Ecclesia Dei. Cattolici Apostolici Romani

Mons. Francesco Olgiati

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TotusTuus
view post Posted on 19/1/2011, 21:00     +1   -1




Mons. Francesco Olgiati: dall'alba al tramonto

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«La sera del 21 maggio 1962, poco dopo le ore 20, mons. Francesco Olgiati si addormentava serenamente nel Signore, chiudendo su questa terra una vita esemplare.
Aveva detto alla buona Gemma, ed alla sorella di lei, che l’assistevano premurosamente e con devoto affetto, di andare pure in cucina a far cena, mentre lui si sarebbe un po’ riposato. Tornate nella sua stanza, dopo appena qualche minuto, lo trovarono senza più vita: così, con la discrezione che fu propria di tutta la sua esistenza, senza dar disturbo a nessuno, mons. Olgiati ci lasciò, nel dolore e nel rimpianto, anche se con la certezza di aver guadagnato un potente aiuto in Cielo.
Eravamo preparati alla sua morte, perché, ormai da alcuni anni, il cuore non funzionava più come prima: il primo attacco d’avvertimento gli era venuto in Duomo, mentre celebrava la messa, ma si era ripreso immediatamente; poi, gli attacchi si erano succeduti, sempre più frequenti e gravi, mentre tutto l’organismo andava progressivamente indebolendosi.
Ma anche in questo era eccezionale: un uomo con un fisico debole, minato dalla giovinezza dalla tubercolosi, ordinato sacerdote dal cardinal Ferrari, per ricevere la consolazione del dono di ministro di Dio prima di morire, e che, invece, guarisce ed esplica una attività prodigiosa, di apostolato nell’Azione Cattolica, di studio e d’insegnamento nell’Università Cattolica, sempre in polemica vittoriosa col male che vuol riprenderlo – e talvolta, come nel 1937, lo riprende, ma per esserne ancora sconfitto – ; un uomo che sembra finito al primo attacco di cuore, che dai medici è dichiarato in imminente pericolo, e che continua, invece, per circa ancora dieci anni, a lavorare, a pubblicare, ad insegnare, a dirigere anime!
Quasi fino all’ultimo giorno – anche se alla porta del suo appartamento nel palazzo dell’Arcivescovado un biglietto da visita avvertiva che monsignore non poteva ricevere, perché ammalato – egli riceveva chi andava a visitarlo, e trovava sempre la parola buona e rasserenante, il consiglio sicuro e paterno: il corpo era diventato leggerissimo, la parola era fioca, ma gli occhi erano sempre più brillanti e vivi, come sempre più vivo era l’affetto ed il palpito del cuore ammalato.
76 anni di vita; 54 di sacerdozio e di battaglie sulla “Rivista di filosofia neo-scolastica”, su “Vita e Pensiero”, su “La Rivista del clero italiano”, su molti periodici di cultura e di apostolato, per uomini piccoli e per uomini grandi, per pensatori, professionisti, operai e contadini, uomini e donne, giovani e adulti; una vita intera dedicata alla Chiesa nel campo dell’Azione Cattolica da lui portata a Milano (…) ad altissime vette spirituali, 40 anni di magistero universitario di filosofia – metafisica, storia della filosofia, istituzioni di filosofia, filosofia del diritto, pedagogia, religione –, che hanno dato un volto alla rinascita neoscolastica italiana, ed una risonanza internazionale alla Scuola dell’Università Cattolica; ma anche gli anni prima del sacerdozio, quelli di fanciullo, vicino alla ‘mammetta’ Teresa, rimasta presto vedova e consacratasi interamente alla cura dei figli, e poi al suo secondo Angelo Custode, negli anni della malattia che sembrava non dovesse permettergli neppure l’ordinazione sacerdotale, e negli anni di sacerdozio fino al 1929, quando tornò, pianta ed amata, alla casa del Padre; e gli anni di seminario, in cui il giovane Francesco Olgiati spiccava tra i suoi compagni per la pietà sicura e senza retorica, per l’impegno culturale, per l’apertura problematica alla vita della formazione filosofica e teologica.
Chi ha avuto la fortuna di conoscerlo ne ha presenti la signorile figura, lo sguardo limpido e penetrante, l’intelligenza acutissima e costruttiva, la volontà tenacissima, la parola chiara, persuasiva e travolgente, la comunicatività irresistibile, la simpatia avvincente, la ricchissima forza polemica, la fecondità del soprannaturale amore cristiano vissuto fino al sacrificio, il pieno impegno di riportare il mondo a Dio attraverso tutte le vie dell’apostolato, la fiducia piena, per cui fu detto a ragione Apostolo della gioventù, nei giovani, nei quali è l’avvenire e la ricchezza della forza viva e generosa, senza i compromessi, le malizie e gli egoismi, che tante volte avvelenano e falsano l’età matura.
Anche nei suoi ultimi anni, mons. Olgiati fu sempre giovane di spirito per il suo ottimismo e per il suo entusiasmo, che non lo fece mai indietreggiare davanti a nessuna battaglia, per il suo guardare sempre avanti – come il suo grande amico Agostino Gemelli –, per il suo donarsi completamente al servizio della Chiesa e della cultura, per il suo sacerdozio vissuto in pienezza di dedizione, di comprensione, di sacrificio e che poteva fargli sempre ripetere, anche nella prostrazione fisica della malattia, e sempre col sorriso e la facezia arguta, serena e profonda sulle labbra: “Ad Deum qui lætificat iuventutem meam!”. (...)
Le tappe principali del suo viaggio terreno, non ricco di avvenimenti esteriori, ma sempre più profondo di vita spirituale, e scritto non sulle cose ma nelle anime, possono così compendiarsi: 1° gennaio del 1886 nasce a Busto Arsizio (Varese) da Giuseppe e da Teresa Ferrario. Dopo le elementari, entra in seminario, segue con interesse e profitto quel grande maestro di teologia che fu il card. Minoretti, ed il 13 giugno 1908 viene ordinato sacerdote nel Duomo di Milano da Sua Eminenza il card. Andrea Ferrari. Subito dopo conosce padre Gemelli, convertito, entrato nei Frati Minori, ed anche lui ordinato sacerdote nel 1908: ne nasce un'amicizia esemplare, durata per tutta la vita, feconda ad entrambi, per la complementarietà dei caratteri e delle intelligenze, e riccamente costruttiva per la vita cattolica italiana; nel 1909 nasce, fondata da padre Gemelli, la "Rivista di filosofia neoscolastica" ed Olgiati ne diviene collaboratore, così come diventa parte attivissima nella "Società italiana per gli studi psicologici e religiosi", fondata anch'essa nello stesso tempo da padre Gemelli; nel 1913 viene nominato archivista della Curia, ed è anche direttore spirituale del Collegio delle Marcelline. Nel 1914 fonda, con padre Gemelli e vico Necchi, la rivista “Vita e Pensiero”, il cui primo articolo, Medioevalismo, è tutto un programma di pensiero e di vita, non per un ritorno ad un’epoca passata, ma per l’instaurazione della centralità dei valori dello spirito nel mondo contemporaneo, e per l’affermazione dell’ordine e della finalità del reale, che viene da Dio ed a Dio deve tendere e ritornare in tutte le sue manifestazioni. Durante la guerra, mentre continuano le attività dell’amico Gemelli nel campo culturale e religioso, continua la fervida collaborazione di Olgiati; e, dopo la guerra, è la grande battaglia per la fondazione dell’Università Cattolica: preghiere, studi, conferenze, pubblicazioni; è una viglia fervida ed appassionante, com’egli ci ha splendidamente raccontato nel I volume della Storia dell’Università Cattolica.
Nel 1920 fonda, con padre Gemelli e mons. Vigna, “La Rivista del clero italiano”, la rivista del sacerdote per i sacerdoti.
E da anni è in prima linea per le “battaglie dei giovani”, cioè per l’Azione Cattolica, in cui accanto a don Giovanni Rossi, assistente diocesano dell’Unione giovani cattolici milanesi, egli è – e rimane quasi fino alla morte – l’impareggiabile maestro dei propagandisti. (…)
L’8 dicembre 1921 nasce l’Università Cattolica: è un grandioso sogno che si avvera, e sono nuovi, più gravi impegni e responsabilità, accanto al grande fondatore, per il trionfo del Regno di Cristo.
Membro dell’Istituto Toniolo e del Consiglio di amministrazione, mons. Olgiati assume l’insegnamento della metafisica; e sentiamo ancora Manzini: ‘Per don Olgiati si operava una radicale conversione nel programma di vita: l’apostolo dell’Azione Cattolica, il maestro dei giovani, il divulgatore apologista, si concentrava nello studioso, nel docente, nell’erudito intento all’ardua fatica della cattedra, cui si doveva dare onore e splendore.
Chi scrive fu presente alla prima lezione inaugurale di don Olgiati, titolare della Facoltà di filosofia, sulla “filosofia dell’oggetto”. Vestito di una nuova lucente talare, commosso e grave, il nostro incontenibile don Olgiati aveva ormai il segno del maestro accademico: pronunciava con voce rotta la preghiera iniziale e nella piccola aula odorosa di resina e di mobilio nuovo cominciava quel suo degno itinerario d’alta scienza, di degna speculazione’, che si è concluso solo con la morte.
Insegnerà poi, quando, col riconoscimento giuridico dei titoli rilasciati dall’Università Cattolica (1924), l’ordinamento degli studi si uniformerà a quello delle altre Università dello Stato, storia della filosofia moderna e poi filosofia, tenendo per incarico, per qualche anno, religione e pedagogia, e, dal 1926-27, filosofia del diritto.
Nel 1924, intanto, consegue la libera docenza in storia della filosofia: il principale, tra i volumi presentati, è L’anima dell’Umanesimo e del Rinascimento; e nel 1930 vince il concorso universitario, riuscendo primo nella terna, il cui secondo e terzo posto sono conquistati da padre Emilio Chiocchetti e da Antonio Banfi, ma non all’unanimità, come è, invece, per mons. Olgiati. La commissione è formata da Aurelio Covotti, Agostino Gemelli, Antonio Coiazzi, Antonio Aliotta, Paolo Lamanna, e, tra i concorrenti, ci sono studiosi seri ed apprezzati: oltre ai citati Chiocchetti e Banfi, ricordiamo Carlo Mazzantini, Ugo Spirito, Ferdinando Albeggiani, Galvano della Volpe. La commissione loda nell’Olgiati il metodo storiografico che gli fa vedere e giudicare pensatori e correnti di pensiero “in modo integrale, sotto tutti gli aspetti”, e gli riconosce di “conoscere profondamente non solo il pensiero tomistico, da lui presentato in una nuova sintesi nel saggio L’anima di San Tommaso, ma tutta la filosofia moderna, dal suo nascere fino ai suoi più recenti sviluppi, attingendo dalle fonti dirette e documentando sempre con precisione”.
Nel 1933 diventa professore di ruolo ordinario di storia della filosofia moderna: la commissione è composta da Giovanni Gentile, Armando Carlini, Augusto Guzzo. Essa loda “l’ampia, varia, ariosa e versatile attività del prof. Francesco Olgiati”, e, prendendo in esame il volume allora apparso, Cartesio, dice: “L’esame delle maggiori interpretazioni di Cartesio dimostra larga conoscenza della letteratura, appare ben condotto, e per questo riguardo deve essere giudicato utile alla letteratura italiana. La Commissione è altresì unanime nell’apprezzare questo volume dell’Olgiati molto oltre tutti i suoi precedenti, compreso il grosso volume su L’anima dell’Umanesimo e del Rinascimento; e loda la larga informazione e comprensione della filosofia contemporanea e la capacità di giudicare anche Cartesio avendo l’occhio alla filosofia contemporanea e ai suoi bisogni ed esigenze”; dopo alcune osservazioni critiche sull’interpretazione fenomenistica del pensiero cartesiano, la commissione conclude; “Questi rilievi non diminuiscono però il favore della Commissione per la versatilità e finezza della mente e della produzione scientifica dell’Olgiati”.
Nel 1933 – venticinquesimo del suo sacerdozio, celebrato affettuosamente insieme a quello di padre Gemelli, ricorrenze onorate dai cattolici italiani con l’offerta all’Università dei Collegi universitari “Augustinianum” e “Ludovicianum”, per gli studenti più meritevoli e nello stesso tempo bisognosi dell’Università Cattolica, laici e sacerdoti – Pio XI lo nomina protonotario apostolico (dal 1922 è Cameriere segreto si Sua Santità, e dal 1923 Canonico onorario del Capitolo metropolitano milanese).
Nel 1940 riceve l’onorificenza di cavaliere della Corona d’Italia.
Nel 1943-45 – anni difficilissimi per la patria e per l’Università – è preside della Facoltà di lettere e filosofia, e per alcuni mesi, dopo la Liberazione, pro-rettore dell’Università Cattolica. (…)
Nel 1955, su proposta del ministro della Pubblica Istruzione, riceve la medaglia d’oro dei benemeriti della scuola, della cultura e dell’arte; nel 1958 la medaglia d’oro dei benemeriti della provincia di Milano; e nel 1960 il comune di Busto Arsizio gli assegna il diploma con targa d’oro dei cittadini benemeriti, consegnandolo al fratello, perché egli, ammalato, è immobilizzato nel suo ritiro estivo di Santa Cristina di Borgomanero.
Dal 1959, dopo la morte di padre Gemelli, è presidente dell’Istituto G. Toniolo di studi superiori, ente fondatore e finanziatore dell’Università Cattolica, e, anche malato, segue e guida con vigile interesse ed affetto tutto il lavoro dell’Università nella difficile fase di assestamento, per la scomparsa della personalità vigorosa, potente, accentratrice, realizzatrice, autoritaria, inconfondibile ed irripetibile di padre Gemelli: è il periodo in cui comincia il suo cammino la Facoltà di medicina tanto sognata e desiderata dal fondatore e l’inizio dei corsi, a Roma, lo trova all’ospedale Fatebenefratelli di Milano, dov’è stato ricoverato d’urgenza per un intervento chirurgico: “Sono il primo malato – commenterà colla sua abituale facezia, sul letto del dolore – della nuova Facoltà”, mentre riceve la benedizione augurante del grande Papa della pace, Giovanni XXIII, la cui elevazione al pontificato egli ha salutato e celebrato con un libro d’amore e di entusiasmo.
Nel 1960 è annoverato tra i consultori della Pontificia Commissione dei Seminari e delle Università degli Studi per la preparazione del Concilio ecumenico Vaticano II.
Nel 1961 lascia, per raggiunti limiti d’età, l’attività accademica, durata quarant’anni, e riceve, con commossa gratitudine, l’omaggio dei suoi discepoli, che gli offrono un volume di 610 pagine, Studi di filosofia e di storia della filosofia in onore di Francesco Olgiati, pubblicato dall’Università Cattolica.
Il volume esce quando egli, convalescente, è alla “Domus Nostra”, per essere assistito e curato con maggiore precisione e continuità. Ma non è fatto per lui un ambiente controllato, che gli misura le visite dei suoi amici, per salvaguardargli la salute. È stato sempre a disposizione di tutti quelli che l’hanno cercato, e non vuol chiudere la sua giornata terrena diversamente da come l’ha vissuta.
Ritorna, quindi, alla sua casa, rivede e risfoglia i numerosissimi volumi della sua biblioteca, riceve, soprattutto, tutti quelli che vanno a trovarlo, per augurargli ogni bene e per farsi ancora illuminare e guidare.
E là, in piazza Duomo 16, si addormenta serenamente nel Signore la sera del 21 maggio 1962.
Viene esposto, vestito degli abiti prelatizi, nella chiesetta di Santa Maria Annunziata in Camposanto, dietro il Duomo di Milano: ed è un pellegrinaggio ininterrotto, di visite e di preghiere, da parte di quanti lo conobbero e l’amarono.
Il 24 maggio si celebrarono i funerali, alla presenza di rappresentanti del Governo e delle Camere, delle autorità provinciali e comunali, del Corpo Accademico dell’Università in toga, dell’Azione Cattolica maschile e femminile, di un’innumerevole schiera di amici e discepoli.
E nel Duomo di Milano, parato a lutto, il card. Montini pronuncia la sua splendida orazione funebre, sentitissima, vibrante d’affetto e di commozione, sintesi mirabile della vita e dell’azione di mons. Olgiati:

“Non discorso, ch’Egli proibì; ma una preghiera, fratelli e fedeli, una preghiera sì noi dobbiamo fare.
Preghiamo per l’eterna pace dell’anima cristiana e sacerdotale di mons. Olgiati: quel Dio, a cui tutta la sua vita fu sacra, quel Dio, a cui tutto il suo pensiero fu rivolto, quel Dio a cui tutta la sua fatica diede gloria, apra ora allo spirito benedetto di lui la visione della sua luce, ch’egli cercò, intravide ed amò, con cuore di fanciullo e con occhio acuto, nella penombra del nostro cammino terreno.
A lui, Cristo, ch’egli seguì, predicò, e servì con dedizione umile e totale,
a lui, Cristo, di cui egli insegnò e predicò le sorgenti di vita soprannaturale,
a lui Cristo, dal cuore del quale egli appassionatamente trasse sapienza, e carità e letizia persè e per quanti gli furono colleghi, amici e discepoli, ed avversari,
Cristo Gesù faccia ora a lui sperimentare la potenza e la pienezza della Sua parola: ‘ Io sono la risurrezione e la vita’, e gli conceda, nello Spirito Santo, il gaudio dell’eterno amore.
E perché questo sia presto, sia subito, soccorri Tu, ed accogli Tu, o Maria Immacolata, l’anima di lui a Te devotissimo; vieni a lui incontro, Francesco, il cui nome egli portò ed onorò facendo proprio il tuo spirito ed imitando le tue virtù.
Requiem æternam dona ei, Domine.
Ancora preghiamo, fratelli e fedeli, perché non vada per noi disperso il tesoro dei suoi esempi. Resti in noi pia e profonda la memoria di lui: il suo aspetto semplice e dimesso, il suo sorriso schietto e vivace, il suo profilo spirituale, candido e magnanimo. Ci sia fortuna l’averlo conosciuto, ci sia impegno l’averlo ascoltato, ci sia conforto l’averlo avuto amico, guida, maestro. Raccolga la storia della nostra diocesi e del nostro paese la sua figura buona e saggia e generosa; e dica a noi, dica ai lontani, dica ai venturi quale cultore instancabile di studi, quale lucido professore, quale fecondo scrittore, quale animatore di opere, quale consigliere di coscienze, quale educatore di giovani, quale spirito rasserenante e giovanile, quale sacerdote di Cristo egli fu.
Ancora preghiamo, fratelli e fedeli, prima di prendere commiato dall’esile salma di lui, che l’opera sua non sia caduca per la sua morte.
Egli operò perché il clero fosse pari alla sua missione, nella scienza, nello zelo, nella modernità dell’attività pastorale, nel disinteresse, nella autenticità della preghiera e della vita interiore, nella fedeltà al papa e alla gerarchia. Preghiamo, quasi da lui esortati, che il nostro clero sia tuttora, e sempre, capace di comprendere, sostenere e far propria la fatica da lui per tanti anni indefessamente promossa e personalmente compiuta.
Egli operò perché la gioventù prendesse coscienza delle sue vocazioni e delle sue forze, e perché offrisse alla causa di Cristo e della Chiesa una nuova impensata testimonianza di coraggio, di purezza, di apostolato e di amicizia. Anime giovanili senza numero risposero alla sua chiamata, presero di sé coscienza alla sua parola, osarono grandi cose al suo comando ed al suo esempio. Oh, possa l’epifania di spiriti giovani, forti, concordi e lieti rinnovarsi ad ogni nuova stagione sociale, e dare alla nostra una rinascente fioritura di bellezza cristiana e di cristiana fortezza.
Ancora egli operò perché il pensiero cattolico si risvegliasse, e attingendo sicurezza dalle fonti della sapienza perenne acquistasse linguaggio nuovo, comprensibile agli orecchi moderni, vigore nuovo, capace di penetrare e di risolvere i problemi speculativi moderni, strumenti nuovi idonei a dare alla nostra cultura, e maestri e riviste e libri e cattedre adeguate ai bisogni moderni. Ringiovanì, rinfrancò, arricchì la nostra apologia e la nostra filosofia; e fu a fianco di padre Gemelli… – oh, quanto grandi le figure, amaro il rimpianto, commovente il ricordo di quei due grandi Amici si fanno in quest’ora! – fu a fianco mons. Olgiati di padre Gemelli nella fondazione, e per un quarantennio nel primo sviluppo dell’Università Cattolica del Sacro Cuore: la grande opera! Oh, Signore, fa che sia grande davvero e sempre! Per l’audacia di tanta impresa, per la lealtà di dottrina che sempre la resse, per il sacrificio immane ch’essa è costata, per la stupenda schiera di maestri ch’essa chiamò a spirituale convito e a duro cimento, per il magnifico esercito di giovani studenti, ch’essa accolse, svegliò alle realtà dello spirito ed educò alla milizia della verità nel pensiero e nella vita, fa, o Signore, nel nome di questi Tuoi araldi fedeli e generosi, di questi Tuoi profeti per l’età nostra e per il Paese nostro, noi Ti preghiamo, che l’edificio di sapere e di virtù della nostra Università resti al di fuori alto e massiccio rifugio di sapienza cristiana, e al di dentro limpida fonte di sempre nuova e corroborante cultura.
Ecco, o Signore, che noi così pregando per il confratello defunto per noi stessi terminiamo la nostra predica; invocando per lui la Tua eterna mercede invochiamo per noi la Tua misericordia, e piangendo la sua morte, per lui e per noi imploriamo il dono della Tua vita, o Signore.
Requiem æternam dona ei, Domine”.

Al termine del funerale, in Duomo, la bara viene portata all’Università Cattolica, dove è deposta nella cappella; e da qui, dopo il saluto del corpo accademico, viene accompagnata a Busto Arsizio per le ultime pubbliche onoranze nel Duomo, prima della inumazione nella tomba di famiglia, in attesa del ritorno all’Università Cattolica, per essere tumulata nella cripta della cappella del Sacro Cuore, insieme al beato Contardo Ferrini, al conte Lombardo, a Vico Necchi, a padre Gemelli, ad Armida Barelli»

Estratto da: Carmelo Ferro, Monsignor Francesco Olgiati. Il filosofo, Vita e Pensiero, Milano 1974, pp. 9-22.
 
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