia de Eucharistia, oltre alla citata Mediator Dei.
La Sua lettera è “personale” e, come tale, resterà riservata. Alcuni concetti e definizioni ormai patrimonio diffuso, però, (il Sacrificio che si attualizza, la repetibilità del Sacrificio di Cristo e quello, che non è Sua invenzione, perché anche da altre parti si propone, di rito che si ripete mentre non si ripete la realtà sacramentale che vi sta dentro), senza ovviamente alludere minimamente alla Sua persona, e con accorgimenti tali da impedire che alla Sua persona essi possano ricondursi, (per quanto, a mio modesto avviso un sacerdote non dovrebbe aver timore di far conoscere urbi et orbi le sue posizioni dottrinali che ritiene pienamente ortodosse), li ho sottoposti al vaglio di un antico amico, teologo assai stimato, affinché sciolga i dubbi miei e quelli dei lettori del mio bollettino. Se lo riterrò opportuno darò notizia delle altre Sue considerazioni critiche, in modo sempre assolutamente impersonale, onde salvaguardare la Sua identità, e stia tranquillo che, quando mi sarà pervenuto l’alto parere, non avrò remore ad ammettere i miei errori pubblicamente, come impone la morale cattolica.
Come vede, con le persone corrette non amo polemizzare, ma discuto serenamente, accetto lezioni, replico in purezza d’intenti, mi espongo a critiche e non indietreggio davanti ad eventuali ritrattazioni.
Però, suvvia, Reverendo, questo lo riconosca: la veneranda S. Messa di S. Pio V
non si può in alcun modo considerare rito per esteti e per lo scelbiano “culturame”.
Non si possono buttar nella spazzatura, o almeno considerare obsoleti, 2000 anni di Sacrificio, di Fede, di Magistero, di santità che in quel rito sono sintetizzati. Su questo non potrò mai seguire né Lei né alcun altro, vescovi e papi compresi, il cui insegnamento non può per nessun motivo, per quanto onesto possa essere, prescindere da quello dei predecessori. L’attuale Pontefice, come l’ex-novatore Ratzinger, che nel Concilio era più o meno sulle stesse posizioni dei nefasti Rahner, Chenu, Schillebeex, Congar, Kung ecc. a supporto teologico degli altrettanto nefasti cardinali Suenens, Lienart, Alfrink ed altri ecclesiastici olandesi, belgi, tedeschi, francesi eretici quanto i loro catechismi, oggi amaramente pentito come il Paolo VI del fumo di Satana, l’hanno capito, tardi ahimé, e stanno, finalmente, operando proficuamente nella giusta direzione, tentando di riparare, con quali esiti si vedrà, le troppe falle aperte proditoriamente nella barca di Pietro che, per tornare sicura al largo, ha bisogno di timonieri e marinai accorti e vigili.
Che Dio li ricompensi come meritano, in questa e nell’altra vita.

Dev.mo in Xto et Maria
Dante Pastorelli
 
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PRAECENTOR
view post Posted on 11/1/2007, 14:00     +1   -1




Leggete ora questa famosa rivista (Vita Pastorale):

L’EUCARISTIA È DA SEMPRE
IL SACRIFICIO DI GESÙ


Un giovane professore di Religione della mia parrocchia, stendendo un articolo sull’Eucaristia per il giornale parrocchiale, scrive prendendo alla lettera dal testo di religione che usa: «Quando si celebra l’Eucaristia... non si ripete il sacrificio di Gesù e l’azione non è neppure ridotta ad un semplice ricordo, ma è Gesù che si fa presente nei segni sacramentali del pane e del vino divenuti Corpo e Sangue di Cristo».
Dire che l’Eucaristia non è il sacrificio di Gesù è, a mio avviso, un’eresia! Comunque, la meraviglia è che il testo (Ed. Sei 1992, autori Poggio e Rosso) porta tanto di Nulla Osta della Cei (Roma 16.10.1991) e di Imprimatur della Curia di Torino con firma del vicario generale mons. Pier Giorgio Micchiardi. Io mi domando se prima di concedere visti e approvazioni questi libri si leggono o no. È chiaro, l’interrogativo resta (desolante) anche se si potrà rispondere che quel "non" è un refuso, cosa per altro pare doversi escludere per quel che segue «non è neppure...».

Lettera firmata


Risponde don Silvano Sirboni.
Noi siamo ancora molto influenzati dalla polemica antiprotestante che ha talmente esasperato i termini del problema al punto da far dire al Concilio di Trento ciò che esso non ha mai inteso dire. Tale Concilio infatti (Sessione XXII, 1562) afferma che il sacrificio di Cristo compiuto «una volta per sempre» (Eb 7,27; 10,10) viene nella messa "ripresentato" (= repraesentaretur). Il timore, allora giustificato, di privare l’eucaristia della sua dimensione sacrificale ha condotto ad accentuare talmente questo aspetto fino a far intendere la messa come una ripetizione del sacrificio del Calvario. Questa preoccupazione, radicata e diffusa nella Chiesa cattolica per le ragioni storiche che ben conosciamo, ha condotto persino lo stesso Paolo VI ad aggiungere un proemio al Messale Romano del 1969 per rispondere ad alcune accuse e difendere la fedeltà alla Tradizione, specie in rapporto al sacrificio, pur ricuperando per l’eucaristia la fondamentale e originaria dimensione conviviale. È certamente questa comprensibile preoccupazione che portiamo, per così dire, nel nostro patrimonio teologico e catechistico, che ha condotto anche l’estensore della lettera a un malinteso. Infatti il testo citato non afferma affatto che l’eucaristia non sia il sacrificio di Cristo, ma dice soltanto che "non ripete" tale sacrificio e aggiunge subito, a scanso di equivoci, che non si tratta comunque di un semplice "ricordo" o "rappresentazione", ma di una presenza vera (= reale) dell’unico sacrificio di Cristo, sotto i segni del pane spezzato e del vino versato. In altre parole, l’eucaristia rende veramente presente gli effetti e l’efficacia di quell’unico sacrificio di Cristo, il cui valore è infinito e di conseguenza irripetibile. La celebrazione eucaristica rende presente oggi, qui, per noi questo sacrificio e lo rende in qualche modo visibile ai nostri occhi per mezzo dei segni sacramentali sui quali agisce la potenza trasformante dello Spirito (prima epiclesi) affinché anche noi possiamo diventare in Cristo, con lui e per lui corpo donato e sangue versato per la gloria di Dio e la salvezza dei fratelli (seconda epiclesi). Non dimentichiamo infatti che oggi il vero sacrificio dei cristiani consiste nel fare comunione (cf S. Agostino, De Civitate Dei, 10,6); per questo Cristo ha dato la vita e ha posto il memoriale della sua morte in un contesto conviviale. Così ribadisce con autorevolezza e al di sopra di ogni sospetto il Catechismo della Chiesa Cattolica: «Il sacrificio che Cristo ha offerto una volta per tutte sulla croce rimane sempre attuale... L’eucaristia è dunque un sacrificio perché ripresenta (rende presente) il sacrificio della croce, perché ne è il memoriale e perché ne applica il frutto» (CCC 1364-1366).



 
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quaero
view post Posted on 11/1/2007, 14:27     +1   -1




A mio avviso per dirimere l'equivoco basta dire che la Messa non ripete in maniera storica e cruenta il Sacrificio di Cristo, in maniera mistica, incruenta e sacramentale si può dire che lo ripete.
La frase dell'articolo è manchevole senza questi aggettivi, ma può essere interpretata in senso ortodosso.

CIAO :)
 
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PRAECENTOR
view post Posted on 11/1/2007, 14:27     +1   -1




L'impressione, mia e non solo mia, dal momento che fu sostentuta da mons. Piolanti, è che le spiegazioni moderne del sacrificio eucaristico perdano un po' ( e talvolta un po' tanto) del sano dualismo tra Calvario e Altare. Mischiando sacrificio a sacramento si viene certo incontro all'ecumenismo, ma si diventa piuttosto imprecisi. Faccio un esempio per farvi capire.
Se il rito della messa ripresenta in termini di realtà sacramentale un vero sacrificio (quello del Calvario), qialcuno può dire che la messa non è sacrificio, ma sacramento che ripresenta un sacrificio. Ciò però non è sufficiente, e non è compatibile sia con "cotidie iterum in altare immolatur" di S. Tommaso sia con la lettera dei sopra menzioanti canoni tridentini. La messa invece è vero sacrificio perchè in essa si attua una immolazione (secondo le teorie immolazioniste) o almeno un'oblazione (secondo gli oblazionisti) sacramentale, mistica, che quindi è un vero sacrificio nel senso che Cristo, immolato sulla croce fisicamente, ora s'immola "mistice, sacramentaliter".
Mi piacerebbe conoscere il parere del nostro esimio coamministratore Totus Tuus!
 
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TotusTuus
view post Posted on 11/1/2007, 15:01     +1   -1




Non sono certo "esimio", tuttavia mi pare che il collega Praecentor abbia ben colto il nocciolo del problema.

1) La S. Messa è sacrificio incruento o sacramentale che rappresenta l’immolazione cruenta della croce e ne applica i frutti.

2) La S. Messa è sacramento e sacrificio.

3) Il sacrificio della Messa non è una semplice oblazione, ma un vero sacrificio.
 
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PRAECENTOR
view post Posted on 11/1/2007, 18:27     +1   -1




I primi due punti da te citati sono de fide, e quindi tutto OK.
Faccio presente ai lettori del forum che invece la terza proposizione è degna di una piccola correzione. Infatti, come spiega Piolanti, i teologi per determinare l'intima natura del sacrificio della messa hanno sviluppato tre linee di pensiero:
-il sacrificio- comunione (Renz e Bellord); teoria che ha avuto poca fortuna e che non sembra del tutto accettabile
-il sacrificio-oblazione (De la Taille e Lepin) che ha goduto di vera celebrità; secondo questa teoria anche quello della Messa è un sacrificio, ma essendo incruento e sacramentale, non vi è ripetuta l'immolazione (offerta fisica) ma solo l'oblazione, ovvero il sacrificio interno, le disposizioni interiori; l'Ultima Cena fu l'oblazione della vittima da immolare sul calvario.
Questa teoria, anche se ha quasi compiuto i cent'anni, presenta, tra le altre, la stessa difficoltà di quelle più moderne: il fatto che il tridentino parli di cena e croce come due sacrifici completi e distinti.

-il sacrificio-immolazione: qui stanno la maggior parte dei teologi, con piccole varianti (Casal- immolazione fisica, Franzelin- distruzione fisica, Bellarmino e de Liguori: immolazione fisico-sacramentale, Lessio: immolazione rituale, immolazione rappresentativa: Goetzmann e altri, immolazione mistico-sacramentale: Billot e Vonier, completati da Garrigou-Lagrange e altri)

E' evidente che se tutte queste dottrine sono state sviluppate, e, in gran parte, sono anche ritenute "ortodosse", non si può essere categorici sulle modalità del sacrificio. Comunque, personalmente, propendo per attribuire la maggiore accuratezza e fedeltà al tridentino alle teorie immolazioniste.

Edited by PRAECENTOR - 11/1/2007, 21:13
 
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TotusTuus
view post Posted on 11/1/2007, 20:13     +1   -1




Temo che mi sia espresso in malo modo. Con il III punto intendevo sottolineare, seguendo S. Tommaso, che la S. Messa non è semplice oblazione ma sacrificio-oblazione.
”Sacrificia proprie dicuntur quando circa res Deo oblatas aliquid fit, sicut quod animalia occidebantur, quod panis frangitur et comeditur et benedicitur. Et hoc ipsum nomen sonat, nam sacrificium dicitur ex hoc quod homo facit aliquid sacrum. Oblatio autem directe dicitur cum Deo aliquid offertur, etiam si nihil circa ipsum fiat, sicut dicuntur offerri denarii vel panes in altari, circa quos nihil fit. Unde omne sacrificium est oblatio, sed non convertitur" (II-IIae, q. 85, a. 3, ad 3um).
 
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PRAECENTOR
view post Posted on 11/1/2007, 21:11     +1   -1




Ottima precisazione, grazie Totus!! :D
 
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PRAECENTOR
view post Posted on 23/1/2007, 14:03     +1   -1




L’Eucaristia tra dimensione sacrificale e dimensione conviviale

Punto di partenza obbligato per capire il Sinodo sull’Eucaristia è l’ultima lettera enciclica di Giovanni Paolo II, che possiamo considerare il suo testamento spirituale. L’incipit programmatico «La Chiesa vive dell’Eucaristia» ha tracciato il cammino ai lavori sinodali. A mio avviso, il merito maggiore del documento è stato proprio quello di averci ricordato l’impossibilità, sia teorica che pratica, di disgiungere i due volti dell’Eucaristia, cioè la dimensione conviviale dalla sua inseparabile dimensione sacrificale (cf. Ecclesia de Eucharistia, 10). Sappiamo che molti cristiani di oggi hanno paura di parlare del sacrificio del Calvario, perché non riescono più a comporre la nozione di sacrificio con i parametri deboli della cultura moderna. Se il pensiero del primo Venerdì santo suscita un comprensibile disagio, non si deve dimenticare che, pur essendo passaggio obbligato, il mistero della Croce si apre con tutta la sua forza sul fulgore del mattino di Pasqua. Né va dimenticato che l’espressione «sacrificio del Calvario» è una brachilogia con la quale la tradizione suole designare l’intero evento pasquale, che un tempo la Chiesa abbracciava comprensivamente, come ci ricorda Agostino, nell’antico «sacratissimo triduo del Crocifisso, Sepolto e Risorto» (cf. PL 33, 215). Ora, dire dimensione sacrificale altro non significa che dire il rapporto dinamico delle nostre Messe all’evento di Cristo morto e risorto. Il Signore infatti ha istituito l’Eucaristia perché, ricevendola al ritmo delle nostre Messe, veniamo coinvolti salvificamente nell’eterno presente del sacrificio unico.
Stralciamo dagli interventi scritti: «La croce di Cristo, formata da un tronco e da una trave, ricorda le due dimensioni della morte salvifica del Cristo: verticale, la glorificazione del Padre; orizzontale, la salvezza dell’umanità» (Durocher). «Mediante il segno del pane e del vino offerti sull’altare, la comunità cristiana entra in comunione con il corpo e il sangue di Cristo e partecipa così della forza salvifica della sua morte pasquale» (Peña Rodríguez). «La partecipazione all’Eucaristia, un’immersione nella passione, morte e risurrezione del Signore, deve portare i fedeli a una trasformazione che permetta loro di permeare il mondo temporale con la forza del Vangelo» (Gracias). «Il teologo Odo Casel ha sottolineato come il sacrificio di Cristo, storicamente unico, trascenda in realtà i limiti dello spazio e del tempo e raggiunga così in ogni tempo ogni uomo che si apre alla fede» (Cordes). «Nella cultura tradizionale africana, che conosce la pratica del sangue con cui due o più persone stringono un’alleanza vitale, non si può fare a meno di sottolineare questa dimensione dell’alleanza che si è realizzata fra Cristo e l’uomo, fra il Cristo e il suo popolo» (Vieira).
Negli interventi liberi si sono udite ripetutamente espressioni come queste: «Sacrificio è una nozione difficile da far comprendere oggi»; «Non bisogna disgiungere Venerdì santo e Pasqua»; «Celebrare l’Eucaristia è permettere a Cristo di piantare ancora oggi in mezzo a noi la croce del Risorto».

Cesare Giraudo

SYNODUS EPISCOPORUM
BOLLETTINO

XI COETUS GENERALIS ORDINARIUS
SYNODI EPISCOPORUM
2-23 octobris 2005

Eucharistia: fons et culmen vitae et missionis Ecclesiae


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Questo Bollettino è soltanto uno strumento di lavoro ad uso giornalistico.
Le traduzioni non hanno carattere ufficiale.


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Edizione plurilingue


10 - 06.10.2005

SOMMARIO

♦ SETTIMA CONGREGAZIONE GENERALE (GIOVEDÌ, 6 OTTOBRE 2005 - POMERIDIANO)

♦ SETTIMA CONGREGAZIONE GENERALE (GIOVEDÌ, 6 OTTOBRE 2005 - POMERIDIANO)

● INTERVENTI IN AULA (CONTINUAZIONE)

Alle ore 16.30 di oggi giovedì 6 ottobre 2005, con la Preghiera per il felice esito del Sinodo, ha avuto luogo la Settima Congregazione Generale, per la continuazione degli interventi dei Padri Sinodali in Aula sul tema sinodale Eucharistia: fons et culmen vitæ et missionis Ecclesiæ.

Presidente delegato di turno S.Em.R. il Sig. Card. Francis ARINZE, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina del Sacramenti.

● INTERVENTI IN AULA (CONTINUAZIONE)

In questa Settima Congregazione Generale sono intervenuti i seguenti Padri:

- S.E.R. Mons. Lucio Andrice MUANDULA, Vescovo di Xai-Xai (MOZAMBICO)
- S.Em.R. Card. Antonio María ROUCO VARELA, Arcivescovo di Madrid (SPAGNA)
- S.B.R. Emmanuel III DELLY, Patriarca di Babilonia dei Caldei, Capo del Sinodo della Chiesa Caldea (IRAQ)
- S.Em.R. Card. Godfried DANNEELS, Arcivescovo di Mechelen-Brussel, Malines-Bruxelles, Presidente della Conferenza Episcopale (BELGIO)
- S.E.R. Mons. Louis CHAMNIERN SANTISUKNIRAM, Arcivescovo di Thare and Nonseng (THAILANDIA)
- S.E.R. Mons. Luciano Pedro MENDES DE ALMEIDA, S.I, Arcivescovo di Mariana (BRASILE)
- S.E.R. Mons. Nestor NGOY KATAHWA, Vescovo di Kolwezi (REP. DEMOCRATICA DEL CONGO)
- S.B.R. Nerses Bedros XIX TARMOUNI, Patriarca di Cilicia degli Armeni, Capo del Sinodo della Chiesa Armena Cattolica (LIBANO)
- S.E.R. Mons. Michael Louis FITZGERALD, M. Afr., Arcivescovo titolare di Nepte, Presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso (CITTÀ DEL VATICANO)
- S.E.R. Mons. Charles Maung BO, S.D.B., Arcivescovo di Yangon, Presidente della Conferenza Episcopale (MYANMAR)
- S.E.R. Mons. Julián LÓPEZ MARTÍN, Vescovo di León (SPAGNA)
- S.E.R. Mons. Thomas Christopher COLLINS, Arcivescovo di Edmonton (CANADA)

Diamo qui di seguito i riassunti degli interventi:

- S.E.R. Mons. Lucio Andrice MUANDULA, Vescovo di Xai-Xai (MOZAMBICO)

Il punto di partenza del mio intervento è il tema stesso di questa XI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi: «L'Eucaristia: Fonte e Culmine della Vita e della Missione della Chiesa», tema che sembra orientarci ad un approfondimento degli aspetti pastorali, spirituali ed ecclesiologici dell'Eucaristia.
Parlerò soltanto degli aspetti pastorali ed ecclesiologici del sacerdote, in quanto ministro autorizzato a celebrare l'Eucaristia.
Partendo quindi dal presupposto dell'Eucaristia, fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa, e considerando che gli attuali dati statistici ci parlano di una grande scarsità di sacerdoti nel mondo, mi viene naturale chiedere fino a che punto una comunità ecclesiale priva del Sacramento dell'Eucaristia possa arrivare a quel dinamismo di vita che la permetta di trasformarsi in una comunità missionaria, capace di portare a compimento, con gioia, il proggetto missionario che il Signore Gesù stesso ci ha affidato: «Andate dunque ed ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28,19-20).
In altre parole, come possono i membri di una comunità ecclesiale che vive senza l'Eucaristia giungere alla perfezione di vita cristiana, ovvero a quello stato di santità che risulta della comunione col Signore e che poi gli fa diventare, mediante la loro partecipazione nell' opera salvi fica di Cristo, luce del mondo e sale della terra (cfr. Mt 5,13-16)?
Bisogna quindi insistere nella giusta redistribuizione dei sacerdoti nel mondo, come è già stato più volte chiesto dai padri sinodali, ed è urgente riproporre a tutta la Chiesa, in particolare ai sacerdoti, una vera spiritualità eucaristica, tutta contrassegnata della gratuità del sacrificio di Cristo, che si dona come pane eucaristico, perché tutti possiamo accedere alla vita nuova della grazia.

[00138-01.04] [IN131] [Testo originale: italiano]

- S.Em.R. Card. Antonio María ROUCO VARELA, Arcivescovo di Madrid (SPAGNA)

Es bueno precisar los objetivos del Sínodo a la luz del tema fijado por Juan Pablo II y, luego, confirmado por Benedicto XVI, pero teniendo en cuenta el momento actual de la Iglesia y de sus necesidades pastoral es hoy más urgentes.
Se debe de partir para ello de la doctrina del Vaticano II sobre la Iglesia en su íntima y constitutiva relación con el Sacramento de la Eucaristía, iluminada recientemente por la Encíclica "Ecclesia de Eucharistia". El Vaticano II ha recogido en bellísima síntesis teológica los frutos doctrinales y pastorales de la renovación litúrgica, espiritual y apostólica que vivió la Iglesia en la primera mitad del siglo XX.
A continuación se debe de affrontar la antítesis al Concilio que han representado las interpretaciones radicalmente secularizadoras del contenido, significado y de las formas celebrativas del Sacramento Eucarístico “fons et culmen totius vitae christianae”. Sin olvidar la rémora que supuso el cuestionamiento eclesiológico de la reforma litúrgica por parte de pequeños grupos. Nos encontramos, pues, en la hora de una nueva síntesis doctrinal y pastoral, clarificadora y superadora de esas antítesis:
1. Por la vía de una renovación en clave pascual de la doctrina, la catequesis y la experiencia práctica del Sacramento de la Eucaristía, como aquel en el que se actualiza el sacrificio y oblación sacerdotal de Cristo, presente substancialmente bajo las especies eucarísticas.
2. A través de una pedagogía canónica y pastoral, cuidadosa y respetuosa de la comunión eclesial que elimina el subjetivismo y la arbitrariedad en las formas de la celebración y del culto eucarístico.
3. Y por el fomento de una espiritualidad eucarística basada en el hábito y en la experiencia de la adoración del Sacramento por excelencia, "el Sacramento del Amor de los Amores", alimento para la santificación de los fieles y fuerza para que puedan ser testigos activos del Evangelio en el mundo.

[00139-04.05] [IN137] [Texto original: español]

- S.B.R. Emmanuel III DELLY, Patriarca di Babilonia dei Caldei, Capo del Sinodo della Chiesa Caldea (IRAQ)

Una breve parola sulla presenza di Nostro Signore nell'Eucaristia secondo la tradizione, la liturgia e la devozione dei fedeli Caldei membri della Chiesa d'Oriente denominata Chiesa Caldea, che si è sviluppata nell'Impero di Partho e dei Sassanidi al di la della sponda del fiume Eufrate fino alla Cina, alla Mongolia, al Tibet e poi all'India.
Questa Chiesa nata in Mesopotamia e nella Persia, ebbe la grazia di ricevere la prima predicazione dagli Apostoli e dai primi Discepoli di Cristo, già a partire dal primo secolo dopo la Pentecoste, come ci insegna la dottrina Eucaristica confermata oggi dalla fede e dalla dottrina della Chiesa Cattolica d'Occidente.
La Chiesa Caldea d'Oriente considera Gesù nel SS. Sacramento presente realmente nell'Eucaristia come "vittima per i nostri peccati" fonte di vita per gli uomini, fuoco che brucia i peccati e purifica i cuori, e cita spesso nei suoi libri liturgici la profezia di Isaia, che parla del "Servo di Iawé" che porta i peccati nel mondo.
Gesù nell'Eucaristia è la luce che illumina la Via che ci conduce alla vita Eterna e il Maestro che ci insegna. Egli è la nostra forza e la nostra consolazione nelle difficoltà e persecuzioni; Egli è la manna viva che ci da la vita e ci sostiene.
Egli è il cibo nutriente del Banchetto che il Padre Celeste ha fatto.
Gesù si è dato alla Sua Sposa che è la Chiesa e la Chiesa ce lo ha reso tramite i Sacerdoti.
La Chiesa Caldea nutre una grande devozione verso l’Eucaristia, partecipando alle Solenni processioni col SS. Sacramento.
Prepara i suoi figli a seguire la tradizione dei loro Padri e prega dicendo: "Signore Misericordioso il dono di Te a noi mortali è grande. Per l'acqua ci hai rivestiti del Tuo spirito, per il pane ci hai fatto mangiare il Tuo Corpo e per il Tuo Sangue vivente ci hai santificato, così ci hai uniti ai Beni Spirituali e dalla terra ci elevi al Cielo. Amen"

[00140-01.04] [IN141] [Testo originale: italiano]

- S.Em.R. Card. Godfried DANNEELS, Arcivescovo di Mechelen-Brussel, Malines-Bruxelles, Presidente della Conferenza Episcopale (BELGIO)

Ce synode sur l’Eucharistie a deux objectifs. Nous voulons d’abord réfléchir et approfondir nos connaissances des richesses du mystère de l’Eucharistie et de sa liturgie, afin de mieux l’aimer et la célébrer. Le second objectif de ce synode est de travailler pour que toutes ces richesses parviennent à s’enraciner dans une culture post-moderne qui est, sous certains aspects et à première vue, défavorable à cet enracinement.
Et pourtant notre culture est pleine de paradoxes. En dessous de cette négativité se cache la tendance opposée: pour l’home contemporain, la perception de l’invisible est difficile. Pourtant, il y a un intérêt certain pour tout ce qui est au-delà de l’horizon, au-delà du sensible, du rationnel, de l’efficacité et de la productivité; l’homme contemporain est en plus un être de l’agir, mais dans cet homme se cache aussi une immense soif de la gratuité, du don; il n’aime pas le rite à cause de sa répétitivité et sa monotonie, mais il invente néanmoins tout le temps ses propres rites; l’eschatologie chrétienne semble oubliée et même trompeuse, mais jamais il n’y a eu une telle soif d’un monde meilleur et un tel besoin d’espérance; même si le symbolisme de la liturgie eucharistique n’est pas bien perçu ni apprécié, on ne peut pas dire que notre culture soit aveugle envers les symboles, elle en invente de nouveaux trous les jours; il est vrai aussi que l’homme contemporain est porté à la manipulation et au possessif, mais il y a aussi une générosité oblative presque sans bornes (tsunami); l’homme contemporain veut bouger et nos liturgies sont souvent devenues très actives, activistes même. Mais nous oublions qu’il y a chez beaucoup de nos contemporains une véritable soif de silence. Nous avons peut-être mal compris le sens de la actuosa participatio qui implique aussi le silence devant le mystère. Tous ces éléments de notre culture portent en eux des semences pour une évangélisation de notre culture, et la meilleure évangélisation, c’est la célébration à la liturgie elle-même. Elle est en elle la première évangélisatrice.

[00141-03.03] [IN130] [Texte original: français]

- S.E.R. Mons. Louis CHAMNIERN SANTISUKNIRAM, Arcivescovo di Thare and Nonseng (THAILANDIA)

It goes without saying that secularization is destroying the faith of Catholics as well as other people in Thailand. People are less religious. They are desperately looking for new gods who, they think, might help them to be happy in their life. The Church in Thailand should help the faithful to examine their faith in God and especially in Christ being present in the Eucharist.
Faith formation on the Eucharist is a matter of urgency to be expedited. As clearly manifested, Catholic devotion toward the Eucharist is currently very weak especially among children and youth. It is, therefore, of utmost urgent necessity that a systematic and continuing formation on faith in the Eucharist be launched at first in creating the awareness of sacredness of the Eucharist with the real presence of Jesus Christ. There are also other indications that devotion to the Eucharist is not yet deep. Many a Catholic may consider receiving the Holy Communion a mere social practice so they go to communion without proper preparation. At the same time, formation on the Sacrament of Reconciliation is also quite important. This is to help the faithful to receive the Holy Communion properly by way of the Sacrament of Reconciliation. The faithful must be clearly and repeatedly educated that their life is a journey to the Father and must be nourished by the Bread of Life. Jesus Christ, the Emmanuel, is ready to accompany everyone to eternal life.
As the faithful are part of the mystical Body of Christ who is the head, participation of the faithful in the Eucharistic celebration must be active. They should be encouraged by their parish priest to form a liturgical committee to prepare in a good and meaningful way for the assembly.
To achieve the objective: formulation of faith in the Eucharist, promotion of lively participation in the Holy Mass and making Sunday the day of Eucharistic celebration become the culture of life for the faithful; the Bishops' Conference of Thailand will appoint an ad hoc committee consisting of the committee for liturgy and the theological advisory committee to expedite the above agenda until the goal has been achieved within 5 years by using all kinds of media.

[00142-02.05] [IN133] [Original text: English]

- S.E.R. Mons. Luciano Pedro MENDES DE ALMEIDA, S.I, Arcivescovo di Mariana (BRASILE)

Il commento si riferisce al n°. 37 dell’ Instrumento laboris, che tratta del “sacrificio, memoriale e convivio”.
l La dimensione sacrificale dell'Eucaristia è al centro del mistero eucaristico: "La morte e risurrezione di Gesù". Il Sacrificio di Nostro Signore progetta una gran luce sul significato della sofferenza umana e su tutta la vita dei cristiani e ci permette di comprendere il perché i cristiani, in grazia di Dio una volta perdonati, continuano a soffrire in questo mondo, in mezzo alle tribolazioni e senza essere liberati da esse.
2 Il Sacrificio della Chiesa
Ma il Signore Gesù ha voluto associare la sua Chiesa alla sua offerta di amore: "Fate questo in memoria di me". Così, la Chiesa, la comunità dei fedeli, è convocata da Gesù per vivere la "forma eucaristica", per offrire con lui, per lui e in lui la propria vita per la salvezza del mondo.
Ha dato la vita per noi e noi dobbiamo dare la nostra vita (l Gv 3, 16).
Il sacerdote all'altare si unisce all'offerta del Signore facendo sue le parole e i sentimenti di Gesù, parole di impegno della sua vita con Gesù, "pro mundi vita".
I fedeli sono chiamati ad unire la loro vita "in Cristo" e a partecipare al suo sacrificio d'amore.
"Guarda, o Padre, questa tua famiglia che si ricongiunge a Te nell'unico sacrificio del tuo Cristo (Preghiera Eucaristica RIC I). Cosi, nell'Eucaristia si realizza l’insegnamento dell'apostolo Paolo: "Fratelli, per misericordia di Dio, vi esorto ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio, è questo il vostro culto spirituale"(Rm 12,1).
3 Il senso di tutta la vita cristiana è l'unione con Cristo che si offre al Padre per la vita dell'umanità. Ecco la "forma eucaristica". È questa la bellezza dell'offerta quotidiana insegnata "dall'Apostolato della Preghiera", che invita i fedeli ad assumere la "forma eucaristica", unendo la loro vita con Maria, al cuore di Cristo che si offre per l'umanità.
4 Il discepolo di Gesù rimane in questo mondo, ingiusto e violento, in mezzo alle tribolazioni, per riparare i suoi peccati personali, ma pure per vivere la "forma eucaristica", per fare del bene agli altri, per portare frutti di salvezza, per essere sale, luce e fermento nel mondo.
5 La missione dei discepoli di Cristo è di vivere nella grazia di Dio e rimanere in mezzo alle tribolazioni in questo mondo dove esistono l'odio e divisioni, assumendo la "forma eucaristica" dell'offerta della propria vita per amore, completando nella carne quello che manca alla passione di Cristo, "per il suo corpo, che è la Chiesa" (Col 1,24).
L'Eucaristia non solo ci dà la forza per affrontare con coraggio ed amore le tribolazioni, ma ci dà la luce per comprendere il perché delle nostre sofferenze unite a quelle di Gesù: è l'amore che si sacrifica per il bene dei fratelli e per la vita del mondo.
Questo dà un'enorme pace al cuore scoprendo il progetto divino di salvezza che unisce le nostre vite e fa sicché gli uni cooperano alla salvezza degli altri.
6 Dobbiamo dunque penetrare nella bellezza della dimensione sacrificale dell'Eucaristia e invitare il popolo di Dio ad assumere la "forma eucaristica" di vivere, valorizzando il momento centrale dell' epiclese, quando lo Spirito Santo ci riunisce in un solo corpo e dell' anafora quando, nella forza dello Spirito, la Chiesa offre la propria vita con Cristo, per Cristo e in Cristo al Padre.
Il cristiano non chiede di essere liberato dalle tribolazioni e patimenti che fanno parte dellessere nel mondo, ma di rimanere sempre unito a Cristo, nella Chiesa e di offrire nella pace la propria vita in attesa della sua venuta, nella pienezza del Regno.

[00143-01.04] [IN147] [Testo originale: italiano]

- S.E.R. Mons. Nestor NGOY KATAHWA, Vescovo di Kolwezi (REP. DEMOCRATICA DEL CONGO)

1. Parmi les diverses dimensions du sacrement de l'Eucharistie, celle de sa relation au Mystère Pascal est présenté par l'Instrumentum Laboris (n° 35) comme revêtant un « caractère central»
2. Cette caractéristique de l'Eucharistie tient à sa nature même telle qu'elle est définie par le Catéchisme de l'Église Catholique: «L'Eucharistie est le mémorial de la Pâque du Christ, l'actualisation et l'offrande sacramentelle de son unique sacrifice, dans la liturgie de l'Église qui est son corps» (n° 1362). Et Ecclesia de Eucharistia précise: « De cette façon, l'Eucharistie étend aux hommes d'aujourd'hui la réconciliation obtenue une fois pour toutes par le Christ pour l'humanité de tous les temps» (n° 12).
3. L'Église devrait approfondir davantage cette mystique afin que le peuple de Dieu soit amené à expérimenter en vérité la communion au Christ qui actualise son sacrifice rédempteur.
4. Dans un pays comme le Congo-Kinshasa, les fidèles catholiques doivent être de plus en plus initié à porter à l' Autel leurs souffrances qui sont celles de tout leur peuple et qui durent depuis des décennies. Les frustrations des injustices et inégalités sociales, les rancoeurs de vivre dans l'extrême pauvreté sur un sol et sous-sol extrêmement riches mais scandaleusement exploités pour le bonheur des autres, les guerres qui lui sont imposées entraînant destructions et déplacements forcés, les soubresauts des haines tribales et ethniques... pour ne citer que ces quelques échantillons, sont des tragédies qui tapissent le chemin de croix du peuple congolais. Étant lui-même à la fois victime et artisan de sa propre misère, il doit être illuminé par le mystère du Corps livré et du Sang versé afin d'y trouver la grâce de la conversion, la purification de son péché, la sincérité de la réconciliation avec Dieu et avec son prochain, l'engagement à combattre le mal sous toutes ses formes et dans tous les secteurs de la vie publique et privée. Que dans l'Eucharistie, l'ensemble du peuple congolais, de même que les pasteurs de l'Église, trouvent le réconfort et les énergies nécessaires, sources et gages du redressement du pays qui est espéré et attendu, pour s'imposer le plus rapidement possible. Ceci, grâce à la bonne volonté et la collaboration sincère de tous. C'est alors que ministres consacrés et fidèles pourront intérioriser cette prière de la Messe:
«Regarde, Seigneur, cette offrande que tu as donné toi-même à ton Église; accorde à tous ceux qui vont partager ce pain et boire à cette coupe d'être rassemblés par l'Esprit Saint en un seul corps, pour qu'ils soient eux.-mêmes dans le Christ une vivante offrande à la louange de ta gloire» (Missel Romain, Prière Eucharistique IV). Amen.

[00144-03.03] [IN145] [Texte original: français]

- S.B.R. Nerses Bedros XIX TARMOUNI, Patriarca di Cilicia degli Armeni, Capo del Sinodo della Chiesa Armena Cattolica (LIBANO)

Née en 301, l'Eglise arménienne trouva que le Dimanche était déjà désigné "Jour du Seigneur" par toutes les Eglises. Elle en fit de même et développa sa tradition riche et propre autour du Dimanche. Les Pères de l'Eglise arménienne ont sévèrement condamné les prêtres qui ne célèbrent pas l'Eucharistie ou qui ne respectent pas le repos dominical le Dimanche. La célébration Eucharistique du Dimanche dans la liturgie arménienne est solennelle et est, par conséquent, toujours chantée. Dans les villages d'Arménie et de Georgie, loin de la sécularisation des grandes villes, j'ai vu nos fidèles célébrer le Dimanche vraiment comme un jour de grande joie et de fête, avec une participation active de toute l'assemblée à la Liturgie Eucharistique. La fête de Pâques est la date centrale du calendrier liturgique, de sorte que tous les Dimanches de l'année s'adaptent sur la date de Pâques, qui est mobile. Les grandes fêtes aussi sont transférées au Dimanche. Ainsi, la Transfiguration est célébrée le 14° Dimanche après Pâques, l'Assomption le Dimanche le plus proche du 15 Août et l'Exaltation de la Sainte Croix le Dimanche le plus proche du 14 Septembre. De même, aucune commémoration de saint n'est célébrée le Dimanche, qui est consacré à la Résurrection du Seigneur. Une autre caractéristique des Dimanches dans la liturgie arménienne: 4 Dimanches de l'année sur les 5 fètes dites des Tabernacles jouissent d'une vénération spéciale: Pâques, la Transfiguration, l'Assomption de Marie, l'Exaltation de la Croix, la 5° fête étant l'Epiphanie, appelée Théophanie. Ils sont précédés par une période de jeûne et sont suivis le lendemain par la commémoration des Défunts. Un des Pères de l'Eglise arménienne exhorte les fidèles ainsi: "Exalter le Dimanche par vos bonnes oeuvres, car le Dimanche est le jour de la Résurrection et de la liberté.

[00073-03.04] [IN011] [Texte original: français]

- S.E.R. Mons. Michael Louis FITZGERALD, M. Afr., Arcivescovo titolare di Nepte, Presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso (CITTÀ DEL VATICANO)

In the Eucharist the sacrifice of the Lord is offered for the whole word. Included therefore are those who belong to other religions. It is good to make this explicit from time to time, by means of the homily, through special prayers, or even through a special Mass which could be added to the Roman Missal. When people of other religions are present at the Eucharist, special attention should be given them so that they can assist with profit. Eucharistic adoration is also a time for praying for people of other religions.

[00097-02.05] [IN026] [Original text: English]

- S.E.R. Mons. Charles Maung BO, S.D.B., Arcivescovo di Yangon, Presidente della Conferenza Episcopale (MYANMAR)

In any situation in our world, our best reaction is to give our lives wholeheartedly to Christ, through prayer and penance. Prayer should especially be in the presence of Jesus Himself - in the most Blessed Sacrament.
That is the foundation of the worldwide movement for Perpetual Eucharistic Adoration.
Pope Paul said he wrote this encyclical - Mysterium Fidei "so the hope aroused by the Council that a new era of Eucharistic piety pervade the whole Church be not frustrated." He pleaded with pastors and bishops to "tirelessly" promote devotion to the Blessed Sacrament.
Pope John Paul II, in his letter On the Mystery and Worship of the Eucharist (1980), wrote: "The Church and the world have a great need for Eucharistic adoration. Jesus waits for us in this sacrament of His love. In the opening prayer of the Perpetual chapel in St. Peter's - Vatican the Pope prayed for every parish in the world to have perpetual adoration.
His Holiness Benedict XVI has very vividly expressed: "Let us beseech the Lord to reawaken in us the joy at His presence and that we may once more adore Him. Without adoration, there is no transformation of the world"
When asked "What will save the world?" Mother Teresa replied: "My answer is prayer. What we need is for every parish to come before Jesus in the Blessed Sacrament in holv hours of pravers."
Over 2,500 parishes around the world now have Perpetual Eucharistic Adoration. About 500 in the Philippines, the United States has about 1,100 chapels of perpetual adoration, the Republic of Ireland about 150, South Korea has about 70 and lesser numbers in India, Sri Lanka and Myanmar.
Holy Father, if the Perpetual Adoration Chapels were to be established in all the dioceses in the world and in all the possible parishes, what a magnificent result would be from the Eucharistic year.
“Everything in the universe cried aloud: to tho One seated on the throne and to the Lamb be all praise and honor, glory and power forever end ever.” (Rev. 5:13)
This is true: until the Church cries out that Jesus in the Blessed Sacrament is worthy of perpetual adoration for all He has done for our salvation, it will continue to be defeated by it's enemies.
I believe, the best, the surest and the most effective way of establishing everlasting peace on the face of the earth is through the great power of Perpetual Adoration of the Blessed Sacrament.
Gratias.

[00098-02.05] [IN029] [Original text: English]

- S.E.R. Mons. Julián LÓPEZ MARTÍN, Vescovo di León (SPAGNA)

Partiendo de la centralidad de la Eucaristía en la vida cristiana, en paralelo con la centralidad del Misterio pascual, quisiera recordar la íntima relación existente entre la Eucaristía y el año litúrgico, cuyo núcleo y fundamento es precisamente el domingo (cf. SC 106). El año litúrgico es el "sagrado recuerdo en días determinados a través del año", especialmente los domingos, que la Iglesia va haciendo para "conmemorar así los misterios de la Redención, y abrir las riquezas del poder santificador y de los méritos de su Señor... " (SC 102). Este despliegue o desarrollo "de todo el misterio de Cristo" lo hace la Iglesia sirviéndose ante todo del Leccionario dominical y festivo de la Palabra de Dios. De este modo el Señor resucitado es siempre contenido obligado del domingo y aun de cualquier fiesta.
Después de la proclamación de la Palabra, la totalidad del misterio de Cristo es celebrado en su integridad esencial por la plegaria eucarística, actualizándose sacramentalmente bajo la acción del Espíritu Santo. La Eucaristía es una piedra preciosa engarzada en el anillo del Año litúrgico.
Algunas consecuencias prácticas:
1. Evitar el traslado de fiestas de santos u otras conmemoraciones de menor categoría al domingo. 2. Procurar que las Jornadas eclesiales en domingo no oscurezcan el día del Señor 3. Homilía mistagógica, porque el Leccionario dominical y festivo permite suficientemente tocar todos los aspectos de la doctrina de la fe y los principios de la vida cristiana. Y 4. En la enseñanza de la liturgia se ha de insistir en esta íntima relación de la Eucaristía con el año litúrgico.

[00099-04.05] [IN035] [Texto original: español]

- S.E.R. Mons. Thomas Christopher COLLINS, Arcivescovo di Edmonton (CANADA)

We should see the Eucharist not primarily as something that we create, but as the Mystery of Faith in which we encounter the Risen Christ, whose coming in glory we await, and as a divine gift that allows us access to the court of heaven. This approach to the Eucharist was found in the earliest days of the Church, in the Apocalypse, which itself arose out of the celebration of the Eucharist, and which gives us insight into its meaning.
The Christians of the Apocalypse faced challenges at least as great as ours, but they placed them within the context of a vision of the heavenly court. We need to see each celebration of the Eucharist as a door into that world of glory, which allows us to place our struggles as disciples within the energizing context of the victory of the Risen Lord. The gift of apocalyptic perspective granted to us by God through each celebration of the Eucharist allows us more clearly to assess the moral questions which we face on our daily journey.
To live authentically as Christians, we also need an apocalyptic sense of urgency. When we realize that we are hurrying towards an encounter with Christ we are able properly to evaluate the claims of this passing world of ours, and to live each brief moment to the full. It is above all in the Eucharist that we are made aware of the coming of the Lord, and this should instill in us a sense of saving urgency so that as we are sent out from the celebration we are moved to bring our life into harmony with the Lord whom we have encountered.

[00101-02.05] [IN037] [Original text: English]

Quindi, alla presenza del Santo Padre, sono seguiti gli interventi liberi. Al termine di questi, il Santo Padre ha voluto offrire un suo contributo alla condivisione fraterna.

A questa Congregazione Generale che si è conclusa alle ore 19.00 con la preghiera dell’Angelus Domini erano presenti 243 Padri.

 
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icon13  view post Posted on 13/3/2007, 14:09     +1   -1




Dice Mons. Gherardini:
"Lo zikaron veterotestamentario era infatti il ricordo, la memoria dell’evento passato: lo esprimeva nel rito, lo rendeva presente nel ricordo dei buoni israeliti, ma non lo rinnovava, non lo ripeteva, non lo coinvolgeva oggettivamente nella loro esperienza. Tutto il contrario avviene nel sacramento, che proprio per questo non è uno zikaron: nella realtà misterica del presente, ossia per l’efficacia di cui Cristo ha caricato il sacramento, il passato si attualizza e si ripropone, si ripete, si rinnova. Non nella sua oggettività d’evento determinato nel tempo e nello spazio (sarebbe un assurdo), bensì nella rassomiglianza (Rm 6,5; 8,3; Fil 2,7; Ebr 4,15) del fatto sacramentale."

I liturgisti cattolici contemporanei sono di parere diverso: infatti la categoria teologica di ziqquaron (memoriale) è fondamentalmente la stessa per gli Ebrei e i Cristiani. Anche gli Ebrei erano e sono convinti che lo Ziqquaron ripresenti avvenimenti passati non solo a livello di semplice memoria (livello psicologico), ma ripresentandone l'efficacia salvifica: ad esempio nella cena pasquale il capofamiglia dice al più giovane "oggi Dio ti ha fatto uscire dal paese d'Egitto". Tra le altre cose è da notare che anche Gesù ha fedelmente e fino all'ultimo partecipato alla liturgia ebraica, con ciò avallando un livello di "realtà" e non di semplice memoria. Tra l'altro, l'Ultima Cena e l'istituzione dell'eucarestia sono avvenute proprio nel corso di una cena pasquale ebraica; difficile pensare ad una cornice finta per un sacrificio vero, oppure sostenere che si sia trattato di una sorta di divina condiscendenza. Ciò che è differente, tra la liturgia ebraica e quella cristiana è semmai l'efficacia salvifica, che è ovviamente diversa a causa del compimento del Mistero Pasquale di Cristo.
 
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TotusTuus
view post Posted on 13/3/2007, 20:47     +1   -1




Ritengo la risposta di Mons. Gherardini assai più sensata e fondata di quelle fornite da liturgisti contemporanei.
Lo zikaron veterotestamentario è memoria, commemorazione, rievocazione. Il tutto ha un valore simbolico giacchè la cena commemora la liberazione dell'Egitto. L'avvenimento è quindi presente nel ricordo, nella memoria, ma non rivive nè nella sua storicità nè sacramentalmente.
Cristo certamente ha seguito i riti ebraici prescritti, la Cena tuttavia è l'anticipazione del sacrificio nella realtà sacramentale. Nella Messa infatti si ha uno zikaron nuovo, con presenza reale di Cristo, ben diverso da quello di stampo ebraico.
 
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view post Posted on 13/3/2007, 21:34     +1   -1




una liturgia che sia semplice memoria è fictio: ovvero una sorta di rappresentazione, come il teatro. La vera liturgia è invece actio: azione (rituale).
Dal punto di vista antropologico, è un dato proprio di molte religioni il fatto che i propri riti siano actio e non fictio. E proprio per questo l'eresia protestante è ridicola perchè va non solo contro la fede ma anche contro l'antropologia (ma questo i riformatori non lo sapevano).
Per gli Ebrei, la liturgia non è "nuda commemoratio" (come per i protestanti): è qualcosa di più. E' la convinzione che Dio, come nella sua onnipotenza ha compiuto nella storia un determinato evento salvifico, può applicarne gli effetti in qualche modo anche a noi mediante la ripetizione dell'evento salvifico per tramite di un rito. E' una sorta di embrione dell'economia sacramentale cattolica. Embrione che viene portato da Gesù a maturazione.
 
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view post Posted on 13/3/2007, 21:49     +1   -1




Per dare l'idea, quando gli Ebrei celebravano la Pasqua, non solamente ricordavano l'evento, ma credevano che Dio avrebbe "applicato" la salvezza anche a loro. Certo, la pasqua ebraica non rende presente hic et nunc l'evento della liberazione del popolo ebraico a titolo di realtà tanto quanto una messa cattolica rende presente hic et nunc il corpo di Cristo. Per fare un paragone più calzante, potremmo prendere l'anno liturgico cattolico, che rende presenti a noi eventi della vita di Cristo ad un titolo non di presenza reale, ma neanche di semplice memoria.
Faccio osservare che la teologia cattolica ha approfondito tanto il mistero eucaristico, la presenza reale ecc., ma prima degli studi del Casel e successivi il senso della nostra liturgia come mysterion, anamnesis e storia della salvezza era piuttosto oscurato: difficile pensare che potessimo vedere nella liturgia degli altri quello che non vedevamo neanche nella nostra.
 
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TotusTuus
view post Posted on 14/3/2007, 09:41     +1   -1




Il rito ebraico, vario e complesso – coppe di vino, pane azzimo, agnello, benedizioni – si esaurisce nella narrazione, nella rievocazione, nel ricordo dell’antica sofferenza della schiavitù e della gioia della liberazione: è un rito anche di identità tra l’ebreo di oggi e l’ebreo d’allora, l’identità di un popolo.

I partecipanti alla cena, alle benedizioni e alla rievocazione narrativa, se intensamente concentrati, si trasportano con l’animo nell’evento della liberazione e si sentono partecipi di quella storia. E ringraziano Dio e lo pregano affinché la benedizione di un tempo continui per l’oggi e per il domani.

Il rinnovamento quindi avviene solo nel ricordo, per quanto pressante ed intenso possa essere.

Anche questo rito è actio, come del resto tutti i riti: ma un’actio che non rinnova, non ripete, non ripresenta realmente in modo storico o mistico il contenuto dell’actio: che resta actio di memoria, ringraziamento e speranza che quella libertà donata e riacquistata non venga più perduta.

Nella cena di Gesù non è lo zikaron la parte centrale, ma il dopo cena: il sacrificio
 
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20 replies since 13/5/2006, 21:56   1855 views
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