Ecclesia Dei. Cattolici Apostolici Romani

Rapporti prima del matrimonio

« Older   Newer »
  Share  
TotusTuus
view post Posted on 26/9/2008, 11:53 by: TotusTuus     +1   -1




Qual'è la posizione della S. Chiesa riguardo ai rapporti prematrimoniali? Quali sono le motivazioni profonde? L'articolo dell'amico Daniele Di Sorco, pubblicato di seguito, ci accompagna alla riflessone sulla vita sessuale.

Rapporti prima del matrimonio



Diciamo subito che la questione può essere affrontata sotto due rispetti, uno più specificamente filosofico-teologico, l'altro di indole psicologica.

Dal punto di vista filosofico-teologico, bisogna osservare che la Chiesa cattolica ha sempre affermato che la proibizione dell'atto sessuale prima del matrimonio non deriva soltanto dal diritto divino (il che può essere facilmente dimostrato dalla Sacra Scrittura e dalla Tradizione), ma anche dal diritto naturale. Quindi mi pare per lo meno insufficiente motivare questo punto di dottrina con un ordine positivo di Dio, il quale vorrebbe sottoporre un atto importante come la procreazione al suo beneplacito. Se non altro, una spiegazione del genere non dà ragione del perché sia proibito il sesso non finalizzato alla procreazione, che è un problema di straordinaria attualita, né del perché sia necessaria un'istituzione contrattuale come il matrimonio per far sì che Dio approvi e benedica l'atto procreativo.

A ciò bisogna aggiungere che l'attività sessuale può tanto avvicinare quanto allontanare da Dio: avvicina se è svolta con la consapevolezza del suo fine e della sua valenza nell'economia della creazione, allontana se è svolta a prescindere da tutto questo. Nel secondo caso l'allontanamento può giungere fino al punto di far rinnegare Dio. A mio avviso, non è un caso che nella società moderna l'allontanamento dalla religione e la diffusione di costumi sessuali sempre più spregiudicati siano andati di pari passo. Il fatto è che il sesso fine a se stesso, come già insegnavano i santi Padri secoli or sono, finisce sempre per fomentare il tremendo vizio della superbia: l'uomo prova una tale soddisfazione animalesca del successo ottenuto con la compagna (e viceversa) che giunge a ritenersi autosufficiente. Il risultato finale di questo processo è l'allontanamento dalla fede, sia a livello teoretico che pratico. Ma qui ci stiamo addentrando in quelle questioni psicologiche che ho detto di voler trattare per seconde. Resta il fatto che con la motivazione della "riserva" o del "controllo" da parte di Dio è piuttosto difficile, a mio avviso, convincere qualcuno della bontà della dottrina cattolica.

Tornando agli argomenti filosofico-teologici con cui è possibile dimostrare che il sesso è lecito soltanto all'interno del matrimonio, dobbiamo innanzi tutto domandarci quale sia il fine (o i fini) dell'attività sessuale, ovvero rispondere alla domanda: perché esiste il sesso? La risposta ci viene direttamente dalla natura. I fini dell'atto sessuale sono due, uno primario, l'altro secondario. Il primo è la procreazione, la generazione di altri individui destinati a perpetrare la specie. Il secondo è il cosiddetto remedium concupiscentiae, cioè l'appagamento del desiderio sessuale insito nell'uomo. L'esistenza di questi due fini è talmente evidente a chi ha una sia pur minima conoscenza delle leggi che regolano gli organismi viventi, che non avrebbe neppure bisogno di essere dimostrata. Tuttavia ritengo opportuno dare uno sguardo più approfondito alla natura dei fini dell'atto sessuale, affinché non resti nessun dubbio.

Che il fine primario del sesso sia la procreazione, lo dimostra non solo l'economia della natura, che nelle specie viventi non razionali non permette alcun atto che non sia finalizzato - indirettamente o direttamente - alla conservazione dell'individuo o alla propagazione della specie; ma anche la dinamica stessa dell'atto, che, se viene svolto in maniera naturale, direi quasi istintiva, porta naturalmente alla generazione di una nuova vita. In natura gli animali fanno sesso solamente per questo espresso scopo: anzi, le femmine vanno in calore solo in determinati periodi dell'anno, in modo da non sprecare alcuna energia in attività sessuale non procreativa.

Il piacere sessuale o venereo (cioè carnale) non è altro che l'incentivo dato dalla natura affinché le specie viventi fossero invogliate a compiere l'atto sessuale. Ammetto che questa definizione sia piuttosto riduttiva: essa sarà considerata nella sua pienezza quando andremo a parlare della dimensione psicologica che nell'uomo, essere razionale, è sempre legata al sesso. Qui però c'interessa di vedere come stanno le cose da un punto di vista puramente filosofico. Alle due attività che riguardano più da vicino la conservazione dell'individuo e la propagazione della specie - vale a dire il cibo e il sesso - la natura ha connesso un particolare piacere dei sensi, che funge da stimolo per gli esseri viventi ad espletare tali attività (naturalmente ci riferiamo a forme di vita sensitive e sensitivo-razionali, cioè gli animali e l'uomo: le piante, essendo forme di vita puramente vegetativa, non possono provare alcuno stimolo dei sensi). Tuttavia, com'è evidente, tale piacere non è fine a se stesso, ma ordinato al conseguimento del fine primario, che è la nutrizione nel caso del cibo, la procreazione nel caso del sesso.

Da quanto abbiamo detto finora risulta che qualunque atto sessuale non finalizzato - direttamente o indirettamente - alla procreazione perverte l'ordine voluto dalla natura (e quindi da Dio creatore della natura), invertendo il fine primario col fine secondario o addirittura abolendo il fine primario. (Che l'atto sessuale debba essere finalizzato alla procreazione non significa che ciascun atto sessuale, per essere lecito, richieda di produrre una nuova creatura: su questo torneremo in seguito).

Ora, quando si infrange l'ordine di natura, ci si espone per ciò stesso a una serie di conseguenze negative e imprevedibili. Nel caso del sesso, esse sono piuttosto evidenti e portano a contraddizioni paradossali. A ben vedere, anche le persone che praticano il sesso prima del matrimonio sono ben lungi dal ritenere lodevole qualunque tipo di attività sessuale. Essi - a meno che non siano del tutto privi di buon senso - non risparmieranno critiche alla donna che si concede a troppi uomini, al don giovanni che seduce le ragazze con eccessiva facilità o a chi si abbassa ad attività sessuali "non convenzionali" (rapporti multipli, contro natura, ecc.). Il problema è che, quando si va a ricercare la causa di queste critiche, ci accorgiamo che esse non esistono.

In genere si dice che è riprovevole il sesso fatto "senza amore". Ma cosa si intende per amore? L'amore per come lo si intende comunemente oggi è il più delle volte una passione sensuale sublimata a livello di sentimento, nella quale poco o nulla entra la ragione. Jacques Maritain definisce questo stato d'animo come "amore romantico" e lo definisce come "amore sessuale, quando questo, superando il piano della semplice animalità (cui rimane pur sempre radicato), manifesta la sua piena fioritura su un piano più propriamente umano: sentimenti, pensiero, attività creativa, che vengono ad essere quind'innanzi ispirati e stimolati dalla passione del desiderio, elemento di fondo. [...] Questo amore romantico potrebbe essere definito un'intossicazione totale dell'essere umano ad opera di un desiderio sessuale che assume le più nobili forme, mascherandosi come puro e assolutamente disinteressato, come puro ed eterno amore per l'altro" (J. e R. Maritain, Matrimonio, amore e amicizia, a cura di G. Galeazzi, Milano, Ancora, 1989, p. 53).

Ora, questa sensazione o sentimento è, per sua stessa natura, individuale, non suscettibile di una interpretazione oggettiva o valida per tutti. Quindi, applicando spassionatamente la motivazione addotta oggi a giustificazione del sesso, cioè l'"amore", qualunque tipo di atto risulta potenzialmente lecito. Che cosa impedisce di pensare, infatti, che la ragazza che ogni mese cambia fidanzato non provi "amore" (nell'accezione ora accennata) per ciascuno di essi? Io ho sentito più di una persona affermarlo. In definitiva, questo contrasto tra senso comune - che si rifiuta, almeno generalmente, di giustificare l'atto sessuale fine a se stesso - e prassi, è la prova più evidente di come l'abbandono dell'ordine di natura abbia generato una serie di ambigue conseguenze, che hanno avuto terribili ripercussioni sulla psicologia individuale e sociale, come pure sulla struttura della famiglia. Se invece consideriamo la vera finalità del sesso, come facevano tutte le società primitive non corrotte dalla depravazione dei costumi, il confine tra atto sessuale lecito e illecito appare immediatamente evidente. E non credo che sia un caso che in tali società manie e frustrazioni sessuali avessero un peso neppure paragonabile a quello che schiaccia la società occidentale moderna.

Fin qui abbiamo dimostrato che il sesso è lecito - dal punto di vista del diritto naturale e quindi divino - solo nella prospettiva della procreazione. Da questa considerazione, che sta alla base di tutta la morale sessuale cattolica, si ricavano facilmente i principii che stanno alla base della proibizione del sesso al di fuori del matrimonio.

Per prima cosa, dobbiamo distinguere tra diritto naturale primario e secondario. Dal primo sappiamo, come si è visto, che qualunque attività sessuale (da soli o con altri) non ordinata alla procreazione è illecita e quindi, da un punto di vista teologico, peccaminosa. A questo punto, però, potrebbe sorgere un'obiezione: se il diritto naturale mi impone solo questo, perché mai sono illeciti anche quegli atti sessuali che, sebbene svolti al di fuori del matrimonio, sono finalizzati alla generazione di figli? In altre parole, perché è peccato un rapporto "aperto alla vita" al di fuori del vincolo coniugale?

Possiamo rispondere a queste domande solo prendendo in considerazione gli effetti del diritto naturale in materia sessuale sulla società umana. Passiamo così dall'astratto al concreto, restando sempre nel campo del diritto naturale, che ora però viene definito secondario, in quanto desume le sue conclusioni dai principii già noti del diritto naturale primario.

L'uomo ha il dovere di educare la prole da esso generata nel migliore dei modi possibile, non solo in quanto essere vivente (certi animali non educano forse i cuccioli alla sopravvivenza?), ma anche in quanto animale razionale. Questo obbligo deriva automaticamente dalla procreazione: chi genera figli, ha anche il dovere di educarli, a meno che cause gravissime non glielo impediscano. Ora, si può facilmente dimostrare, sia con argomenti storici che psicologici, che la migliore educazione possibile si può ottenere soltanto in una famiglia stabile, che abbia per base l'unione indissolubile dei due genitori, cioè degli esseri che hanno dato vita alla prole. Solo in una famiglia di questo tipo i figli hanno la possibilità di conseguire il necessario equilibrio intellettuale e morale, il cui presupposto è indiscutibilmente l'amore dei genitori e la continuità di questo amore.

Un simile tipo di famiglia presuppone che i futuri genitori si impegnino solennemente, davanti alla società umana, a mantenere quella stabilità che, come abbiamo visto, è necessaria alla corretta educazione dei figli e che è anche il presupposto del mutuo amore tra i coniugi. Adolphe Tanquerey nella sua opera De paenitentiae et matrimonio, pars dogmatica, (Parisiis-Tornaci-Romae, Desclée, 1952, n. 897) osserva acutamente che "Secundarius finis matrimonii est mutuum coniugum adiutorium et concupiscentiae remedium, ut supra ostendimus. Atqui hoc mutuum iuvamen sibi praebere non possunt nisi contractu ex se stabili familiam constituere valeant, familiaeque legitima gaudia percipere. Nam gaudia egoistica, quae extra legitimam familiam quaeruntur, brevia sunt, multis anxietatibus obnoxia, nec veram felicitatem praebent, cum semper timeatur liberae unionis abruptio. Alius secundarius matrimonii finis est concupiscentiam sedare et refraenare. Atqui, si admittatur unio libera ad nutum revocabilis, concupiscentia, nedum temperetur, haud parum augetur spe novae uniones ineundi novasque voluptates experiendi, cum maximo corporis animaeque detrimento". In altre parole, il celebre teologo mette bene in luce come l'assenza di un'unione stabile renda impossibile non solo la corretta educazione dei figli, ma anche la felicità stessa dei coniugi, resa insicura dalla facoltà di sciogliere in qualunque momento il loro legame. Ricerche statistiche di oggi dimostrano che, a parità di condizioni, sono assai più frequenti le separazioni nelle coppie "libere" o legate da contratti di "unione civile", revocabili con una lettera, piuttosto che nelle coppie unite in matrimonio. Sugli effetti dell'unione libera (e del divorzio, che ha conseguenze simili) sull'educazione e sulla psicologia dei figli, non c'è bisogno di dire nulla, tanto sono evidenti agli occhi di chiunque.

Siamo così giunti al termine della nostra dimostrazione filosofico-teologica, dalla quale risulta evidente che l'atto sessuale è lecito solo all'interno del vincolo coniugale, unica condizone in grado di assicurare nel modo migliore il fine primario di tale atto, vale a dire la generazione e l'educazione della prole.

Resta ora da dare un rapido sguardo alle ragioni di tipo psicologico che confermano la dottrina naturale e cristiana sui rapporti sessuale prematrimoniali. Occorre, però, soffermarsi un istante sulla natura di tali ragioni. È indubbio che le osservazioni di natura psicologico-affettiva che allegheremo a sostegno della nostra tesi non hanno la forza probativa degli argomenti filosofici che abbiamo esposto sopra. In altre parole, con soli argomenti psicologici non si riesce a dimostrare apoditticamente che il sesso fuori dal matrimonio è illecito. Questa verità sfugge troppo spesso a molti teologi e apologisti moderni, che, appiattendosi sui metodi espositivi dei protestanti conservatori (uniti con i cattolici nella condanna dell'attività sessuale extramatrimoniale), credono di poter dimostrare questo punto di dottrina unicamente appellandosi alla psicologia e lasciandone fuori la filosofia e la teologia. In questo modo ci si espone con molta facilità alle critiche degli avversari: gli argomenti razionali saranno forse aridi, certamente non esauriscono la dimensione umana della relazione sessuale, ma sono gli unici in grado di dimostrare in modo inequivocabile la bontà della dottrina che noi professiamo. Detto questo, dobbiamo anche evitare l'errore opposto, quello cioè di limitarci all'aspetto filosofico-teologico della questione escludendone i risvolti affettivi. Dirò di più. Da un punto di vista pratico, per la persona lontana dalla Chiesa risultano spesso più convincenti gli argomenti dedotti dalla psicologica che non quelli desunti dalla filosofia. Questo avviene perché le persone sono naturalmente portate a considerare una questione del genere da un punto di vista essenzialmente pratico, mentre non sono capaci di astrarla nei termini rigorosi, ma aridi, del diritto naturale.

Spesso si legge sulle riviste cristiane che il sesso prematrimoniale avrebbe l'effetto di impedire quel "dono di sé", cioè quella concessione all'altro dei diritti sul proprio corpo, che è legittimo soltanto nella prospettiva di un'unione stabile. A me pare che questo argomento, così formulato, abbia scarsissima forza dimostrativa. Sorge spontanea la domanda: perché ho bisogno di un'unione stabile per donarmi? Non basta che sia convinto dell'opportunità di donarmi hic et nunc, qui ed ora? In altre parole, per usare il linguaggio delle riviste giovanili, perché non dovrei concedermi quando mi "sento" pronto?

Più persuasiva mi pare una motivazione di ordine psicologico che ho recentemente avuto modo di approfondire grazie ad un articolo di Francesco Agnoli. La sostanza dell'argomento è questa: il sesso precoce e libero impedisce ai membri della coppia di conoscersi prima come persone che come amanti. Per capire questo concetto, immaginiamo una situazione ordinaria. Un ragazzo e una ragazza si conoscono, si piacciono (di quel piacere sessuale-sentimentale di cui parlava Maritain, che caratterizza tutti i rapporti nella fase iniziale) e dopo poco tempo cominciano ad avere rapporti sessuali. L'uno e l'altra sono totalmente appagati dal modo di fare sesso dell'altro e l'essenza del loro rapporto sta principalmente in questo, anche se cercano di sublimarla con l'aspetto sentimentale. Alla prima difficoltà la magia dell'incanto sessuale si rompe e i due si riconoscono come estranei, addirittura hanno ribrezzo l'uno dell'altro, non si spiegano come sia stato possibile stare insieme per tanto tempo. Ho descritto, senza riferimenti espliciti, un fatto realmente accaduto, ma credo che ciascuno di voi abbia sentito parlare di casi del genere. Com'è possibile che una coppia con alle spalle dieci anni di fidanzamento si separi dopo un mese di matrimonio? La risposta, a mio avviso, è che i due si conoscevano e si apprezzavano in quanto amanti ("amore romantico" di cui parlava Maritain nel passo sopra citato), ma non in quanto persone, in quanto esseri razionali; o almeno non fino in fondo.

L'astinenza sessuale prima dell'impegno matrimoniale consente, a mio avviso, di conoscere l'altro senza la "distrazione" del sesso e di apprezzarlo prima di tutto in quanto persona, in quanto compagno, in quanto elemento di una futura società domestica. Solo quando questa conoscenza si traduce in vero amore (che deve necessariamente unire alla componente sensibile - che non viene soppressa - una componente razionale), allora la coppia ha la possibilità di indirizzarsi verso quel patto - il matrimonio - che consente ai coniugi il pieno diritto sul corpo dell'altro. Questo ovviamente non esclude che ci siano unioni che funzionano fin da subito sia da un punto di vista sessuale che personale. Ma perché privarsi di questa conoscenza graduale dell'altro a vantaggio di una soddisfazione fisica che spesso risulta ingannevole e caduca?

In altri termini, ritengo che l'astinenza dal sesso prima del matrimonio sia, da un punto di vista psicologico, prima di tutto un atto di rispetto nei confronti di se stessi, dell'altro elemento della coppia e dell'eventuale prole che ne dovesse nascere. È deplorevole che, nel mondo di oggi, un argomento così delicato non venga affrontato e sviscerato in ogni suo aspetto nei luoghi di formazione cristiana e che gli stessi cattolici osservanti ne sappiano così poco da non essere in grado di rispondere agli avversari nulla che non sia la frase: "La Chiesa lo proibisce".

Daniele Di Sorco

 
Top
1 replies since 26/9/2008, 11:53   199 views
  Share