La dottrina sociale della Chiesa: natura e storia
di Giovanni Cantoni
1. "Creazione, peccato, Redenzione"
La Chiesa cattolica si vuole società sui generis, in quanto fondata direttamente da Dio nella persona di Gesù Cristo e con caratteri simili a quelli di ogni società fondata indirettamente da Dio stesso attraverso la naturale socialità umana, cioè come ogni società appunto umana, istituita però direttamente dagli uomini. La visione del mondo cattolica è ritmata da una sequenza, che rende ragione di tutto l’operare della Chiesa e dei "mondi" costituiti da cattolici come risultato di una conversione e di una inculturazione, cioè come esito di una implantatio non solo religiosa, ma anche socio-culturale. La sequenza in questione è "Creazione, peccato, Redenzione", esprimibile anche, con particolare attenzione all’uomo, attraverso tre aggettivi atti a descrivere tre diverse condizioni dell’uomo stesso: formatus, deformatus, reformatus, "formato", "deformato", "riformato". Tale sequenza suppone Dio creatore di una realtà con una ratio, una "ragion d’essere", che l’uomo, parte di questa realtà, intuisce con il senso comune attraverso la rilevazione che "res sunt" — secondo la felice formula dello storico della filosofia e filosofo Étienne Gilson (1884-1978) —, che "vi sono le cose", fra le quali ne vengono poi apprezzate di particolari: "homines sunt", "vi sono gli uomini". Segue l’approfondimento di questa rilevazione attraverso l’operare umano, principalmente grazie a quello contemplativo che si esprime nella filosofia e coglie un diritto naturale, e attraverso la catalogazione dell’operare umano stesso e dei suoi frutti, cioè grazie all’esperienza storica, che svela l’essere dell’operatore: infatti "operari sequitur esse", "l’agire consegue all’essere". Un atto umano compiuto in illo tempore, in principio, il "peccato originale", il rifiuto da parte dell’uomo della propria condizione di creatura, ha ferito l’operare umano, sia com’è posto dalla volontà che com’è espresso dall’intelligenza.
Così s’impone una restaurazione della realtà ferita, un’integrazione dei doni collegati alla creazione, alla natura, cioè l’integrazione soprannaturale della grazia, che si manifesta attraverso la Rivelazione, con la costituzione della Chiesa, che annuncia la Buona Novella, conferma i caratteri della natura anteriori alla deformazione prodotta dal peccato originale e amministra i sacramenti, veicoli ordinari della grazia, cioè dell’aiuto straordinario da parte di Dio. Dell’annuncio fa parte la conferma di una regola di comportamento — la morale e lo sforzo, l’ascesi che l’accompagna, risposta dell’uomo al misterioso, "mistico", aiuto di Dio —, il cui rispetto garantisce il ritorno all’origine, al punto di partenza: da Dio, come fonte, tutto viene, e a Dio, come fine, tutto va. I due itinerari vengono indicati nel linguaggio della teologia scolastica in genere, e in quello di san Tommaso d’Aquino (1225 ca.-1274) in specie, come exitus e reditus, rispettivamente "uscita" e "ritorno".
2. Morale individuale e sociale, morale naturale e rivelata
La morale individuale è l’indicazione dei valori di riferimento ai quali l’uomo come singolo deve guardare nel suo agire perché, nato ferito dalla caduta originale, possa essere redento e tornare a Dio.
La dottrina sociale della Chiesa è l’indicazione comportamentale, cioè morale, intesa a contrastare le difficoltà costituite per l’agire dell’uomo dalla cosiddetta "questione sociale", cioè dall’insieme delle difficoltà, derivanti dal peccato originale, dell’operare degli uomini nelle loro relazioni con Dio come gruppi sociali, nella vita di convivenza fra loro e fra gruppi sociali, e nei rapporti suscitati dalle relazioni con i beni sia dei singoli, che — di nuovo — dei gruppi umani.
Una dottrina morale sociale esiste ed è sempre esistita fra gli uomini, quale ne sia o ne sia stata l’espressione, "mitica", cioè esemplare, o filosofica, cioè riflessa e astratta; ed essa ha trovato nella Sacra Scrittura un’espressione privilegiata, in quanto rivelata, quindi garantita dal Rivelatore. Inoltre la sua esplicitazione è passata dall’intervento episodico all’insegnamento sociale: dalla terapia sociale, dalla denuncia e dall’indicazione nel caso concreto all’educazione sociale integrale. Così, alle indicazioni sociali veterotestamentarie seguono quelle neotestamentarie; quindi, il Magistero ecclesiastico accompagna la vita delle società alle quali annuncia, alla luce della regalità di Cristo, e nelle quali testimonia nel tempo le verità della Creazione, del peccato e della Redenzione con indicazioni sollecitate dalle necessità di tali società.
3. Dalla terapia sociale all’educazione sociale integrale
Tutti i giudizi su temi sociali, necessitati dai fatti, emessi da autorità spirituali e gerarchiche dopo la fondazione della Chiesa costituiscono espressioni della dottrina sociale della Chiesa, che è sollecitata a formulazioni sempre più organizzate dallo svolgimento della vita nella società in cui si trova storicamente a vivere; prima la società romana, che continua nella Pars Orientis dell’impero nella società romano-orientale o bizantina, poi la società romano-germanica. Se l’intervento morale è suggerito dallo svolgimento sociale, è letteralmente incalzato dal tralignamento dell’ultima società in questione — conseguenza sub specie societatis del peccato originale — a partire dal Rinascimento, quindi dalle premesse — l’accumulazione originaria — della Rivoluzione industriale, poi dalle modifiche delle strutture organizzative della società, con particolare rilievo per quelle politiche. Perciò, nel tempo che si stende dall’emanazione di una delle prime lettere encicliche, la Vix pervenit del 1745, di Papa Benedetto XIV (1740-1758), fino al 1961, data di pubblicazione dell’enciclica Mater et Magistra da parte di Papa Giovanni XXIII (1958-1963), cresce un corpo dottrinale di cui — nella parte IV dell’ultimo documento citato — viene data una denominazione ormai determinata, "dottrina sociale della Chiesa", e del quale è anche indicata la portata, "parte integrante della concezione cristiana della vita". Punto nodale di questo itinerario è costituito dal 1891, anno di pubblicazione dell’enciclica Rerum novarum a opera di Papa Leone XIII (1878-1903), alla quale non solo nella vulgata è ormai consuetamente collegata la nozione di dottrina sociale della Chiesa come magna charta di essa. Si tratta di un legame che necessita almeno di una precisazione: l’attenzione alla societas testimoniata dal documento di Papa Leone XIII non dev’essere ridotta alla sola dimensione socio-economica del reale sociale.
L’itinerario indicato prosegue — ed è destinato a proseguire fino alla fine dei tempi — fino alla determinazione dello statuto della dottrina stessa al n. 46 dell’enciclica Sollicitudo rei socialis, pubblicata da Papa Giovanni Paolo II nel 1987, dov’è qualificata come "teologia morale", e oltre, fino a un’esposizione compendiosa nel Catechismo della Chiesa Cattolica, del 1992, nella forma di commento sub specie societatis, cioè per l’uomo in quanto essere sociale, al decalogo. Il che conferma che la dottrina sociale naturale e cristiana è appunto riproposizione e commento al decalogo, espressione privilegiata della legge naturale e i cui dieci comandamenti appartengono alla Rivelazione di Dio: infatti, benché accessibili alla sola ragione, i precetti del decalogo sono stati rivelati perché "una completa esposizione dei comandamenti del Decalogo — nota san Bonaventura da Bagnoregio (1217 ca.-1274) (In libros sententiarum 4, 37, 1, 3) — si rese necessaria nella condizione di peccato, perché la luce della ragione si era ottenebrata e la volontà si era sviata". Com’è nella natura della vita culturale delle società umane, la continua riesposizione della morale sociale nel caso concreto porta con sé anche un’altrettanto continua rielaborazione, quindi produce una maggior comprensione del deposito da parte della Chiesa, gerarchia e fedeli. Si tratta di una maggior comprensione che non comporta assolutamente una mutazione né del contenuto né, tanto meno, della natura del deposito. Sollecitazioni che inducono a un costante approfondimento, quindi allo svolgersi del magistero sociale, sono prodotte anche dalle difficoltà del mondo non solo contemporaneo alla Chiesa, ma con cui essa concretamente convive. A queste complicazioni, che costituiscono altrettanti fattori di complessità, s’affiancano le problematiche presentate dal processo di secolarizzazione, cioè di maliziosa espunzione delle motivazioni e delle finalità religiose dalla vita delle società umane, nonché il recepimento, talora oggettivamente secolarizzante, delle acquisizioni scientifiche e le dimensioni sociologiche delle mutazioni tecnologiche, soprattutto di quelle relative agli strumenti di comunicazione sociale. Così si spiegano — fra l’altro — le prese di posizione del Magistero della Chiesa, autentici presidi, sulle nuove frontiere della bioetica e dell’ecologia.
4. La formazione della coscienza sociale
La natura di morale sociale della dottrina sociale della Chiesa ne fa alimento indispensabile per la formazione della coscienza sociale, in quanto tale dottrina contiene i princìpi di riflessione, i criteri di giudizio e le direttive di azione per la coscienza del singolo fedele. Poiché la creazione, la conservazione e la rettificazione della società deformata passano attraverso l’intervento dell’uomo come essere vivente sociale, la morale sociale non è programma né legge positiva, ma costellazione di valori d’orientamento per ogni operare sociale storicamente determinato.
L’esplicitazione della dottrina sociale della Chiesa, derivata dalle necessità storiche evidenziate, il suo passaggio da messaggio implicito a messaggio esplicito, hanno talora prodotto un certo temporaneo disorientamento, una ricezione impropria di essa. Tale ricezione impropria si potrebbe indicare come una "ricezione ideologica", analoga a quella che trasforma l’orientamento proprio di una direzione spirituale in una legge positiva, facendo sì che il direttore surroghi il diretto subentrando in qualche modo nella di lui responsabilità.
Tale ricezione ideologica ha fatto sì che nella dottrina sociale si cercassero — talora, nella coscienza soggettiva degli stessi uomini di Chiesa, si proponessero — programmi politico-sociali anziché indicazioni di massima, anche se aggiornate alle problematiche proposte sia dal positivo che dal negativo che si presentano con caratteri di novità, di res novae, nel corso della storia.
Accanto alla ricezione ideologica si situa, negli anni 1960 e 1970, cioè negli anni immediatamente seguenti il Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965), un tentativo intraecclesiale teso a ridurre la rilevanza della dottrina sociale attraverso artifici lessicali quale la sua definizione come "insegnamento", nella prospettiva della sua negazione, cioè della sua trasformazione in una "morale sociale della situazione", quindi tanto condizionata dalla situazione storica da perdere quasi ogni significativa portata normativa. A partire dal 1979 si è realizzata, da parte delle massime autorità della Chiesa, una rivalutazione della dottrina stessa — non per questo adeguatamente compresa, studiata e, soprattutto, tenuta nella dovuta considerazione — attraverso la pubblicazione di numerosi documenti da parte di Papa Giovanni Paolo II, soprattutto dell’enciclica Centesimus annus, del 1991, ricca di indicazioni sulla natura e sulla storia della dottrina sociale.
Per approfondire: vedi Congregazione per l’Educazione Cattolica, Orientamenti per lo studio e l’insegnamento della dottrina sociale della Chiesa nella formazione sacerdotale, del 30-12-1988; card. Joachim Meisner, Teologia, antropologia ed economia, trad. it., in Cristianità, anno XVIII, n. 178, febbraio 1990, pp. 9-10; Jean-Yves Calvez S.J. e Jacques Perrin S.J., Chiesa e società economica. L’insegnamento sociale dei Papi da Leone XIII a Giovanni XXIII (1878-1963), trad. it., Centro Studi Sociali, Milano 1965, pp. 7-117; Hervé Carrier S.J., Dottrina sociale. Nuovo approccio all’insegnamento sociale della Chiesa, trad. it., 2a ed., San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 1996; e i miei Dottrina sociale e lavoro umano nel messaggio della "Laborem exercens", in Cristianità, anno IX, n. 78-79, ottobre-novembre 1981, pp. 1-20, soprattutto pp. 3-5; La buona battaglia di Alleanza Cattolica per la maggiore gloria di Dio anche sociale, ibid., anno XI, n. 100, agosto-settembre-ottobre 1983, pp. 3-5; La "rivalutazione" della dottrina sociale della Chiesa, ibid., anno XIV, n. 133, maggio 1986, pp. 3-5; Dottrina sociale, teologia morale e coscienza, ibid., anno XVII, n. 165, gennaio 1989, pp. 5-7; e L’"Anno della Dottrina sociale della Chiesa", ibid., anno XIX, n. 189, gennaio 1991, pp. 3-6.
La dottrina sociale della Chiesa: princìpi, criteri e direttive
di Giovanni Cantoni
1. La morale sociale nel "Catechismo della Chiesa Cattolica"
La dottrina sociale della Chiesa — il corpo dottrinale in progress, "fabbrica" destinata a chiudersi alla fine dei tempi, di cui sono note le grandi linee e le fondamenta, che si viene costituendo nel corso della storia a opera della Gerarchia e sulla base dell’elaborazione delle scienze umane soprattutto in risposta alle sollecitazioni delle diverse società umane — comporta tre aree: princìpi di riflessione, criteri di giudizio e direttive di azione. Essa ha trovato una ricostruzione e un’esposizione compendiose di particolare rilevanza magisteriale nel Catechismo della Chiesa Cattolica, pubblicato da Papa Giovanni Paolo II nel 1992, come strumento valido e legittimo della comunione ecclesiale e come norma sicura per l’insegnamento della fede, per la catechesi, cioè per l’attività attraverso la quale la Chiesa, in tutte le sue articolazioni, fa eco alla Sacra Scrittura, alla Tradizione apostolica, al Magistero ecclesiastico proclamando i "diritti dell’uomo" senza anteporli ai "diritti di Dio", dei quali si deve riconoscere e rispettare il primato, non solo come fonti di precisi doveri corrispondenti, ma anche come fondamenta e garanzie dei primi.
2. Princìpi di riflessione
I princìpi di riflessione della dottrina sociale naturale e cristiana sono costituiti dal primato della persona umana, dal principio di sussidiarietà e da quello di solidarietà.
Quanto all’uomo, se ne afferma la naturale socialità e si indica il fondamento della sua grandezza nell’esser stato creato a immagine e somiglianza di Dio, sì che la dimensione stessa di tale grandezza è la gloria di Dio: "La gloria di Dio — scrive sant’Ireneo di Lione, un Padre della Chiesa, di lingua greca, del secolo II — è l’uomo vivente, ma la vita dell’uomo è la contemplazione di Dio" (Adversus haereses 4, 20, 7); l’uomo è posto al centro del mondo delle creature visibili e invisibili, tutte ricolme della gloria del Creatore e che ne proclamano la gloria, sì che, attraverso la storia del cosmo visibile e invisibile, s’innalza, come un Tempio immenso, un abbozzo del Regno eterno di Dio.
Nell’esecuzione di quest’opera, in base al principio di sussidiarietà, l’uomo deve esser messo in condizioni di realizzare e all’uomo si deve domandare che realizzi tutte le proprie potenzialità prima di auspicare e di richiedere l’intervento di altri uomini a soddisfare le sue esigenze naturali — cioè derivanti dalla sua natura sociale, che lo rende strutturalmente bisognoso dell’aiuto di altri —, sia a integrare le deficienze dovute alle conseguenze del peccato originale. Questo rapporto fra il singolo e la società come insieme di altri uomini è modello anche per le relazioni fra i diversi corpi sociali intermedi, a partire dalla società matrimoniale, da quella familiare e oltre, fino alla comunità delle nazioni.
Ancora: nell’esecuzione di quest’opera il vantaggio spirituale e materiale del singolo uomo dev’essere perseguito in armonia con il vantaggio dell’umanità come insieme di tutti gli uomini — è il principio di solidarietà —, cioè nella prospettiva del bene comune di ogni società e della società universale inteso come insieme delle condizioni che, ai diversi livelli e nelle diverse situazioni, garantiscono e favoriscono le migliori situazioni di vita di ogni singolo, quindi la realizzazione sociale della gloria di Dio.
I princìpi evocati trovano la loro codificazione nella regolamentazione dei rapporti con Dio dell’uomo e della società che forma e di cui vive, implicito commento alla prima tavola del decalogo che appunto li prevede nei primi tre comandamenti; quindi nell’implicito commento alla seconda tavola della stessa legge, che riguarda le relazioni fra gli uomini e degli uomini con i beni.
3. Criteri di giudizio
Quanto ai rapporti con Dio delle società — con particolare riguardo alle società politiche, cioè agli Stati —, l’orizzonte costituito dal primo comandamento, "Non avrai altro Dio fuori di me", comporta un’accoglienza della verità della religione cristiana da parte della società in un modo quanto più possibile integrale, per cui anche la confessionalità dello Stato — cioè del profilo organizzativo della società —, con il riconoscimento della missione unica della Chiesa cattolica, è obiettivo da perseguire, naturalmente sulla base inamovibile della libertà religiosa, che esclude ogni e qualsiasi coercizione sociale e civile in materia religiosa. Le esigenze sociali insite nel secondo comandamento, "Non nominare il nome di Dio invano", comportano che i diritti alla libertà di coscienza, d’opinione e d’espressione non esonerino dal dovere di trattare con deferente considerazione l’esperienza spirituale di quanti credono in Dio e che, offendendo pubblicamente Dio, non si commetta soltanto una grave colpa morale, ma si violi pure un preciso diritto della persona al rispetto delle proprie convinzioni religiose. Circa il terzo comandamento, "Ricordati di santificare le feste", l’osservanza di un giorno settimanale di preghiera e di riposo, con effetto rigeneratore e tonificante sull’esistenza umana, dev’essere garantito contro l’asservimento al lavoro e il culto del denaro.
Il quarto comandamento, "Onora il padre e la madre", espresso nella forma di un dovere da compiere, è uno dei fondamenti della dottrina sociale naturale e cristiana. Infatti riguarda la famiglia, fondata sul matrimonio eterosessuale, monogamico e indissolubile, offeso in radice dalla permissione del divorzio, che — con l’adulterio, l’incesto, l’omosessualità e ogni abuso sessuale — contrasta con il sesto comandamento, "Non commettere atti impuri". Cellula originaria della vita sociale, la famiglia — alla quale spetta il diritto primario all’educazione dei figli e alla libera scelta della scuola — esercita a tale vita, educando implicitamente all’organicità sociale, quindi sia all’uguaglianza che alla diversità fra gli uomini, sia alla gerarchia che alla fraternità sulla base della comune paternità nonché all’identificazione dei propri diritti e dei corrispondenti doveri. Inoltre della vita sociale, in ogni suo grado, è nello stesso tempo modello e modulo, sulla cui base realizzare la partecipazione alla vita politica — contrapponendo democrazia a totalitarismo, ma guardandosi dal totalitarismo democratico, cioè da una democrazia che voglia imporre i valori a maggioranza — ed esercitare l’autorità come servizio.
Il quinto comandamento, "Non uccidere", rifiuta l’omicidio diretto e volontario, l’aborto e l’eutanasia, nonché il suicidio e quei generi di suicidi promossi fisicamente dall’assunzione di droghe, con tutta l’attività criminale che la circonda, e moralmente dagli scandali provocati, di volta in volta, da leggi o da istituzioni, dalla moda o dall’opinione pubblica. A tali scandali si affiancano la permissività dei costumi e l’intossicazione pornografica, dai quali mette in guardia il nono comandamento, "Non desiderare la donna d’altri". Sempre al quinto comandamento rimandano il rispetto dell’integrità corporea e psichica e il divieto di ogni sperimentazione scientifica sugli esseri umani che li esponga a rischi sproporzionati o evitabili — neppure con il consenso esplicito del soggetto o dei suoi aventi diritto — nonché la condanna di rapimenti, di presa di ostaggi e di terrorismo. Nel quadro del rispetto della vita si situano lecitamente sia la legittima difesa, la cui versione macroscopica è la guerra, che la pena di morte, pratiche da scongiurare con ogni sforzo ragionevole e possibile — soprattutto a fronte delle moderne tecniche di guerra e del moderno disprezzo per la vita — ricorrendo a modalità quali la trattativa diplomatica, l’arbitrato internazionale e la carcerazione.
Il settimo e il decimo comandamento, "Non rubare" e "Non desiderare la roba d’altri", fondano la liceità del diritto di proprietà privata, acquisita con il lavoro o ricevuta in eredità oppure in dono; non eliminano però l’universale destinazione dei beni, anche se la promozione del bene comune esige il rispetto della proprietà privata, del diritto a essa e del suo esercizio, e condannano ogni forma di esproprio surrettizio, quale quello fiscale. Al diritto di proprietà s’affianca quello d’iniziativa economica, nonché il rispetto dell’integrità della creazione. Comunque la vita economica dev’essere garantita dallo Stato, che deve sorvegliare e guidare l’esercizio dell’attività e dei diritti nel settore, quindi dare un solido inquadramento giuridico pure al mondo finanziario.
Infine l’ottavo comandamento, "Non dire falsa testimonianza", non riguarda solo la veridicità nella testimonianza in sede giuridica e contrattuale, ma l’informazione attraverso i mezzi di comunicazione sociale, nel suo contenuto sempre vera e — salve la giustizia e la carità — integra, e nel modo onesta e rispettosa delle leggi morali, dei legittimi diritti e della dignità dell’uomo.
4. Direttive di azione
I princìpi enunciati e le determinazioni della legge naturale e cristiana costituiscono la premessa di ogni ascesi sociale, cioè di ogni opera sociale e di ogni sforzo politico teso alla realizzazione delle condizioni massimali e ottimali della convivenza a ogni livello, da quello fra famiglie a quello internazionale, a partire dalla messa in atto di ogni gesto utile allo svolgimento di tale attività, quindi alla preventiva conquista — ove necessario — e alla conservazione di una condizione di libertà, che per il cristiano coincide con la libertas Ecclesiae, ma che si rivela anche libertas hominis, grazie appunto alla relazione fra il decalogo e la "legge naturale", per cui "fin dalle origini — come afferma sempre sant’Ireneo —, Dio aveva radicato nel cuore degli uomini i precetti della legge naturale. Poi si limitò a richiamarli alla loro mente. Fu il Decalogo" (op. cit. 4, 15, 1); quindi — con altra formulazione — grazie all’interdipendenza fra i "diritti di Dio" e i "diritti dell’uomo", che non solo non si escludono, ma vanno di pari passo. Perciò s’impone quella che Papa Giovanni Paolo II chiama — al n. 26 dell’esortazione apostolica post-sinodale Reconciliatio et paenitentia, del 1984 — la "quadruplice riconciliazione" dell’uomo "con Dio, con se stesso, con i fratelli, con tutto il creato", nella cui prospettiva di ritorno ai princìpi si situano lo studio, la diffusione e l’applicazione della dottrina sociale della Chiesa, "[...] un ampio e solido corpo di dottrina riguardante le molteplici esigenze inerenti alla vita della comunità umana, ai rapporti tra individui, famiglie, gruppi nei suoi diversi àmbiti, e alla stessa costituzione di una società che voglia esser coerente con la legge morale, che è fondamento della civiltà.
"Alla base di questo insegnamento sociale della Chiesa si trova, ovviamente, la visione che essa trae dalla parola di Dio circa i diritti e i doveri degli individui, della famiglia e della comunità; circa il valore della libertà e le dimensioni della giustizia; circa il primato della carità; circa la dignità della persona umana e le esigenze del bene comune, al quale devono mirare la politica e la stessa economia. Su questi fondamentali princìpi del magistero sociale, che confermano e ripropongono i dettami universali della ragione e della coscienza dei popoli, poggia in gran parte la speranza di una pacifica soluzione di tanti conflitti sociali e, in definitiva, della riconciliazione universale"; cioè — secondo lo stesso Pontefice nella conclusione dell’esortazione apostolica postsinodale Christifideles laici, del 1988 — "[...] contribuire a stabilire sulla terra la civiltà della verità e dell’amore, secondo il desiderio di Dio e per la sua gloria".
Per approfondire: vedi Congregazione per l’Educazione Cattolica, Orientamenti per lo studio e l’insegnamento della dottrina sociale della Chiesa nella formazione sacerdotale, del 30-12-1988; don José Miguel Ibáñez Langlois, La dottrina sociale della Chiesa. Itinerario testuale dalla "Rerum novarum" alla "Sollicitudo rei socialis", trad. it., Ares, Milano 1989; e i miei Dottrina sociale e lavoro umano nel messaggio della "Laborem exercens", in Cristianità, anno IX, n. 78-79, ottobre-novembre 1981, pp. 1-20; La buona battaglia di Alleanza Cattolica per la maggiore gloria di Dio anche sociale, ibid., anno XI, n. 100, agosto-settembre-ottobre 1983, pp. 3-5; Cattolici, politica e dottrina sociale della Chiesa, in Quaderni di "Cristianità", anno II, n. 4, primavera 1986, pp. 68-76; La Contro-Rivoluzione e le libertà, in Cristianità, anno XIX, n. 199, novembre 1991, pp. 6-12; La democrazia nell’enciclica sociale "Evangelium vitae", ibid., anno XXIII, n. 241-242, maggio-giugno 1995, pp. 3-8. Vedi pure I documenti sociali della Chiesa. Da Pio IX a Giovanni Paolo II, a cura di Raimondo Spiazzi O.P., vol. I, dal 1864 al 1965, e vol. II, dal 1967 al 1987, 2a ed. aggiornata, Massimo, Milano 1988; e Tutte le encicliche e i principali documenti pontifici emanati dal 1740, a cura di Ugo Bellocchi, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, dal 1993, 6 voll., testi dal 1740 al 1903.
Fonte:
http://www.totustuus.biz/users/pvalori/soc_dot.html