Ecclesia Dei. Cattolici Apostolici Romani

Evangelizzazione e promozione umana

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TotusTuus
view post Posted on 13/10/2012, 21:53     +1   -1




Evangelizzazione e promozione umana

P. Cornelio Fabro



Questo tema raggiunge la Chiesa nel cuore della sua missione per la salvezza del mondo che è quella di «andare nel mondo intero per predicare il Vangelo ad ogni creatura»[1].

Perciò il Concilio Vaticano II ha dichiarato che «la Chiesa peregrinante per sua natura è missionaria, in quanto essa trae origine della missione del Figlio e dalla missione dello Spirito Santo, secondo il disegno di Dio Padre»[2].

Pertanto, spiega il Concilio, la missione della Chiesa si realizza attraverso un’azione tale per cui essa, obbedendo all’ordine di Cristo e mossa dalla grazia e carità dello Spirito Santo, si fa pienamente e attualmente presente a tutti gli uomini e popoli, per condurli con l’esempio della vita e la predicazione, con i sacramenti e gli altri mezzi della grazia alla fede, alla libertà e alla pace di Cristo, rendendo loro libera e sicura la possibilità di partecipare pienamente al mistero di Cristo[3]. Poiché Cristo è venuto a redimere l’intero genere umano e Dio vuole che tutti gli uomini si salvino (I Tim. 2, 4).

Senza distinzioni di lingua, razza o cultura, la Chiesa è la stessa presenza di Cristo operante nel mondo e nella storia con l’appello alla conversione e alla penitenza per la salvezza nella vita eterna. Di qui la forte dichiarazione del Santo Padre in una recente udienza generale, quando disse che – considerata in termini assoluti – l’attuazione nel mondo contemporaneo dell’evangelizzazione e della promozione umana «…può essere questione di vita o di morte per la religione, per la fede ed anche per l’umanità»[4].

Si tratta pertanto che evangelizzazione e promozione umana devono convivere in un mutuo condizionamento e sostentamento come i due precetti di Cristo dell’amor di Dio e dell’amore del prossimo di cui sono la formula pratica ovvero «esistenziale», come oggi si dice. Esse impegnano la Chiesa nella storia con la sua presenza che è incomparabile, con la presenza di qualsiasi altra società poiché è indirizzata all’annuncio della lieta novella del Regno di Dio, il quale si inizia con la venuta di Cristo su questo mondo, ma che si realizza con il giudizio finale di Cristo soltanto nella vita eterna a venire.

Evangelizzazione e «segni dei tempi»

Non v’è dubbio che il Vaticano II, a differenza del Vaticano I aperto e interrotto nell’infuriare della tempesta scatenata dalla incredulità moderna contro la Chiesa, è stato convocato e ha condotto i suoi lavori in un clima di maggiore serenità e di ottimismo. Il suo merito e valore singolare è stato l’impegno pastorale che circola sia nella Costituzione e nei Decreti come nelle disposizioni pratiche, di apertura al mondo moderno per operare un incontro costruttivo al livello dei valori supremi della libertà e dignità dell’uomo con l’apporto della verità e grazia salvifica di Cristo.

L’evangelizzazione e l’azione missionaria della Chiesa non intende correre in senso unico e quasi circolare, come forse prevalse nel passato, ma è vista anche nella sollecitudine di avvertire e captare quelli che il Concilio ha chiamato con espressione felice «i segni fausti del nostro tempo» (fausta huius temporis signa) [5].

Fra i segni dei tempi sono indicati l’apertura, nel senso del «tempo opportuno» o kairós, a «partecipare con slancio all’opera ecumenica»[6], ossia all’incontro costruttivo fra tutti i credenti in Cristo per promuovere l’unità della fede in un mondo che si fa sempre più deserto di verità e libertà. In particolare, precisa il Concilio, «…fra i segni del nostro tempo è degno di speciale menzione il crescente e inarrestabile senso di solidarietà di tutti i popoli che è compito dell’apostolato dei laici promuovere con sollecitudine e trasformare in sincero e autentico affetto fraterno»[7].

Il significato di questa impresa, che per la prima volta nel Vaticano II si è affacciato in modo esplicito nella vita e nel Magistero della Chiesa, è enunciato con vigore nell’introduzione alla Costituzione pastorale Gaudium et spes, nella quale si riflette in forma più diretta ed incisiva la fisionomia originale dell’ultimo Concilio. Il tema è presentato col titolo significativo, diremmo ancora «esistenziale», di «speranza e angoscia» (de spe et angore), di cui diamo la dichiarazione programmatica iniziale: «per svolgere questo compito (di salvare l’uomo), è dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, cosicché in un modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso perenne della vita presente e futura e sul loro reciproco rapporto».

E in uno slancio di solidarietà col dramma dell’uomo moderno, segue la dichiarazione che costituisce il prologo operativo dell’evangelizzazione stessa: «Bisogna infatti conoscere e comprendere il mondo in cui viviamo nonché le sue attese, le sue aspirazioni e la sua indole spesso drammatiche»[8]. Il Concilio quindi mirava, dopo quasi più di mezzo millennio di pensiero filosofico e politico ostile alla Chiesa, cioè al cristianesimo, a promuovere una nuova primavera di riconciliazione e di «promozione umana» fra i credenti e l’intera famiglia umana, pur riconoscendo le difficoltà dell’ardita operazione.

Era indispensabile ed urgente pertanto fare la diagnosi della situazione del mondo contemporaneo nelle sue luci come nelle sue ombre, ossia – per riprendere l’espressione appena citata – nelle sue speranze e nelle sue angosce. Le speranze sono nei progressi imprevedibili della scienza e tecnica moderna che vengono quasi togliendo i limiti dello spazio e del tempo per avvicinare gli uomini di tutti i continenti in una «contemporaneità di sollecitudine universale».

Perciò il Concilio parla di «…una vera trasformazione sociale e culturale» che ha i suoi riflessi anche nella vita religiosa, riflessi positivi e negativi che vengono descritti con realismo, che potremmo chiamare «intrepido», il quale abbraccia tutti i livelli della vita e della situazione dell’uomo nel mondo: nell’ambito civile e religioso, privato e sociale. Dai paragrafi di questa diagnosi, che appartiene alle pagine più drammatiche e sconvolgenti del magistero della Chiesa del Novecento, emerge come in filigrana un’immagine amletica dell’uomo dove fermentano interrogativi insoluti e insolubili senza Cristo: «È proprio all’interno dell’uomo che molti elementi si contrastano a vicenda» cosicché «diventano sempre più numerosi quelli che si pongono o sentono con nuova acutezza gli interrogativi capitali: cos’è l’uomo? [9]. Qual è il significato del dolore, del male, della morte che, malgrado ogni progresso, continuano a sussistere?». E la risposta è la fede della Chiesa che solo Cristo può dipanare il «mistero dell’uomo» e solo in Cristo può trovare il centro e il fine tutta la storia umana[10].

Evangelizzazione e «crisi» della Chiesa contemporanea

Non hanno certamente saputo leggere gli atti del Vaticano II coloro che l’accusano – ed è a tutti noto il caso clamoroso scoppiato proprio nell’anno in corso[11] – di deviazioni e di errori in materia di fede e morale: tutt’al contrario si deve riconoscere che il Concilio aveva cercato di indicare l’unica via giusta, quella pastorale, la quale doveva integrare e attualizzare quella prevalentemente dottrinale dei venti Concili precedenti. A chi ha l’umiltà e la forza spirituale di mettersi in ascolto, la voce di questo ultimo Concilio ha il timbro sommesso e penetrante della madre che è tutta presa dalla sollecitudine di guidare i suoi figli per i difficili sentieri della vita del mondo moderno.

Si può dire che in ogni secolo, ad ogni svolta della cultura e del progresso dell’uomo, la Chiesa si è trovata in angustie: poiché il suo regno non è di questo mondo (Giov. 18, 36); l’impatto della Chiesa col mondo doveva e dovrà diventare sempre urto, cioè scandalo e stoltezza (I Cor. 1, 23).

Il Vaticano II mentre denunziava le aberrazioni di un umanesimo totalitario che era evidente soprattutto nelle ideologie dominanti dell’ateismo marxistico ed esistenzialistico, si indirizzava all’uomo ormai tutto preoccupato della strapotenza della scienza e della tecnica e dall’urto in atto delle politiche totalitarie richiamando i credenti ad «essere nel mondo ciò che é l’anima nel corpo»[12].

Ma cos’è invece accaduto?

Dopo il Concilio, osserva infatti con amarezza un qualificato cultore della storia della teologia[13], si poteva sperare «per l’insieme del mondo cattolico una giovinezza rinnovata, una coesione più forte per una nuova partenza, un entusiasmo più vivo e più fondato nel compimento della grande missione di unità ricevuta da Cristo. La speranza, cosi sembrava, poteva essere tanto più ferma in quanto il Concilio vi metteva come condizione di base, per la diffusione del Vangelo, una profonda rinnovazione interiore e che la sua opera dottrinale era accompagnata da un programma di riforme di cui l’autorità della Chiesa intraprendeva subito il compimento metodico facendo appello alla collaborazione di tutti. Ora, constata con amarezza il nostro teologo che fu all’avanguardia del rinnovamento degli studi teologici, ognuno sa quel che accadde: gli antichi germi di dissoluzione[14], guadagnando in virulenza, una certa agitazione paraeonciliare imponendosi all’opinione pubblica come la sola interprete autentica dello spirito del Concilio», fino ad accusare – osserviamo noi – i fermi interventi di Paolo VI di remore all’attuazione dello slancio del Concilio stesso; un risentimento contro gli abusi di ieri che rendeva ciechi ai benefici ricevuti dalla Chiesa; l’apertura al mondo per l’evangelizzazione (è il punto cruciale del tradimento) si cambiava in una mediocre e spesso scandalosa modernizzazione. Ecco per esempio, il fatto che molti preti e religiosi (e religiose) hanno perduto la coscienza della loro identità e con essa quella della loro missione; la fiducia che il Concilio aveva accordato a tutti i fedeli, facendo appello alla loro iniziativa, veniva tradita dall’attività soverchiante di gruppi influenti; dilagava il disprezzo (dédain) della tradizione che il Concilio aveva esaltato[15]; e l’arroganza dei teologi si manifestava con la pretesa di imporre alla Chiesa il proprio pensiero con una violenza di tirannia pari alla loro immaturità e arbitrarietà.

Ed in concreto: piccoli gruppi di pressione che mettono le mani su organi di informazione e che si dánno da fare per intimidire i vescovi, una campagna insidiosa contro il papato, sotto il pretesto della lotta contro l’aberrazione del dogmatismo, il rifiuto della teologia dogmatica, cioè della fede cristiana nel suo doppio carattere originale, quello cioè del suo contenuto oggettivo e della sua trasmissione da parte della autorità; i peggiori abbandoni sotto la maschera di slogans adulatori; tutto un fiorire di pretese profetiche, nella scia del secolo scorso; una volontà di rottura ed uno spirito di universale contestazione contro il quale una fede più illuminata avrebbe dovuto premunirsi; un rilassamento morale presentato come un progresso irreversibile dell’uomo adulto che la Chiesa dovrebbe ratificare; un oscuramento intellettuale e spirituale con lo sbocco da una parte al dominio incontrollato delle «scienze umane» – le quali ovviamente non possono essere che ausiliarie – e dall’altra parte alla politicizzazione (e socializzazione) del Vangelo.

Questa diagnosi drammatica era stata preveduta un secolo fa dal grande Kierkegaard, il contemporaneo dei giganti dello spirito che sono J. A. Möhler in Germania e Newman in Inghilterra. Descrivendo il rilassamento dell'autorità di fronte alle aberrazioni della base, Kierkegaard commentava: «Così la mitezza prese il posto del rigore, poiché non si aveva il coraggio di comandare e ripugnava lasciarsi comandare. Coloro che dovevano comandare diventavano vigliacchi e quelli che dovevano ubbidire insolenti. Così con la mitezza, il Cristianesimo è stato abolito nella Cristianità»[16].

Una diagnosi della Chiesa post-Conciliare che può sembrare dura, ma sempre meno della denunzia di Paolo VI che il «fumo di Satana» era penetrato nella Chiesa: è questo l’elemento nuovo e più preoccupante della crisi attuale della Chiesa, ossia che lo scardinamento dei principi della fede e della morale non viene più, come in prevalenza nel passato, dall’esterno ossia dai nemici di Dio e della Chiesa; ma essa è condotta con attività frenetica da teologi, esegeti, moralisti, filosofi, editori, giornalisti che operano all’interno della Chiesa stessa, al punto da rendere spesso l’autorità impotente ad intervenire in modo efficace e risolutivo. Non è da dubitare – e per questo è da auspicare vivamente – che gli studiosi attualmente impegnati allo studio della «evangelizzazione e promozione umana» abbiano il coraggio e l’intelligenza – per amore della Chiesa – di prendere sul serio, nella sua drammaticità, questa diagnosi se vogliono aiutare i Pastori responsabili ad operare quella virata energica di cui la barca di Pietro necessita per alimentare e guidare i fedeli alla verità e alla santità del Vangelo di Cristo.

Il punto cruciale dell’evangelizzazione:
antropologia naturale o antropologia soprannaturale?


In conformità alla precedente diagnosi, la cui realtà obiettiva s’impone, anzi cresce ogni giorno con preoccupante crudezza, la prima evangelizzazione deve farsi all’interno della Chiesa ossia – come diceva Kierkegaard della cristianità protestante del suo tempo – bisogna ritornare a predicare il Vangelo ai cristiani. Oggi – il Papa stesso l’ha detto ripetute volte – questo vale, con estrema urgenza, anche per la Chiesa post-conciliare a tutti i livelli: dei cristiani, dei sacerdoti, e religiosi e della stessa gerarchia.

La gerarchia infatti – ha rilevato con dolore lo stesso S. Padre – non è stata sempre unita, non ha appoggiato sempre come doveva la decisioni e direttive del Vicario di Cristo (anche in Italia: la divisione circa il referendum sulla legge del divorzio, la collaborazione dei cattolici con i partiti atei). Le stesse Commissioni episcopali (non solo quella ‘olandese’) del nostro tempo, hanno avvallato catechismi non in tutto conformi alla tradizione dogmatica della Chiesa e tollerato pratiche liturgiche e abusi morali (specialmente in materia di castità), in aperto contrasto con i principi della spiritualità e della ascetica cristiana e perfino della morale filosofica di Aristotele, dello stoicismo, di Kant.

Alcune Commissioni episcopali hanno accolto fra i propri consulenti e consultori alcuni teologi impegnati e simpatizzanti con le direzioni della teologia progressista più fragile e chiassosa di Schillebeeckx, Rahner, Küng… L’associazione teologica italiana (A.T.I.), ch’è sotto la protezione della C.E.I., ha ancora per presidente (Sartori) un difensore convinto di H. Küng e per segretario (Molari) un docente ch’è stato nel 1974 allontanato dall’insegnamento dal Senato accademico di una Università Pontificia[17].

Non pochi seguaci delle chiese ortodosse e riformiste e perfino di religioni non cristiane sono rimasti sorpresi e perfino scandalizzati di certi atteggiamenti e movimenti aberranti del cattolicesimo post-conciliare che fanno ricordare il lamento di S. Paolo: «Nomen Dei blasphematur inter gentes propter vos» (Rom. 2, 24). Gli errori perpetrati nella liturgia pareggiano gli errori nel campo del dogma e le licenze in quello della morale. Com’è possibile l’evangelizzazione in una siffatta situazione?

Alla radice di tali aberrazioni sta il rifiuto della teologia e filosofia cristiana e l’adesione ad un falso umanesimo, assunto in forma acritica e confuso dai cascami del pensiero moderno.

Nessun dubbio che la Chiesa, per operare nel proprio tempo, ne deve conoscere il pensiero e le aspirazioni, per commisurare il suo annuncio del Vangelo al mondo. A questo riguardo la Gaudium et spes constatava con sobrio ottimismo che «…gli studi recenti e le nuove scoperte della scienza, della storia e della filosofia, suscitano nuovi problemi che comportano conseguenze anche per la vita pratica ed esigono anche dai teologi nuove indagini»[18].

Non pochi teologi e filosofi cristiani invece – anzi sembra la maggior parte – hanno interpretato questa dichiarazione come la canonizzazione del principio d’immanenza del pensiero moderno, e delle ipotesi materialistiche (evoluzione in senso meccanicistico, psicoanalisi in senso materialistico) della scienza moderna o piuttosto di alcuni scienziati moderni.

Di qui l’accusa vaga (ingiusta e infondata) di «ellenismo» lanciata dai nuovi teologi contro le stesse definizioni conciliari riguardanti la natura di Dio, della Trinità, dell’Incarnazione, della Grazia e dei Sacramenti, della origine e caduta (peccato) nonché della natura (spiritualità, libertà, immortalità e ultimo destino) dell’uomo. Di qui parimenti l’accusa, non meno stridente e arrogante, di alienazione e perfino di masochismo e nevrosi lanciata alla morale cristiana, all’ascetica e alla mistica tradizionale che ha formato i martiri ed i santi. Gli effetti sono sotto gli occhi di tutti: il dilagare del lassismo, ora chiamato col termine di permissività, la scomparsa della pietà fondata sul timore di Dio e l’orrore del peccato, l’abbandono del culto dell’Eucarestia e della Croce ossia dell’orizzonte soprannaturale a livello sia della pietà personale come dell’apostolato.

Di qui crisi su crisi, il polverone equivoco e accecante di cui si è detto poco fa. Questo è tradimento e non continuazione del Vaticano II: i seminari (con rare eccezioni, dove i vescovi hanno tenuto duro e usato la scopa con i professori e allievi turbolenti e dissidenti) e i conventi si sono svuotati, sacerdoti e religiosi che a migliaia chiedono ogni anno la secolarizzazione e perfino l’abbandono del celibato scandalizzando i fedeli e compromettendo la possibilità e l’efficacia dell’annuncio del Vangelo[19]. Poi fedeli e perfino teologi, sacerdoti e parroci (anche a Roma), che dichiarano alla stessa autorità responsabile la propria adesione all’ideologia o all’azione marxistica e tuttavia hanno continuato a rimanere al proprio posto di responsabilità nelle parrocchie, nei seminari, nelle Università e nelle stesse organizzazioni cattoliche. Com’è possibile allora in siffatta situazione di disintegrazione e tradimento della fede e della morale di Cristo l’opera dell’evangelizzazione? Cos’è che si deve annunciare? Quali i mali da curare? Anzitutto quelli economici?

Il senso cristiano della promozione umana

Approfittando della miopia ecclesiale ostinata e cocciuta dei cosiddetti ‘tradizionalisti’, ancorati più alle formule esteriori e lessicali che non al vigore interiore della verità che la Chiesa ha ricevuto, i progressisti hanno ridotto e stanno riducendo la Chiesa a un deserto dove ritorna l’eco lugubre del grido di disperazione in cui finì il mondo antico: «Dio è morto!» (Plutarco), ch’è stato ripreso nel mondo moderno da Pascal, Hegel, Kierkegaard, Nietzsche…[20]. E Cristo, avulso dal rigore delle definizioni di Nicea e Calcedonia, è ridotto ad un uomo sia pure insigne e collocato sul vertice del progresso morale dell’umanità (Küng). Di conseguenza, la Chiesa è confinata alle dimensioni – certamente non sempre eccelse – dei suoi rappresentanti e l’autorità misconosciuta e respinta.

Che significa allora, o piuttosto cosa deve anzitutto significare la «Promozione umana»? Il significato più ovvio, e forse quello grammaticalmente più esatto, è fare emergere l’efficacia che il Cristianesimo può esercitare sullo sviluppo dell’uomo, dei rapporti fra gli uomini, della cultura e della scienza, della filosofia e dell’arte, dei progetti e delle istituzioni umane: in fin dei conti ridurla ad una sociologia terrena anche se ecclesiastica; anche storicamente è acquisito che la civiltà dell’Europa e gli stessi concetti fondamentali della sua cultura sono opera del Cristianesimo. Hegel ha ripetutamente affermato che il concetto capitale del mondo moderno, quello di libertà, è stato portato dalla concezione cristiana dell’uomo: «intere parti del mondo, l’Africa e l’Oriente non hanno avuto questa idea e non l’hanno ancora; i Greci ed i Romani, Platone ed Aristotele ed anche gli Stoici non l’hanno avuta. (…). Quest’idea è venuta nel mondo col Cristianesimo secondo il quale l’individuo come tale ha un valore infinito in quanto esso come oggetto e scopo dell’amore di Dio, e destinato ad avere il suo rapporto assoluto a Dio, ad avere in sé abitante questo Spirito cioè che l’uomo è destinato in sé ad avere questa suprema libertà»[21]. Questo riconoscimento di Hegel, di estrema importanza nel suo significato etico-religioso, è poi dissolto dal suo presupposto panteistico e antropocentrico, che Dio pensa ed opera solo nell’uomo e mediante l’uomo così che la storia universale è l’epifania di Dio. Quindi la cosiddetta teologia hegeliana è implicitamente un’antropologia.

La dissoluzione esplicita della teologia nell’antropologia è stata l’opera, com’è noto, di Ludwig Feuerbach, con la sua critica fondamentale alla religione, come opera della fantasia e del sentimento, ch’egli porta a termine nel celebre «Das Wesen des Christentums» (L’essenza del Cristianesimo). Si tratta di fare un capovolgimento, una nuova rivoluzione copernicana in filosofia dopo quella di Cartesio e di Kant, ossia di mettere l’uomo e più precisamente il genere umano (la Gattung) al posto di Dio. Feuerbach afferma che l’uomo è «coscienza dell’Infinito» ma questo non è altro che «la coscienza dell’infinità che l’uomo ha della propria essenza». In una concezione come quella moderna, che riporta all’autocoscienza cioè alla riflessione sull’atto (e non sul «contenuto») del pensiero, il criterio di verità, non resta altro sbocco che l’ateismo nella forma di un’antropologia radicale («homo homini Deus»). Di qui la celebre formula che «il mistero della teologia è l’antropologia, (il mistero) dell’essenza divina è l’essenza umana»[22].

È da questa critica della religione di Feuerbach, che Marx ed Engels considerano definitiva[23], che ha preso il fondamento e l’avvio la concezione materialistico-dialettica dell’uomo e della storia: Feuerbach è stato il mediatore fra Hegel e Marx.

Non a torto perciò Paolo VI ha affermato (il 9 novembre 1975 nel discorso del Laterano) l’inconciliabilità fra Cristo e Marx. Ma i nuovi teologi, e schiere di cattolici con essi, affermano ovunque nella Chiesa il primato dell’uomo economico e pertanto la necessità dell’impegno rivoluzionario e dell’alleanza e collaborazione col marxismo. L’appello del Pontefice è caduto (quasi) nel vuoto, i «compromessi» dei cattolici coi marxisti sbucano da ogni parte come funghi, e la coscienza cristiana è travolta da un turbine di frenesia populista che innalza la lotta di classe per le rivendicazioni economiche e dimentica la coscienza del peccato e la necessità della grazia, per il conseguimento della vita eterna.

È solo su questa base, e non su quella puramente economico-sociologica, che il cristiano – e lui soltanto – può operare per la «promozione umana»; ed il cristiano non può realizzare alcuna promozione dell'uomo che non confluisca nella lotta al peccato come principio di ogni ingiustizia e non aspiri alla redenzione dell’uomo con la vita nella grazia di Cristo, come figlio di Dio.

I compiti cristiani della promozione umana

La posizione del cristiano nel mondo moderno – è uno dei temi più ricorrenti, nelle esortazioni ai fedeli di Paolo VI – è diventata sempre più difficile; il cristiano (e tanto più il prete) che ci tenga ad essere e a mostrarsi tale, oggi è considerato spesso un intruso e diventa presto un emarginato nel mondo della cultura e del lavoro nelle stesse nazioni che fino a ieri si dicevano cattoliche. Come impostare allora l’evangelizzazione dei post-cristiani del mondo contemporaneo?

Come attuare la promozione umana nel senso cristiano in una società che a partire dal liberalismo illuministico fino al nichilismo esistenzialistico e al marxismo ateo si è caricata di avversione e di odio verso la religione e specialmente contro Gesù Cristo, l’Uomo-Dio morto in Croce per la salvezza degli uomini?

L’unica risposta che può dare un cristiano onesto ed anche intelligente, sia laico o prete o vescovo, è quella di conoscere e far conoscere, per praticarlo, il Vangelo di Cristo stesso che ha per base e sostanza i due precetti dell’amore di Dio e dell’amore del prossimo[24]. Il tentativo di alcuni marxisti odierni di mostrare che la lotta alla religione non è essenziale al marxismo, e quindi affermare la conciliabilità fra il marxismo ed il Cristianesimo (Garaudy, Lombardo Radice), non ha base alcuna né nella storia di Marx né nella pratica dei governi o (per esempio in Italia) nelle amministrazioni marxistiche. La storia e l’esperienza anche recente hanno mostrato che i marxisti ovunque, appena arrivano al potere, si sbarazzano con ogni mezzo dei compagni di cordata e fanno piazza pulita delle istituzioni religiose. La mancanza di una precisa conoscenza della genesi in generale del pensiero moderno ed in particolare del marxismo – o piuttosto l’oblio degli insegnamenti del magistero da Leone XIII a Paolo VI ed al Vaticano II[25] – ha contribuito a far smarrire nei credenti la coscienza dello «specifico cristiano» ed a sdoppiare la loro coscienza: da una parte l’uomo che nella cultura e nel lavoro corre a conformarsi e a patteggiare col marxismo trionfante, dall’altra parte il credente (che pretende di essere tale) che sbriga i suoi affari con Dio o da solo per conto proprio, oppure mediante le decisioni della comunità di base e della cellula del partito – una mistura di averroismo e di pietismo protestante aggiornati.

Ma la promozione umana non può fondarsi che sulla promozione della coscienza cristiana e questa non può realizzarsi anzitutto che come adesione e pratica del Vangelo, ossia come «promozione dell’immagine di Dio nell’anima» (Gen. 1, 27) mediante la partecipazione della natura divina ch’è la grazia (II Petr. 1, 5) che ci è stata donata per Gesù Cristo Signore Nostro. Nel suo generoso slancio di carità, di guarire le ferite spirituali della storia e di superare la divisione delle coscienze, il Vaticano II, nella scia dell’azione pastorale di Giovanni XXIII, proseguita da Paolo VI, ha aperto il dialogo della Chiesa Cattolica con tutti gli uomini di buona volontà: con i cristiani separati, con le religioni non cristiane e con gli stessi atei.

Non si può negare che non ci sia la buona volontà per operare il desiderato incontro degli spiriti nell’unico Dio, Padre degli uomini, e nell’unico Salvatore Gesù Cristo: il cristiano sa che i disegni della divina Provvidenza restano misteriosi e il Pontefice ha spesso segnalato che il cammino verso l’unione dei cristiani si presenta ancora arduo e che le differenze, e quindi le difficoltà, si sono rivelate reali e profonde. Se troppi fedeli e teologi della Chiesa cattolica continuassero a dare l’impressione di essere divisi e discordi nella verità da credere e di livellare il messaggio evangelico alla ideologia del secolo (cioè del «mondo») perverso, l’invocazioe di Cristo ut sint unum (Giov. 17, 11) rimarrebbe ancora vaga e sempre più lontana.

Ecco perché l’evangelizzazione e la promozione umana si saldano in un unico impeto di verità e carità che il cristiano deve a Dio, a Cristo, a se stesso e ai suoi fratelli.

A questo compito richiamava Paolo VI il 21 giugno, nella risposta agli auguri del Collegio Cardinalizio per la sua ricorrenza onomastica, con fermezza pari alla gravità della situazione.

Il Papa denunzia espressamente il disorientamento dottrinale che imperversa nella Chiesa e ne indica l’origine nel relativismo «che talora raccoglie e fa propri tutti gli errori secolari di una ragione ebbra di sé e disancorata da un sicuro rapporto con Dio». Il Pontefice non teme perciò di ammonire che «oggi la comunione in seno alla Chiesa è, per alcuni, in pericolo»: con questi «alcuni» il Papa vuole indicare i fautori degli opposti estremismi, sia del tradizionalismo piatto e immobilista come del progressismo mondano e anarchico.

Il dolente richiamo del Papa è illuminante e perentorio: «occorre perciò fare ritorno alle fonti e sottolineare rigorosamente, senza stancarsi mai, che chi si distacca dalla Chiesa, dai suoi Pastori, dalla sua dottrina, dalle sue norme morali, si pone in pericolo di porsi da sé al di fuori della comunione ecclesiale»[26]. Senza questa sutura di tutti i membri del Corpo mistico nella comunione di vita e di verità, l’evangelizzazione rischia di diventare una babele di opinioni e la promozione umana una trappola di compromessi mondani.

Il problema di fondo: «Ecclesia semper reformanda»

Mai come oggi teoria e prassi si presentano nella vita ecclesiale legate ad un comune destino: ambedue in crisi, come ha dichiarato il Pontefice, ambedue in pericolo di finire fuori del dono di salvezza che Cristo ha affidato alla Sua Chiesa. E si tratta di una crisi reale, profonda, è una crisi seria che è diventata un’atmosfera d’incertezza, di inquietudine, di affanno per tutti e non pochi fedeli chiedono oggi a noi sacerdoti con sgomento: «quando verrà il Signore a prenderci con Lui?».

È una crisi che ha non uno ma mille volti, quanti sono gli aspetti della vita contemporanea e dell’instabilità prometeiforme dell’uomo contemporaneo che rivendica in proprio la gestione della sua libertà. Dopo due millenni di evangelizzazione del cristianesimo, quando sembrava che il messaggio di salvezza fosse arrivato dovunque fino ai confini della terra, l’uomo sta tornando ovunque al mito di Prometeo. Anche le più remote genti dell’Asia, dell’Africa e dell’Oceania, appena vengono a contatto della civiltà consumistica dell’occidente, sono rapite nel gorgo di questa «ebrezza bacchica»[27] dello homo faber che preferisce andare come Caino, «lontano da Dio e ramingo sulla terra» (Gen. 4, 14) incontro alla morte piuttosto di accettare le promesse di Dio per la vita eterna.

L’uomo prometeico ha scelto come sua patria questo mondo «la cui figura passerà» (I Cor. 7, 31) e come scopo della sua vita i beni umbratili e corruttibili di questo mondo, idoli di terra e di fango. Anche il filosofo più laico e significativo del nostro secolo che è Martin Heidegger, recentemente scomparso, ha avvertito la profonda differenza fra il concetto di «mondo» che è creatura di Dio – quello del mundus per ipsum (il Verbo) factus est – e del mondo che si è ribellato a Dio – quello del mundus eum (Cristo) non cognovit (Giov. 1, 10).

Heidegger segue il commento di S. Agostino che dà al primo concetto di mundus «il significato di «dilectiones carnales». Mundus non dicuntur iusti, quia licet carne in eo habitent, corde cum Deo sunt». Mentre «qui diligunt mundum, ipsi enim corde habitant in mundo» e «qui non diligunt mundum, carne versantur in mundo sed corde inhabitant coelum» e, accanto ad Agostino, Heidegger cita anche Tommaso d’Aquino[28]: indicazione significativa. Alla Parola rivelata fa eco il Vaticano II quando ammonisce che il mondo certamente (è) posto sotto la schiavitù del peccato, ma dal Cristo crocefisso e risorto, con la sconfitta del maligno è stato liberato e destinato, secondo il proposito divino, a trasformarsi e a giungere al suo compimento[29].

L’insidia che questo mondo, avverso a Dio, tende oggi al cristiano è complessa, sottile, penetrante, massiccia e può essere raccolta sotto la denominazione ormai corrente tra i teologi progressisti di «orizzontalismo», presentato come alternativa urgente al «verticalismo» del cristianesimo dei secoli passati. Il verticalismo sarebbe caratterizzato dal primato della trascendenza sull’immanenza, cioè da una concezione spiritualistica della salvezza e dallo sdoppiamento della vita in un al di qua e in un al di là che significherebbero – secondo siffatti teologi – il disprezzo della creazione stessa.

Alcuni di questi teologi – molti in realtà – hanno teorizzato la prospettiva orizzontale con la tematica esistenziale ispirandosi specialmente ad Heidegger: l’uomo (Dasein) come «essere-nel-mondo» (in-der-Welt-sein) [30], è perciò ridotto a pura temporalità. Altri – e sono i più numerosi e diffusi (anche in Italia) – strizzano l’occhio ed anche spalleggiano apertamente la concezione marxistica dello homo oeconomicus la quale coincide, come struttura di fondo dell’essere umano, cioè materialistico del benessere consumistico, con quella del capitalismo. Non per nulla vari episcopati, e recentemente la C.E.I., con particolare vigore hanno richiamato i cattolici militanti nella politica ad una maggiore coerenza di vita con i principi cristiani che a parole dicono di professare e ai quali dichiarano (ma sembra sempre di meno!) d’ispirare la propria, azione ma in realtà scivolano in collusioni ambigue e sospette – per cupidigia di potere e di lucro – col marxismo. A questa situazione di fatto ch’è già nella linea del tradimento, la Chiesa ha anzitutto il dovere e il diritto di denunciare il tradimento e di dissociare la propria responsabilità da siffatti comportamenti.

Questo cedimento al materialismo sociale e politico ha avuto e sta avendo un effetto deleterio sui cattolici, trascinati nella convinzione che l’avvento del comunismo sia inevitabile e che la soluzione del materialismo ateo sia compatibile sul piano pratico col cristianesimo.

La Chiesa contemporanea potrà cominciare a operare vigorosamente per la sua Riforma soltanto se confesserà questo tradimento e solleverà la coscienza dei cristiani al «primato» dello spirituale e dei beni eterni, poiché solo la Chiesa – con l’assistenza del Divino Spirito e con la fedeltà a Gesù Cristo, Figlio di Dio – può riformare se stessa.

Progetto di conclusione

1- È diritto e compito esclusivo dell’Autorità magisteriale, alla quale Cristo ha affidato la sua Chiesa, stabilire e guidare oggi in concreto – com’è stato in ogni epoca della sua storia – la realizzazione dell’evangelizzazione e della promozione umana: le precedenti riflessioni hanno pertanto carattere d’indicazione privata che l’umile sottoscritto ha attinto dalla sua lunga esperienza pastorale (26 anni di vita parrocchiale), vita interamente dedicata allo studio dei problemi dello spirito (40 anni d’insegnamento universitario) ed al servizio della Chiesa.

2- Mi sembra anzitutto che l’evangelizzazione e la promozione umana si appartengono necessariamente nella sintesi dell’unico progetto della salvezza dell’uomo portata da Cristo: l’una non può essere disgiunta dall’altra in modo che la promozione umana non può essere realizzata che nella fedeltà al Vangelo di Cristo per la salvezza eterna dell’uomo peccatore: senza l’unità della fede non si sa perché e come operare[31].

3- Pertanto l’oggetto principale dell’evangelizzazione è l’annuncio delle verità fondamentali della fede quali sono contenute nella Sacra Scrittura e nella tradizione e fedelmente proposte e difese dal Magistero della (nella) Chiesa. Esse riguardano specialmente i misteri sulla natura di Dio, il mistero dell’Incarnazione e della Grazia, della situazione esistenziale dell’uomo secondo la rivelazione (caduta originale e redenzione dal peccato per il Sacrificio di Cristo).

4- Bisogna riconoscere con oggettività, avvalorata dalle ripetute (ed anche recenti) dichiarazioni del S. Padre, che lo spirito autentico del progetto pastorale del Vaticano II viene a torto criticato dai conservatori così come è mistificato dai progressisti: questa semplice e ferma denunzia è indispensabile perché l’evangelizzazione ottenga l’orientamento delle coscienze secondo lo spirito del Vangelo e la promozione umana non degeneri in pura sociologia ed economia politica[32].

5- «L’apertura al mondo», dichiarata dal Vaticano II, non può assolutamente significare (ed i testi conciliare e papali sono espliciti a questo proposito, come si è visto) alcuna adesione alle ideologie anticristiane del mondo moderno, ma unicamente l’impegno diretto della Chiesa[33] di comprendere le condizioni reali della società e le istanze legittime che eventualmente sono promosse da siffatte ideologie, di cui l’esperienza e la storia ci hanno dimostrato non solo l’incapacità di risolverle ma spesso – come in molte nazioni dominate dal comunismo – il peggioramento crescente rispetto alla situazione precedente. Il cristiano deve pregare ed operare perché tale situazione fondata spesso sull’inganno e sulla violenza, sia impedita dove ancora non c’è e sia rimossa dove purtroppo ha soppresso ogni giustizia.

6- La situazione della Chiesa si presenta oggi estremamente divisa e complicata, soprattutto per la rapina da parte di un gruppo di teologi, di alcuni temi fondamentali del Concilio: specialmente libertà religiosa, ecumenismo, aggiornamento, dialogo, rinnovamento liturgico, rinnovamento degli Istituti religiosi e dei Seminari, partecipazione dei laici all’apostolato… Temi che sono stati ben presto avvolti nell’ambiguità e nell’equivoco, compromettendo anzi deviando in senso opposto i progetti del Concilio (basti ricordare la lotta di ostruzionismo alla Humanae vitae). E tutto questo è un grave impedimento per l’evangelizzazione. Abbiamo segnalato e insistito che ogni «ideologia» ha una propria concezione dell’uomo (l’homo terrenus) che condiziona una diversa concezione della società: ma il Cristianesimo non è un’ideologia, poiché attinge la verità dalla divina Rivelazione e il punto di partenza della sua antropologia soprannaturale è che l’uomo è fatto «ad immagine di Dio» e diventa perciò con la grazia lo homo coelestis (I Cor. 15, 47). Una diversa concezione dell’uomo comporta un diverso diritto, una diversa etica, quindi una diversa pedagogia e sociologia. Se l’impegno del cristiano per la promozione umana parte dalla ideologia materialistica o vi si conferma praticamente, non si può arrivare che al tradimento della fede.

7- Un altro ostacolo è lo scadimento, che alle volte diventa aperto rifiuto, del senso cristiano dell’autorità della Chiesa, mentre S. Agostino affermava «…evangelio non crederem nisi me Catholicae Ecclesiae commoveret auctoritas»[34].

8- L’ostacolo perciò principale all’evangelizzazione all’interno della Chiesa è il principio malinteso della «libertà religiosa» che i teologi progressisti hanno ridotto alla «indifferenza» ed equivalenza delle varie confessioni cristiane e perfino di tutte le religioni: anzi degli stessi atei (cristiani anonimi: Rahner), senza più distinguere fra ignoranza (buona fede) e ostinazione (mala fede).

9- A quest’ostacolo si aggiunge, e da esso direttamente deriva, quello della «libertà di coscienza» nel senso di una decisa priorità della coscienza soggettiva sulla verità oggettiva, sul senso tradizionale ed oggettivo dei dogmi e dei principi della morale e di svincolo dalla guida del Magistero.

Basterà rimandare, a questo proposito, al mirabile e forte discorso di Paolo VI all’udienza generale del 29 settembre u.s., che tratta espressamente della tematica teologica del tema: «Evangelizzazione e promozione umana». Il S. Padre enunzia tre proposizioni fondamentali: 1. La complementarità (dinamica) tra fede e storia intesa come promozione umana cioè riconoscimento di una priorità alla fede. 2. La verità della fede, nella sua autentica e autorevole espressione, non muta col tempo, non si logora lungo la storia, ma avanza secondo la linea di sviluppo nella fedeltà alla tradizione descritta, nel celebre Commonitorium di Vincenzo di Lerins, citato dal S. Padre. 3. Se la fede è verità, essa può essere pensata ed avere uno sviluppo intrinseco e coerente». E il S. Padre dichiara espressamente che tale è la tesi del Newman, cioè del passaggio dall’implicito all’esplicito[35].

10- L’ostacolo per la promozione umana autentica è la sua flessione o deviazione dall’impegno teologale per la giustizia e carità verso il prossimo in qualità di cristiani come «figli di Dio e fratelli in Cristo» nell’unità del Corpo mistico della Chiesa militante, alla accettazione e collaborazione indiscriminata di progetti dei partiti atei ed in una situazione subordinata. Ma il S. Padre ammonisce: «l’evangelizzazione deve attuarsi e risplendere nel fiorire di nuove virtù cristiane ed umane con la disposizione ch’è propria del cristiano: la fiducia che si fonda sulla fede e che dà al credente una forza d’animo incomparabile, ma senza essere spregiudicati e temerari, come oggi molti usano» (omelia del 31 ottobre in S. Pietro, secondo il testo ascoltato alla Radio delle ore 10,30).

(1976)

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[1] Mc. 16, 15; Mt. 28, 10.

[2] Decr. Ad Gentes divinitus, c. I, par. 2; Enchiridion Vaticanum (EV) nr. 1090, EDB, Bologna 1981, p. 611.

[3] Decr. Ad Gentes divinitus, c. I, par. 5; EV nr. 1096; ed. cit. p. 617.

[4] Udienza generale di mercoledì 6 ottobre 1976 (Oss. Rom. 7 ottobre, p. 1).

[5] Decr. Dignitatis humanae, par. 15 Concl.; EV nr. 1084; ed. cit. p. 604.

[6] Decr. Unitatis redintegratio, par. 4; EV nr. 508; ed. cit. p. 295. L’invito è rivolto in modo speciale ai sacerdoti nel cercare la collaborazione dei laici (Decr. Presbyterorum Ordinis, par. 9; EV nr. 1272; ed. cit. p. 727).

[7] Decr. Apostolicam actuositatem, par. 14; EV nr 967; ed. cit. p. 549.

[8] Const. Gaudium et Spes, par. 4; EV nr. 1324; ed. cit. p. 777.

[9] È la domanda che già si poneva Kant nella Critica d.r.: «Alles Interesse meiner Vernunft (das speculative sowohl als das praktische) vereinigt sich in folgenden drei Fragen: 1. Was kann ich wissen? – 2. Was soll ich tun? Was darf ich hoffen?» (Metodenlehre, A 805, B 833). È la Logik, pubblicata dallo Jäsche nel 1800, che aggiunge la IV questione: «Was ist der Mensch?» con la spiegazione: «alla prima questione risponde la metafisica, alla seconda la morale, alla terza la religione ed alla quarta l’antropologia» Einleitung III; Werke, ed. Cassirer, Bd. VIII, p. 343 – corsivi di Kant).

[10] Const. Gaudium et Spes, par. 10; EV nr. 1350; ed. cit. p. 787.

[11] Si tratta del caso di Mons. Lefebvre, deplorato espressamente dal Santo Padre nel discorso di apertura del 24 maggio in occasione dell’ultimo Concistoro, assieme all’opposto estremismo del progressismo (A.A.S. 30 luglio 1976, p. 374 ss.).

[12] Epist. ad Diognetum; Patres Apostolici, ed. F. X. Funk2, Tübingen 1887, t. I, p. 319.

[13] H. DE LUBAC, Témoignage, in «Fidélité et ouverture», ed. Mame 1972, p. 50 s.

[14] Allude certamente allo «gnosticismo» vecchio e nuovo (agnosticismo, razionalismo, modernismo…).

[15] Cfr.: Const. Dei Verbum, nr. 8-10; Ev nr. 882-888; ed. Dehoniane, Bologna 1971, p. 496 ss.

[16] Kierkegaard, Esercizio del Cristianesimo, nr. III, par. 5; nr. 17 tr. it. di Cornelio Fabro, Roma, Studium, p. 284.

[17] Ma questo docente assicura, nelle confidenze con gli amici, sia di essere saldamente protetto e riuscire perciò indenne da questo ed altri incombenti provvedimenti e di ricuperare la cattedra, ma anche che nei convegni di teologia di Bruxelles e altrove (recentemente in Svizzera) ha constatato di trovarsi in accordo con la maggior parte dei teologi di oggi. Quale meraviglia allora se nei Pastori serpeggia l’incertezza e nei fedeli dilaga lo sbandamento, la divisione, la contestazione, la formazione di gruppuscoli di dissidenza e di sfida all’autorità? La ferma azione missionaria della Chiesa deve essere perciò prima rivolta a se stessa.

[18] Const. Gaudium et Spes, par. 62; EV nr. 1527, ed. cit. p. 895.

[19] Un caso recente: in una lettera indirizzata all’«Avvenire» (14 settembre, p. 6) un sacerdote – che difese nel 1974 sull’«Avanti» la tesi laicista e marxista sul divorzio – faceva praticamente l’elogio del comportamento del Sindaco e della giunta marxistica – in occasione della S. Messa celebrata dal Card. Vicario l’8 settembre fra cui era presente l’onorevole Piero Pratesi, che ha fatto la Comunione, passato con altri noti cattolici (Brezzi, La Valle), nelle file del comunismo: ovviamente quel sacerdote vi esalta il successo comunista nelle elezioni del 20 giugno u.s.

[20] La denunzia di Pascal viene dal fondo della coscienza cristiana: «La nature est telle qu’elle marque partout un Dieu perdu, et dans l’homme et hors de l’homme» (PASCAL, Pensées et opuscules, ed. Brunnchvicg, Paris 1917, p. 536). Anche quella di Kierkegaard, che denunzia la scomparsa del Cristianesimo nella predicazione della Chiesa Ufficiale (cfr. spec. l’Esercizio del Cristianesimo del 1850 e i Diari della maturità), così quella di Hegel e Nietzsche che vedono, come Feuerbach, in quella dichiarazione il punto di arrivo inevitabile del cogito moderno (cfr.: C. FABRO, Introduzione all’ateismo moderno, II ed., Roma 1969, p. 508 ss.).

[21] HEGEL, Enzyklop. de philos. Wissenschaften, par. 482; ed. Nicolin-Pöggeler, Hamburg 1959, p. 388. Ancora: «È il Cristianesimo che ha portato la dottrina che davanti a Dio tutti gli uomini sano liberi, che Cristo ha liberato gli uomini, li ha resi uguali davanti a Dio; li ha liberati alla libertà Cristiana» (Vorles. über die Geschichte der Philosophie, Einleitung, ed. Io. Hoffmeister, Leipzig 1944, p. 63).

[22] FEUERBACH, Das Wesen des Christentums, c. I; ed. Bolin-Jodl, Bd VI, p. 6 ss; c. 28, ed. cit., p. 325. Cf. tr. it. di C. FABRO, L’Aquila 1977, p. 111 ss.

[23] K. MARX – F. ENGELS, Die Heilige Familie. I; Werke, Berlin 1958, Bd. II, p. 131. – L’ateismo di Marx proviene dalla risoluzione radicale della ragione illuministica e della dialettica Hegeliana, tramite Feuerbach (mi permetto di rimandare ancora alla Introduzione all’ateismo moderno, ed. cit. T. II, p. 690 ss.).

[24] Cfr. F. OCÁRIZ, Amor a Dios. Amor a los hombres, ed. Palabra, Madrid, III ed. 1973.

[25] L’ha ricordato di recente il Pontefice, tramite la lettera del Segretario di Stato, alla Settimana sociale di Spagna (dal 5 al 9 sett.) e cita il Vaticano II dalla Gaudium et Spes, nn. 64-67 (L’Osservatore Romano del 6 ottobre, p. 1).

[26] A.A.S.; LXVIII (1976), n. 7, p. 461. Il S. Padre ricorda la sua ammonizione, fatta nel Concistoro e da noi citata sopra, contro gli eccessi di disobbedienza sia degli pseudo tradizionalisti come degli pseudo progressisti.

[27] HEGEL, Phaenomenologie des Geistes, Vorrede; ed. Io. Hoffmeister, Leipzig, 1937, p. 37.

[28] M. HEIDEGGER, Vom Wesen des Grundes, par. II; III. Aufl., Frankurt a.M. 1949, p. 23 s.

[29] Const. Gaudium et Spes, par. 2; EV n. 1321, ed. cit., p. 775.

[30] Cfr.: M. HEIDEGGER, Sein und Zeit, Erster Teil, Erster Abschnitt, Zweites Kapitel (porta il titolo significativo: Das in-der-Welt-sein überhaupt als Grund-Verfassung des Daseins. «Lo essere-nel-mondo in generale come costituzione fondamentale della realtà dell’esistente» cioè dell’uomo), Halle a.d.S. 1941, p. 52 ss. Per altre citazioni, concernenti questa dottrina fondamentale di Heidegger ved.: H. FEICK, Index zu Heideggers Sein und Zeit, Tübingen 1961, p. 41.

[31] Così Paolo VI: «Questo vale in particolare per l’educazione alla fede, la quale è dono misterioso del Signore, destinato ad assumere ed orientare in modo totale l’esistenza umana» (discorso all’A.C. del 25 sett., L’Osservatore Romano del 26 settembre, p. 1).

[32] Ancora Paolo VI: «Quando noi parliamo di evangelizzazione e di promozione umana noi ci collochiamo nel campo operativo della Chiesa; noi supponiamo acquisita la fede, anzi ne facciamo il principio della nostra opera caritativa: “la fede, dice S. Paolo, opera mediante la carità”» (Gal. 5, 6). E conclude con la formula cristiana: «Ora et Labora: occorre il concorso simultaneo dell’aiuto di Dio e dell’attività dell’uomo» (ud. gen. del 13 ott., L’Osservatore Romano del 14 ottobre, col. 3).

[33] Cosi come nelle encicliche sociali Mater et Magistra di Giovanni XXIII e Octogesima adveniens di Paolo VI.

[34] S. AGOSTINO, Contra ep. Manichaei quam votant fundamenti, 5, 6: PL 42, 176.

[35] Discorso all’udienza generale del 29 settembre (L’Osservatore Romano del 30 settembre p. 1).
 
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