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La filosofia di san Tommaso per comprendere lo splendore del creato

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TotusTuus
view post Posted on 6/8/2006, 12:05     +1   -1




La filosofia di san Tommaso per comprendere lo splendore del creato



Uscire dagli incubi concepiti dalla calamitosa apostasia moderna e far ritorno alla retta ragione vuole dire, prima di tutto, contemplare la meraviglia del creato nella luce raggiante della verità.
Finirla con l'oscura fisima dell'intellettualismo, che postula la superiorità del pensiero sull'essere e decreta il dominio del sogno - del «progetto a monte» - sulla realtà.
Allontanare i sortilegi e le fantasticherie prodotte dai calunniatori dell'essere.
Sciogliere il grumo di irrequietezza e ingratitudine, che genera la rivolta del desiderio contro la verità.
Per rimuovere il declinante «moderno» occorre quindi adottare l'assioma, che san Tommaso d'Aquino ha stabilito con inimitabile chiarezza: «non est verum quod intelligere sit nobilius quam esse; sed determinatur ab esse, immo sic esse est eo nobilius». (1)
L'attuale momento storico, rappresenta la discesa delle grandi rivoluzioni nel chiacchiericcio babelico e l'umiliante contrazione dell'illuminismo tra il malinconico lumicino della pornografia e il fanatismo terzomondiale.

L'ischemia del pensiero illuministico legittima la considerazione che questo momento storico è propizio alla riconquista della sapienza tradizionale, oltraggiata ma non spenta dal «moderno».
Gli orfani del XVIII secolo, peraltro, non hanno alcuna difficoltà ad ammettere che la filosofia dell'«Aufklärung» e l'idealismo oggi corrono, al seguito della cometa nietzscheana e heideggeriana, verso orizzonti dove la razionalità si converte «in stati alterati … che comportano attenzione concentrata, assenza di autocontrollo, amnesia, oblio del nesso di causa ed effetto, obliterazione della temporalità e della normale immagine del corpo … e infine la percezione di un rullio di tamburo». (2)
La coscienza dell'uomo contemporaneo è oppressa dal peso insopportabile dell'impostura «ultima», che predica l'assenza di ordine e significato: «ci troviamo di fronte ad una sorta di seconda secolarizzazione: una secolarizzazione della secolarizzazione. Se la prima è stata una secolarizzazione della salvezza, quella contemporanea è una secolarizzazione dalla salvezza». (3)

Il preconcetto del secolarismo, diffuso per sfidare l'evidenza ed imporre la superiorità del pensiero sull'essere, del desiderio umano sulla creazione divina, dopo aver alimentato la contestazione di tutto l'esistente e la stolta pretesa di rifare il mondo, è passato per il fuoco mortificante dei disinganni, trasformandosi in fondamento di quel «totalitarismo della dissoluzione», che urla dai pulpiti «consacrati» dal conformismo. (4)
Riconoscere la stretta parentela dell'intellettualismo moderno con il nichilismo postmoderno aiuta a comprendere che il compito degli oppositori cattolici consiste, prima di tutto, nel riconoscere, con san Tommaso, quella bontà del creato, che i moderni «maestri del sospetto», i Marx, i Leopardi, gli Schopenhauer, i Nietzsche, i Freud, gli Heidegger, i Sartre hanno nascosto dietro indecenti piagnistei e obiezioni calunniose. (5)
L'esigenza di battere in breccia il nichilismo, non può essere soddisfatta seriamente senza la consapevolezza che l'ottimismo cristiano, magistralmente esposto nelle le tesi di san Tommaso sulla bontà dell'essere, fondano l'unica filosofia adatta ad illuminare la via d'uscita dai pensieri rovinosi che compongono lo scenario delle apostasie antiche e moderne.

L'opera di san Tommaso realizzò, infatti, la coerente interpretazione filosofica dell'insorgenza domenicana contro l'eresia catara, ossia la retta e definitiva risposta della ragione alla sfida nichilista.
Quasi anticipazione del nichilismo imperversante a partire dall'ultimo decennio del XX secolo, l'eresia medievale negava la bontà del creato, e insinuando il sospetto che l'uomo «creato in parte da Dio, in parte da Satana, miscuglio di bontà e di malignità, di verità e di falsità, di essere e di nulla», fosse condannato a soccombere al male intrinseco nella creazione.
I catari affermarono, pertanto, che la dissoluzione, l'uscita dal mondo, rappresentava la via obbligata - fatale - che l'uomo deve rassegnarsi a percorrere: «per sfuggire a questa condizione, cui lo condanna la dimora in un corpo materiale, egli dovrà distruggersi, troncare il nodo perverso di spirito e di carne che lo costituisce». (6)
Ora dal disprezzo della creazione discende necessariamente una forsennata e selvaggia avversione al Dio della Sacra Scrittura: secondo gli albigesi, Abramo, Isacco, Giacobbe e Mosé sarebbero figure diaboliche ed emissari di un «deus iniquus».

Di qui l'abbattimento dei princìpi razionali della teodicea e l'invenzione di un Cristo buono, impotente e perciò separato - e opposto «per diametrum» - alla perversa giustizia del Creatore rivelato dall'Antico Testamento.
La dottrina catara fantasticava intorno ad un Cristo venuto al mondo solo per istituire il sacramento dell'estenuazione viziosa - la capovolta ascesi degli autodistruttori - e per benedire la perfetta uscita dall'essere.
La furente contestazione del Creatore e la ricerca di riparo nel cuore di una divinità solidale con i devastatori, ma priva di giustizia e di splendore, sono i distintivi del pensiero crepuscolare, che ultimamente affida l'eredità della rovina rivoluzionaria all'aura spirante dai bassifondi del medioevo cataro.
Simone Weil, esponente di prima fila del nichilismo d'avanguardia e stella cometa - star - della teologia nichilista, infatti, professava apertamente il disprezzo per il Dio dell'Antico Testamento: «non sono mai riuscita a capire come uno spirito ragionevole possa considerare lo Yahweh della Bibbia e il Padre invocato nell'Evangelo come un solo e medesimo essere». (7)

Simili affermazioni ricorrono anche nei saggi di altri «spiritualisti» apprezzati a destra e a sinistra dello sgangherato fronte ecumenico costituito dai postmoderni: ad esempio Otto Rahn (ricercatore nazionalsocialista del graal cataro) (8) e Jacob Taubes (rabbino ateologo invasato dall'odio contro la legge mosaica). (9)
Se è chiara, da un lato, la velenosa erroneità della teologia catara e, dall'altro, la sua massiccia presenza nello sconvolto scenario della cultura contemporanea, è facile comprendere l'insistenza di san Tommaso e dei tomisti formati alla scuola di Cornelio Fabro, sulla bontà e bellezza del Creatore e della creazione.
Nella luce del «tomismo essenziale», restaurato e rinnovato mediante un'opera meticolosa e geniale, Fabro ha potuto diagnosticare, con un rigore ed un'esattezza che non ha paragoni nella storia del cattolicesimo moderno, il male oscuro della filosofia: l'insurrezione degli astratti ideali, suggerita dal ritornante delirio gnostico e cataro.
Grazie alla magnifica opera di Fabro, oggi è evidente che il cuore dell'opera di san Tommaso, l'intenzione profonda della «Summa theologiae», della «Summa contra Gentiles», del trattato «De malo» e degli opuscoli dedicati all'ontologia (in special modo il «De ente et essentia» e la «Expositio libri Boetii De Ebdomadibus»), si trova nella giustificazione dell'opera del Creatore e Signore del mondo.
Svelare il fondamento della realtà, per san Tommaso, significa dimostrare la bontà e la gloria del Creatore riflessa, «partecipata» alle cose create.

Prima di esaminare gli argomenti per mezzo dei quali san Tommaso dimostra la bontà del creato è necessario superare le difficoltà costituite dai malintesi intorno alla metafisica, cioè i sofismi che sono stati inventati e imposti dall'arroganza degli storiografi di scuola illuministica e marxistica.
Sofismi purtroppo accolti (acriticamente) anche dalla incontenibile smania conformistica dei teologi che si sono formati alla scuola del progressismo teologizzante.
Tali «difficoltà» sono chiaramente visibili in certi libri di testo per i licei, libri concepiti dalla cupidigia oscurantista per seppellire la filosofia di san Tommaso nella parentesi del medioevo rozzo e superstizioso, inventato dalle leggende nere.
In realtà la metafisica è stata contestata da autori sviati dal pregiudizio e irretiti nel disprezzo luterano per la cultura cattolica: Kant, che conosceva la metafisica di san Tommaso solo attraverso tardi e devianti rifacimenti razionalistici e formalistici, e Hegel, che ne aveva conoscenza soltanto per sentito dire.

Le obiezioni al tomismo, peraltro, riguardano aspetti importanti ma non essenziali, quali la capacità della ragione di astrarre concetti scientificamente validi.
Kant, per giustificare l'instaurazione di quel regno delle «scienze sode», che, alla fine del ciclo moderno, è lecito definire «nichilismo tecnocratico», sostiene, che per procedere oltre la prima astrazione scientifica è necessario obliare i princìpi della metafisica e ripiegare sulla continua osservazione della realtà materiale.
Secondo Kant, per dimostrare 7+5=12 non bastava applicare la nozione di somma matematica, ma era necessario ricorrere ad una rappresentazione sensibile, ad un pallottoliere.
L'obiezione kantiana è strutturalmente debole, poiché Sofia Vanni Rovighi ha dimostrato che, quando si facesse dipendere ogni progresso della matematica da una rappresentazione sensibile, non si potrebbe sommare i numeri che sfuggono alla presa dei nostri sensi, ad esempio 3123 e 4875.

Ad ogni modo, l'obiezione kantiana è diventata marginale e secondaria, dopo che Cornelio Fabro ha stabilito, in via definitiva, che l'oggetto proprio della filosofia non è l'astrazione dell'universale ma il momento precedente, l'atto teoretico con cui si coglie l'«ens».
Il criticismo ha smesso di rappresentare il vicolo cieco della metafisica da quando, grazie a Fabro, si è propagata la notizia che i filosofi del Settecento, e fra loro Kant, neppure sfiorarono il cuore del problema, in quanto il loro strutturale formalismo impediva la conoscenza del vero significato dell'atto d'essere.
Non è infatti il giudizio astratto ma l'apprensione originaria e immediata dell'«ens» ad avviare il discorso della ragione alla conoscenza della causa prima. (10)

Scrive al proposito Andrea Dalledonne, commentatore lucido e fecondo continuatore dell'opera di Fabro: «san Tommaso indica nell'ens, sintesi metafisico-trascendentale di esse partecipato e di essenza realmente distinti come atto e potenza, il primo oggetto del nostro conoscere. ... In san Tommaso l'immediata apprensione dell'ens non è né può essere astrattiva, ma è costituita dall'inizio dell'internarsi del pensiero nel reale cosicché, rispetto a tale atto teoretico, quello di astrarre l'essenza degli enti si dimostra subordinato e fondato». (11)
Poiché l'apprensione dell'«ens» (definito «trascendentale concreto») precede e trascende l'astrazione dell'essenza degli enti, atto che perciò si dimostra subordinato e fondato, la metafisica è posta da san Tommaso al riparo da tutte le obiezioni sollevate dai critici (e segnatamente da Heidegger), che si ostinano a considerare il suo pensiero e la sua opera alla stregua di un tentativo di adattare alla fede cristiana gli incerti risultati dell'intellettualismo e del formalismo dei greci.

Fabro ha chiarito che il tomismo da lui proposto non è storico ma speculativo, «ripreso direttamente alla sua fonte e ripensato dentro l'istanza moderna del fondamento». (12)
In un'opera precedente, «Introduzione all'ateismo», Fabro aveva anticipato l'indirizzo della sua ricerca filosofica: «dobbiamo assumere, dall'affascinante avventura del pensiero moderno, l'istanza della radicalità ch'è rivolta però non all'imporsi - impossibile come dimostra la più elementare analisi di struttura del pensiero e come ha dimostrato senza possibilità di ritorsione lo sviluppo della filosofia moderna - del pensiero come atto dell'essere, ma al presentarsi dell'essere come atto e fondamento del pensiero».
La rivoluzionaria «scelta di campo» fabriana conferma che il tomismo della restaurazione risolve il problema del cominciamento senza presupposti, problema che è stato posto, ma non risolto, da Hegel.
Alla luce del suo «tomismo speculativo», Fabro ha superato l'aporia della metafisica hegeliana (la pretesa di cominciare dall'essere vuoto) stabilendo che «il primo passo del pensiero dev'essere fondante in senso assolutamente costitutivo e illuminante dell'intero cammino dello spirito e perciò dev'essere condizionante ogni successiva conoscenza del reale sia del finito come dell'Infinito. Tale passo assolutamente primo del pensiero è indicato da san Tommaso nel plesso dialettico di ens, senza alcuna esitazione o ambiguità: 'illud autem quod primo intellectus concipit quasi notissimum et in quod omnes conceptiones resolvit est ens'». (13)

Le conclusioni di san Tommaso, vanno ben oltre quelle di Platone e di Aristotele.
De Raeymaeker ha riconosciuto l'originalità della lettura fabriana del pensiero tomistico: «... en métaphysique la position de saint Thomas est profondément originale. Elle est bien plus que les thomistes ont accoutumé de le prétendre. Il est vrai que le 'docteur angélique' s'est pénétré de doctrines d'origine diverse, grecque, latine, arabe, juive; mais loin de demeurer l'esclave de ses sources et de se borner à lés or¬donner en un système éclectique, il se les est assimilé personnellement: tout en y prenant appui, il s'en est libéré; en s'aidant de leur lumière, il a conçu une métaphysique qui lui est propre; et tout l'ensemble doctrinal, y compris le point de vue formal, s'en est trouvé renouvelé. Dès lors, étant soumis à un éclairage nouveau, les problèmes, tout autant que les solutions, en ont acquis un sens jusqu'alors inconnu». (14)

La novità del tomismo si manifesta pienamente, grazie all'opera di Cornelio Fabro, che rivendica la sua scoperta dichiarando che «la prima presentazione della partecipazione come superamento del pensiero classico (Platone - Aristotele) è nel volume 'La nozione di partecipazione secondo san Tommaso d'Aquino', Milano, 1939. Fanno seguito B. Geiger, 'La participation selon saint. Thomas', Paris, 1942; A. Hayen, 'L'Intentionnel dans la philosophie de saint Thomas', Bruxelles – Paris, 1942; J. De Finance, 'Être et agir dans la philosophie de saint Thomas', Paris, 1945». (15)
Dopo che, al seguito di Martin Heidegger (16), gli storici della filosofia convengono nell'ammettere che il tratto distintivo di tutto pensiero occidentale è l'«oblio dell'essere», oblio iniziato dalla predicazione platonica e aristotelica della prevalenza delle idee sull'essere, è aperta la via alla revisione del giudizio sull'influsso del pensiero classico nella metafisica cristiana.
Se non che san Tommaso costituisce l'unica eccezione alla regola dell'oblio: come afferma Rosa Goglia, «Fabro illumina una novità teoretica rivoluzionaria: il pieno superamento della dottrina aristotelica compiuto da san Tommaso mediante la scoperta dell'esse come atto metafisico primo - ultimo emergente, in grado di fondare e giustificare speculativamente la creazione».

Il carattere peculiare della filosofia di san Tommaso è, infatti, l'affermazione del primato dell'essere in un senso più radicale (e più vero) di quello parmenideo.
E' dunque pienamente legittima la conclusione di Rosa Goglia, secondo la quale «più san Tommaso che non Heidegger recupera l'esigenza speculativa dell'essere parmenideo, facendolo compenetrare e rifluire nella dialettica platonica della partecipazione e nella metafisica della potenza e dell'atto aristotelica, in un plesso noetico che, con l'avanzare della sua opera, si fa sempre più evidente e pregnante e che non ha alcun riscontro nella storia del pensiero occidentale. E' in questo modo che egli riesce a capovolgere l'indirizzo del pensiero occidentale - ciò cui non giunge invece Heidegger, malgrado i suoi notevoli sforzi - e ad indicare nell'esse l'atto dell'ente e il fondamento (Grund) della causalità». (17)
Non a caso i più fedeli e lucidi studiosi di ontologia hanno intitolato il pensiero di san Tommaso ad un «parmenidismo» ripensato e riformato alla luce della rivelazione (Es., 3, 14) dell' «Ipsum Esse» e del trattato dello Pseudo Dionigi «De divinis nominibus».

Guidato dalla rivelazione biblica, ma senza percorrere la facile scorciatoia del fideismo, san Tommaso ha potuto sciogliere il nodo (prima di lui insolubile) costituito dalla definizione di Parmenide «l'essere è ingenerato e indistruttibile; esso è infatti un tutto nella sua struttura, immobile, privo di fine temporale, perché non sarà un tutto di parti unite, ma è soltanto nella sua natura un tutto». (18)
Nel capitolo citato di «Partecipazione e causalità secondo san Tommaso», Fabro, sottolinea il carattere di sconvolgente novità che appartiene alla rivelazione dell'«Ipsum Esse», dimostrando che «affermare che l'essere diviene e che il divenire ha realtà di essere, che il molteplice ha la verità dell'essere ovvero che la causalità ha una propria verità di essere, può sembrare legittimo, ma non può essere rivendicato analiticamente come attributo dell'Essere stesso: in tutti i modi la causalità così come la molteplicità è una novità, un'aggiunta rispetto all'Essere che si fa presente come Uno, così che l'appartenenza della causalità all'essere sembra doversi fondare altrove che nell'essere stesso».
Fabro ha stabilito una verità sconcertante: il pensiero clas¬sico ha sempre ignorato quell'«aggiunta della causalità», che sta a fondamento della concezione di Dio e del mondo da parte della religione rivelata.

«La realtà dei molti e del divenire è la novità nell'essere, la causalità esprime l'origine e il fondamento della novità di essere la quale ha quindi per unico ed essenziale fondamento la libertà divina: a que¬sto modo la verità di essere del divenire e del molteplice è e non può essere che sintetica e su questo l'esigenza di Parmenide della verità dell'Essere -Uno si trova sullo stesso punto, benché non sullo stesso piano, della verità della creazione del cristianesimo».
Il fatto è che il genio di Parmenide, quasi folgorato dall'evidenza dell'essere uno, ridusse la verità del divenire e dei molti a pura «doxa».
La filosofia parmenidea, chiarisce Fabro, ha lasciato la causalità fuori dell'Essere, dando «la formula del pensiero puro formale ch'è l'analiticità dell'essere», un ambito nel quale sono vere le paradossali dimostrazioni di Zenone d'Elea.
Se non che la considerazione analitica dell'essere non è sufficiente a spiegare l'evidenza del divenire.
Di conseguenza il pensiero greco fu costretto a tentare il parmenicidio, come distruzione del proprio fondamento: «lo sviluppo ulteriore del pensiero classico prende significato dal ricupero, tentato in tutti i modi, del divenire e quindi della causalità dell'essere».

Ora tale sviluppo dimostra la strutturale debolezza di tutte le formule del «pensiero puro formale», e delle filosofie che ignorano la creazione: «la formula di tale ricupero (del divenire) si concreta di volta in volta con la rinuncia in tutto o in parte dell'unità parmenidea, mediante una con¬taminazione di opposti che non si possono rapportare se non per non potersi toccare: nè il Bene o l'Idea platonica, nè l'Atto puro aristotelico si mescolano al 'divenire' e ai 'molti', coi quali invece si mescola, si fa presente essenzialmente, il Dio ch'è creatore e conservatore del mondo secondo il cristianesimo».
Fabro giunge in tal modo alla seguente, magistrale e rivoluzionaria conclusione: «sembra pertanto che se il pensiero formale puro deve respingere la causalità nella misura in cui afferma l'unità dell'essere e deve ignorare l'essere nella misura in cui afferma la causalità, ciò dipende dal carattere astrattivo formale che ha avuto il pensiero nella tradizione occidentale tanto nell'antichità come nell'epoca moderna, fino all'ultimo Heidegger compreso».
E' dunque necessario riconoscere, con Fabro, che «l'astrattezza e il formalismo, di cui si parla, consistono nel considerare il pensiero dell'essere mediante l'appartenenza necessaria ovvero analitica; mentre in realtà l'essere, la verità dell'essere che all'uomo è accessibile ... è e non può non essere originariamente che di natura sintetica, perché essa si dà e si manifesta nella ecstasi o libera uscita della creazione divina il cui segreto rimane nascosto in Dio stesso».

Ovviamente la sinteticità di cui parla Fabro non è il prodotto di un'operazione mentale.
Al contrario: «tale sinteticità intrinseca di essere che sta a fondamento del divenire e dei molti, ovvero della verità di essere espressa dalla causalità, non ha nulla a che vedere, è chiaro, con la forma estrinseca di sinteticità invalsa nei sistemi antichi e moderni del pensiero formale: si tratta di una sinteticità ch'è il fondamento della verità dell'essere stesso (del finito), prima che di struttura, la quale quindi precede e fonda qualsiasi altra considerazione analitica del reale. E' in virtù di tale intrinseca sinteticità dell'essere che si è profilata nello sviluppo del pensiero occidentale la dualità di essenza e di esistenza, come momento risolutivo nella tensione fra l'essere e l'apparire, fra l'Uno e i molti».
Proiettata una nuova luce sul tomismo si manifesta infine la causa dell'«oblio dell'essere», che ha dominato la scena della metafisica occidentale fino alla sfolgorante ma effimera rivoluzione compiuta da san Tommaso.

Gli studi di Fabro hanno chiarito il motivo dell'opposizione di san Tommaso al formalismo greco: «nella proporzione in cui il pensiero ha preteso di essere esso il tramite dell'essere e il portatore della sua intelligibilità, il pensiero si è sostituito all'essere stesso e così è andata perduta la verità dell'essere. Invece la risposta all'istanza di Parmenide va considerata unicamente all'interno dell'Essere, nella rilevanza ed emergenza che compete all'atto di essere sull'essenza: sia nel momento originario della creazione, come nel momento derivato dell'espansione causale dell'essere stesso verso il fastigio del suo compimento».
Ora la verità rivelata ha indicato il risultato della ricerca sull'essere ma non la via razionale, il procedimento, che il ricercatore deve percorrere per raggiungerlo.
Fabro dimostra, infatti, che il tomismo ha la dignità di una scienza: «tra i due poli, quello del problema (insoluto) della Unità dell'essere del vecchio Parmenide e quello del principio nuovo del pluralismo della creazione, s'inserisce la tensione della metafisica tomistica della partecipazione ch'è la contropartita, nell'àmbito dell'essere, della tensione della dialettica monistica di essere e non essere. Se la partecipazione esprime per san Tommaso il modo di essere, ovvero la verità di essere degli enti finiti, la medesima partecipazione deve esprimere la tensione discendente e ascendente della causalità che li tiene in essere e li sospinge al proprio fine».

La nozione di partecipazione ha dunque riferimento all'«Ipsum Esse» e non ad un mondo ideale separato dall'essere.
La giustificazione del parmenicidio d'ora in avanti risiede nella necessità di superare l'essenzialismo.
Per avviare il superamento dell'essenzialismo, Fabro aveva dimostrato che l'immediatezza, nell'ambito dell'intelligibile, è data dalla conoscenza delle essenze astratte: «dicendole astratte e mostrando che sono costituite dal limite specificante di una differenza, affermiamo per ciò stesso che l'essenza intelligibile è per se stessa un contenuto separato, isolato. Giustamente perciò la metafisica classica … affermava che l'essenza nel suo statuto formale puro è in sé e quindi immediatamente non è ancora un contenuto e neppure una realtà esistenziale». (19)
Di conseguenza Fabro può affermare che l'esperienza delle essenze non è l'autentica esperienza metafisica dell'essere: «perché l'essenza non è l'essere; l'essenza esprime la possibilità dell'essere e quindi può essere detta il soggetto dell'essere così che l'esperienza dell'essenza ci lascia, da sola, ancora al di qua di ciò che dobbiamo chiamare l'Essere stesso». (20)

Fabro dimostra che la metafisica razionalistica ha invece preteso di avanzare lungo la linea dell'astrazione e pertanto «ha concepito l'essere come il contenuto minimo ultimo, inteso cioè come il risultato dell'astrazione delle astrazioni e quindi come il genere dei generi». (21)
Se non che l'essere è il «prius» assoluto, che è al di là di ogni processo di analisi ed ogni umano pensiero: «l'essere non è una realtà definita, ma è l'attualità di ogni realtà. L'essere non è un contenuto, ma l'inesauribile contenente. L'essere non è un concetto, ma è l'atto di presenza dell'ente per cui s'illumina nella coscienza la verità dell'ente e dei suoi contenuti concreti». (22)

La magistrale conclusione proposta da Fabro stabilisce pertanto che «la esperienza metafisica dell'essere percorre tutti i gradi e stadi del conoscere:essa è presente fin da principio quando attesta l'atto dell'ente nella sua presenza e l'emergenza dell'essere sull'ente nell'inquietudine in cui ci pone la finitudine dell'ente». (23)
Non è dunque per un caso, che l'argomento più efficace scoperto da san Tomaso per affermare la necessità di andare oltre l'aporia dell'ontologia classica dimostra il primato dell'essere sulle idee.
Nella «Expositio libri Boetii De Ebdomadibus» san Tommaso afferma: «puta secundum opinionem Platonis, ponamus formam immaterialem subsistere quae sit idea et ratio hominum materialium et aliam formam quae sit idea et ratio equorum, manifestum erit quod ipsa forma immaterialis subsistens, cum sit quiddam deterinatum ad speciem, non est ipsum esse commune sed participat illud». (24)
Nessuna «idea» possiede la semplicità dell'«Ipsum Esse».
Anche se esistessero nella separatezza, le idee platoniche avrebbero un significato limitato rispetto all'essere: sarebbero «questo» mancando di quello».
All'essere invece non manca nulla, «cioè l'essere non può avere il nulla». A differenza di qualsiasi forma, quindi, l'essere non tollera «aggiunte» e non ne ha necessità.

Senza dubbio san Tommaso ha in mente l'impossibilità di aggiungere «qualcosa» all'essere, quando, nel prologo del «De ente et essentia», avverte che è indispensabile conoscere esattamente il significato dei termini ente ed essenza e in che modo lo scopriamo nelle cose diverse e quale sia il loro rapporto con le intenzioni logiche, cioè il genere, la specie e la differenza.
La comprensione della metafisica tomista, in ultima analisi, dipende dalla adeguata conoscenza della nuova (e non più formalistica) definizione di essere.
La terminologia tomistica è costruita mediante un'analisi originalissima del rapporto tra il pensiero e la realtà e tra il pensiero e il linguaggio.
Lo svolgimento della filosofia tomistica, infatti, incomincia dalla considerazione della realtà e procede attraverso l'applicazione ad essa delle leggi cui obbedisce il pensiero.
A cominciare dalla nozione di ente, di cui san Tommaso dice che «est proprium obiectum intellectus».
Pertanto, prima di avviare il discorso sulla bontà delle cose, san Tommaso avverte la necessità di dimostrare che l'ente è concettualmente anteriore ad ogni altro concetto: «ratio enim significata per nomen est id quod concipit intellectus de re et significat illud per vocem: illud est prius secundum rationem quod prius cadit in conceptione intellectus». (25)

Fabro ha dimostrato che la ragione dell'originalità di san Tommaso, caso unico nella storia della filosofia, dipende dal superamento dell'intellettualismo platonico e aristotelico e nella conseguente affermazione del primato dell'essere.
Nell'introduzione a Fabro, De Raeymaeker sottolinea il duplice risultato ottenuto da san Tommaso: superamento di Aristotele, in quanto la dottrina dell'atto e della potenza è estesa al di là delle categorie ed applicata all'essere; superamento di Platone, in quanto la partecipazione riguarda l'essere e non le essenze : «... dans la conception thomiste, le champ d'application de la théorie aristotélicienne de l'acte et de la puissance se prolonge bien au delà du domaine des catégories, puisqu'il englobe l'ordre de l'esse lui - même; pour autant, la position d'Aristotele se trouve largement dépassée. Mais, dès lors que l'esse apparaît comme un acte authen¬tique, il prend figure de perfection et c'est à bon droit que saint Thomas y applique la théorie platonicienne de la participation: pour ce faire, c'est Platon, cette fois, que le 'docteur angélique' a dû dépasser, car il lui a fallu considérer l'esse, source absolument universelle de participation, comme irréductible à n'importe quelle essence et le situer au delà de toute idée quidditative».

Si può dunque concludere senza tema di smentita che san Tommaso ha sciolto il nodo della metafisica classica, nodo che era costituito dalla considerazione della bontà quale perfezione «aggiunta» alla sostanza delle cose.
Di qui la soluzione del problema, soluzione che è esposta dopo la dimostrazione della contraddittorietà di tutte le altre teorie, nel capitolo conclusivo del commento al «De Ebdomadibus»: l'essere delle cose create non è buone in assoluto ma in quanto «ha di esserlo» da parte dell'«Ipsum Esse»: «ipsum esse rerum creaturarum non est bonum absolute quocumque modo se habeat, sed solum secundum habitudinem ad primum bonum».

Piero Vassallo




Note

1) «De veritate», q. 22, a. 6, ad 1.

2) Confronta Elémire Zolla, «La filosofia perenne», Mondadori, Milano, 1999, pagina 128.

3) Confronta Salvatore Natoli, «Dio e il divino», Morcelliana, Brescia, 1999, pagina 119.

4) Cornelio Fabro, «La svolta antropologica di Karl Rahner», Rusconi, Milano, 1974, pagina 5, afferma che Rahner «pensa di aver dimostrato la priorità del verum sull'ens, ossia la subordinazione del trascendente assoluto della metafisica dell'essere al trascendentale di relazione dell'apriori di conoscenza o Vorgriff».

5) In una delle sue omelie, lo scolarca dei progressisti, Eugenio Scalfari, ha dichiarato che i maestri del buon salotto sono tre decadenti: Leopardi, Schopenhauer e Nietzsche.

6) Confronta Francesco Zambon «La cena segreta», Adelphi, Milano, 1997, opera citata, pagina 60. Nel volume citato, insieme con alcuni trattati e rituali risalenti al XIII secolo, si trova il «Libro dei due princìpi», vera «summa» della teologia catara.

7) Simone Weil, «I Catari e la civiltà mediterranea», Marietti, Genova, 1996, pagina 43. Peraltro il rifiuto dell'identità ebraica da parte della Weil è categorico: «non mi considero ebrea, non sono mai entrata in una sinagoga, sono stata allevata senza alcuna pratica religiosa, non ho alcuna attrazione verso quella religione, sono stata nutrita fin dalla prima infanzia nella tradizione ellenica». Citato da Jean Marie Muller, «Simone Weil», Torino, 1994. Con ragione, Emanuel Levinas, nell'opera della Weil non vedeva altro che l'odio per il popolo d'Israele. Francesco Zambon, opera citata, pagina 21 sostiene peraltro che «questa critica al Vecchio Testamento è uno dei temi fondamentali della riflessione di Simone Weil sul cristianesimo: lo riprese anche in quella summa testamentaria delle sue idee religiose che è la Lettre à un religieux».

8) Confronta «La crociata contro il Graal», Edizioni Barbarossa, Carmagnola, 1991.

9) Cfr.: Jacob Taubes, «Messianismo e cultura», Garzanti, Milano, 2001.

10) Confronta Andrea Dalledonne, «Problematica metafisica del tomismo essenziale», Elia, Roma, 1980, pag. 10.

11) Opera citata, pagina 35.

12) Confronta «La prima riforma della dialettica hegeliana», Editrice del Verbo Incarnato, Segni, 2004, pagina 224.

13) Confronta «La prima riforma della dialettica hegeliana», opera citata, pagina 229

14) Confronta la prefazione a «Partecipazione e causalità secondo san Tommaso d'Aquino», SEI, Torino, 1960, pagina 2.

15) Citato da Rosa Goglia, «La novità metafisica in Cornelio Fabro», Marsilio, Venezia, 2004, pagina 16.

16) A dire il vero Kierkegaard ha in qualche modo preceduto Heidegger, indicando nella dottrina sull'essenza il punto debole della filosofia occidentale: «ciò che confonde tutta la dottrina sulla essenza nella logica, è il non badare che si opera sempre con il concetto di esistenza. Ma il concetto di esistenza è un'idealità, e la difficoltà sta appunto nel vedere se l'esistenza si risolva in concetti. Se fosse così, allora Spinosa potrebbe aver ragione nel suo essentia involvit existentiam cioè il concetto di esistenza, vale a dire l'esistenza ideale. … Soprattutto nell'ambito dell'ideale vale il principio che l'essenza è l'esistenza. … Ad un concetto non si aggiunge nulla in più, sia ch'esso abbia o non abbia l'esistenza: nulla importa al concetto di questo; perché esso ha ben l'esistenza, cioè esistenza di concetto, esistenza ideale. Ma l'esistenza corrisponde alla realtà singolare, al singolo (ciò che già insegnò Aristotele): essa resta fuori ed in ogni modo non coincide col concetto. Per un singolo animale, una singola pianta, un singolo uomo l'esistenza (essere - o non essere) è qualcosa di molto decisivo; un uomo singolo non ha certo un'esistenza concettuale. Il modo col quale la filosofia moderna parla dell'esistenza, mostra ch'essa non crede all'immortalità personale; la filosofia in generale non crede, essa comprende solo l'eternità dei concetti». Confronta «Diari», a cura di Cornelio Fabro, Molcelliana, Brescia, 1963, volume II, pagine 1008 - 1009.

17) «La novità metafisica in Cornelio Fabro», opera citata, pagina 17.

18) Traduzione italiana di Mario Untersteiner.

19) Confronta «Dall'essere all'esistente», Marietti, Genova - Milano, 2004, pagina 58

20) Ibidem.

21) Opera citata, pagina 59.

22) Opera citata, pagina 61.

23) Opera citata, pagina 63

24) Confronta «L'essere e la partecipazione Commento al libro di Boezio De Ebdomadibus», a cura di Carmelo Pandolfi, Edizioni Studio Domenicano, Bologna, 1995, pagina 110.

25) «Summa theologica», I, q. 5, a. 2.

Fonte: EFFEDIEFFE
 
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