Ecclesia Dei. Cattolici Apostolici Romani

La storicità dei Vangeli

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TotusTuus
view post Posted on 18/12/2006, 22:50     +1   -1




«I Vangeli, Testimonianze dirette o scritti tardivi?»



Meglio dirlo subito: i Vangeli sono testimonianze dirette e raccontano fatti reali e non mitici o simbolici. Lo credo non per fideismo - perché ho la fede - ma perché ho delle ragioni razionali, delle ragioni scientifiche, delle ragioni intelligenti per farlo. A dire il vero, siamo diventati una piccola minoranza a professare la storicità assoluta dei Vangeli. Questa verità di fede è stata riaffermata con forza in occasione dell'ultimo Concilio e creduta da milioni di cattolici durante tutti i secoli del Cristianesimo; eppure, oggi, noi facciamo la figura degli outsider, degli emarginati. Cercheremo di esaminare insieme i dati di questa situazione.

L'intera questione dell'epoca, delle origini, degli autori, della natura stessa dei Vangeli poggia su questa domanda: È possibile analizzarli accettando di prendere in considerazione tutte le ipotesi tranne una? Bisogna trattarli come qualsiasi testo profano verso cui è usanza ammettere, tra le altre, l'ipotesi dell'autenticità dei racconti che narrano o bisogna adottare per essi una politica di eccezione che consista nel rifiutare sistematicamente (ed anche in ultima istanza quando ogni altra ipotesi di spiegazione è fallita) la presenza di ciò che vi si trova: il soprannaturale?

Generalmente quando gli scienziati si trovano davanti un documento scritto che desiderano datare, hanno tre modi di agire. Anzitutto cercare quale sia l'epoca della carta, della pergamena, dell'inchiostro, della forma di scrittura: è quello che chiamo il supporto del testo del quale s'interessano la chimica, la paleografia, la papirologia, ecc. Poi spostare l'indagine sulla lingua, il dialetto, lo stile, l'espressione di cui s'interessano la filologia, la linguistica… Per finire, terzo metodo che non esclude nessuno degli altri due, poggiare sugli indizi per determinare l'epoca in cui l’opera è stata scritta. Parlare di macchine a vapore, fornire dettagli sul modo di sellare un cavallo, far riferimento a un evento storico conosciuto: tutte queste cose aiutano la ricerca.

Su queste tre direzioni molti esperti si sono lanciati sulle tracce della storia dei Vangeli ricavandone una ricca mietitura di fatti che ne confermavano la storicità. Tuttavia, la maggior parte degli esegeti ha preferito una quarta via che non viene mai usata per i testi non biblici: quella che consiste nel datare un'opera partendo dal suo contenuto letterario, cioè, in termini più semplici, dal suo soggetto storico. Attenzione! Non si tratta dello stile, del vocabolario o dell'espressione, ma piuttosto si vuole affermare che più il testo contiene elementi fantastici più è antico, e che più è filosofico o pieno di implicazioni intellettuali più è recente. Bisognerebbe aggiungere: più è corto e secco più è arcaico, in quanto il susseguirsi delle epoche ha probabilmente contribuito ad aggiungere stratificazioni tali da rivestire la storia.

Conviene ora dare alcune precisazioni importanti. I Vangeli più antichi che ci siano pervenuti sono scritti in greco, la lingua internazionale all'epoca di Cristo. In Terra Santa si parlava la lingua aramaica, mentre l'ebraico era la lingua sacra: alcuni sono persuasi che anche quest'ultima fosse parlata, altri che fosse solo scritta, poco importa. Le due lingue sono comunque molto vicine. Nel 70 accadde quello che gli Ebrei di tutte le epoche hanno considerato come l'evento più abominevole tanto sul piano umano quanto su quello religioso: la presa e la distruzione del Tempio e della città di Gerusalemme da parte dei Romani. Tutti i suoi abitanti furono uccisi, deportati e dispersi. Se i Vangeli furono scritti in greco, ciò può essere accaduto in qualsiasi epoca. Se la loro prima redazione (prima della loro traduzione in greco) fu fatta in lingua semitica (ebraico o aramaico), essa risale necessariamente – ed è molto importante – a prima del 70, data a partire dalla quale diventava inutile, per non dire pericoloso, esprimersi in tal modo. Ma in quest'ultimo caso – e anche se si tratta di un solo Vangelo – essendo i testimoni della vita di Cristo, dei suoi miracoli, della sua morte e anche della sua Resurrezione ancora vivi, sono loro a garantire l'autenticità di questi racconti. Non avrebbero infatti esitato a gridare all'impostura qualora questi fatti che si consideravano essere accaduti tra loro (Lc 1, 1) non fossero mai accaduti. Se invece questi quattro libretti datano dopo il 70, tutte le possibilità di oblio, di errore, di falsificazione (anche con le migliori intenzioni), di aggiunte o di omissioni volontarie sono aperte. Per questo motivo, tutti gli esegeti discutono aspramente su questi due punti: la data e la lingua originaria dei Vangeli. Da esse dipendono indirettamente ma certamente il grado di fiducia che si può loro accordare.

Ma torniamo sui risultati degli "scavi" archeologici o filologici e sulla caccia agli indizi, così fruttuosi per i fautori della storicità e della datazione alta (prima del 70 e anche per certuni molto prima del 70).

Osserviamo anzitutto i "supporti". Padre O'Callaghan, più di venticinque anni fa, identificò un papiro scritto in greco ritrovato nella grotta 7 di Qumran, il 7Q5, come un brano del Vangelo di San Marco (6, 52-53) e un altro papiro proveniente dalla stessa grotta, sempre secondo questo studioso, porta 1 Tm 4, 1b. Ebbene, nessuno dei fautori della datazione bassa ha mai messo in dubbio che le grotte in questione siano state chiuse nel 68 dopo Cristo e che tutto quello che esse racchiudono sia anteriore a questa data. Accanto a questi manoscritti si trovava il recipiente che sicuramente li aveva contenuti: un'anfora spezzata con sopra incise le tre lettere RWM che, secondo J.A. Fittzmyer, noto ebraista, rappresenta il nome della città di Roma, scritto come ha potuto, da un ebreo dell'epoca. Ebbene, coerentemente con quanto già constatato nelle altre grotte di Qumran, un nome su un'anfora ne indicava la provenienza e la proprietà. Sant'Ireneo, discepolo di San Policarpo, a sua volta discepolo degli Apostoli di Cristo, ha affermato nel suo Contro le Eresie (III, 1, 1) che San Marco scrisse il suo Vangelo a Roma. In tal modo i manoscritti del mar morto davano ragione alla tradizione e a una datazione alta.

Il primo movimento è consistito nell'occultare questa scoperta, nel non farne parola; ma quando un papirologo tedesco e protestante, C.P. Thiede, l'ha tratta dal dimenticatoio ed ha gridato sopra i tetti (Qumran e i Vangeli) che la cosa era autentica, il fragore è stato immenso.

Nel frattempo un simposio scientifico tenutosi a Eichstätt in Baviera nel 1991 sul 7Q5 confermava la coincidenza del suo testo con Marco 6, 52-53. Diversi papirologi di fama come H. Hunger, S. Daris e soprattutto Orsolina Montevecchi (presidente onorario dell'Associazione Internazionale dei Papirologi) sono unanimi nel proporre la data del 50 per questo papiro: vent'anni al massimo dopo la Resurrezione. Ciò nonostante la stragrande maggioranza degli esegeti non è di quest'avviso.

Bisognerebbe aggiungere che il professor Thiede (Gesù secondo Matteo) esaminò successivamente anche tre piccoli frammenti provenienti da uno stesso codice che si trova ad Oxford, al Magdalen College, recanti diversi brani del Vangelo di San Matteo. Ebbene, dopo averli analizzati, egli dichiarò di essere certo che quel papiro non era posteriore al 70 e che datava verosimilmente al 50 circa.

Per le ricerche filologiche, due studiosi oggi scomparsi studiarono a fondo la lingua dei Vangeli: l'abate Jean Carmignac, uno dei più grandi esperti mondiali di studi biblici e probabilmente il più grande per la conoscenza dell'ebraico di Qumran (quello dell'epoca di Gesù) e Claude Tresmontant, che insegnò a lungo alla Sorbona, era corrispondente dell'Institute Catholique e costituì un dizionario ebraico-greco. Ognuno per proprio conto ha dimostrato che il greco del Vangelo (i quattro per Tresmontant, i tre Sinottici per Carmignac, che non ha esaminato quello di San Giovanni) era una traduzione dall'ebraico o dall'aramaico. Per loro si tratta dei Vangeli a tutti gli effetti (tranne la prefazione di quello di San Luca) e non di inserzioni estranee al testo greco. L'uno e l'altro forniscono decine (centinaia forse) di prove. L'abate Carmignac ne La Nascita dei Vangeli Sinottici rileva semitismi di pensiero, di lessico, di sintassi, di stile, di composizione, di trasmissione, di traduzione e perfino semitismi multipli. Fornisce numerosi esempi di ogni caso. Per quanto concerne Tresmontant citiamo due o tre sue argomentazioni. In Luca 9, 51 troviamo scritto parola per parola in greco "fissò il suo volto nell'andare a Gerusalemme", che sia in italiano che in greco significa la stessa cosa: niente; ma si tratta di un'espressione frequentemente usata in ebraico nell'Antico Testamento che significa: "decise fermamente". Tresmontant ne fornisce numerosi esempi citando anche numerose altre espressioni simili.

Egli sottolinea anche questo passaggio di San Giovanni (5, 2) – che, tra gli Evangelisti, è considerato il più tardivo, della fine del primo secolo – "vi è a Gerusalemme, presso la porta delle pecore, una piscina chiamata Bezatha". Com'è possibile che venga qui usato questo tempo presente se la città era stata rasa al suolo da molto tempo? E riguardo alle predizioni relative alla sua fine, oggi considerate come messe sulle labbra di Gesù dopo l'evento – come mai l'Evangelista, o almeno uno degli Evangelisti, non ha precisato, se essa era già stata distrutta, che la pseudo-profezia si era in effetti già realizzata? "Che falsario discreto e timido!" ironizza Tresmontant. Per inciso precisiamo che J.A.T. Robinson, esegeta anglicano perfettamente convinto della non storicità dei Vangeli, avendovi notato questa totale assenza di riferimenti alla fine di Gerusalemme come fatto storico già compiuto, ha affermato per questo motivo l'impossibilità assoluta di una data posteriore al 70 per ognuno di essi.

Anche Carmignac spiega le "assurdità" dei nostri libri sacri. In Marco 5,13 si cita una mandria di circa duemila porci, per cui non si è esitato a proclamare a tal proposito che anche in questo caso si trattava, come d'abitudine, di una costruzione mitica (duemila porci è impossibile). Ebbene, l'abate Carmignac ci dice che l'ebraico scrive solo le consonanti, cosicché una stessa parola può essere vocalizzata in modo diverso e cambiare di significato. Quello che in ebraico scritto significa "circa duemila", letto con altre vocali prende il significato di "a gruppi", "a frotte". Così non abbiamo più: "la mandria si gettò dall'alto dello strapiombo nel mare, circa duemila", ma: "la mandria si gettò dall'alto dello strapiombo nel mare a frotte". L'ebraico soggiacente al testo lo rende chiaro e plausibile e la sua presenza è così dimostrata. A tal proposito l'abate Carmignac fornisce innumerevoli esempi dello stesso tipo e spiega anche delle discordanze tra un Vangelo e l'altro. E dopo aver tradotto tutti i Vangeli Sinottici dal greco all'ebraico di Qumran, si è dichiarato assolutamente certo che essi erano stati scritti prima in ebraico o in aramaico, per la facilità con cui aveva ottemperato a quel compito.

Esistono molti altri filologi che hanno fatto la stessa scoperta della lingua semitica presente sotto il testo greco. L'abate Carmignac enumera quelli del passato e sono molto numerosi. Da quando ho pubblicato il mio libro molti mi hanno scritto per segnalarmene altri, nostri contemporanei, che non ho potuto ancor leggere: i loro scritti sono introvabili e una cappa di silenzio si è abbattuta su di loro.

Per quanto attiene agli indizi che permettono di collocare i Vangeli in epoca vicinissima a quella di Gesù, quasi ogni giorno che passa ne aggiunge di nuovi. Non è possibile essere nato dopo gli eventi, non essere mai vissuto in quei luoghi, scrivere sulla scorta di una lunga tradizione – come pretende l'esegesi odierna – e non sbagliarsi sulla configurazione dei luoghi, la fauna e la flora, il gioco di competenze tra i diversi poteri, le differenti sette, e sugli infimi dettagli che l'archeologia odierna porta alla luce per confermare che gli Evangelisti avevano detto il vero.

Vittorio Messori in Ipotesi su Gesù e Patì sotto Ponzio Pilato, fornisce una valanga di esempi. Eccone in sintesi alcuni: Nel 1968 degli archeologi del governo israeliano ritrovarono a Giv'at ha Mitvar, a nord di Gerusalemme, i resti, datati I secolo, di un giovane ebreo, alto 1 metro e 67. Era stato crocefisso e "appunto" le sue due tibie erano state spezzate. Allo stesso modo la pietra, ritrovata qualche anno fa, che avvertiva i non ebrei di non entrare nella cinta del tempio riservata agli ebrei, è redatta nelle tre stesse lingue dell'iscrizione della croce: l'ebraico, il latino, il greco. E poi quella tomba di famiglia risalente al tempo di Gesù scoperta in un cimitero di notabili presso Gerusalemme e in cui erano stati sepolti i genitori di un certo Simone di Cirene, è semplice coincidenza?

La signora Genot-Bismuth (Un Uomo chiamato Salvezza), che non è cristiana ed occupa alla Sorbona nuova la cattedra di Giudaismo antico e medievale, afferma formalmente: chi ha scritto il Vangelo di San Giovanni è un testimone oculare, poiché i dettagli che fornisce sono talmente precisi da coincidere con i ritrovamenti avvenuti in occasione degli scavi archeologici da lei effettuati a Gerusalemme.

Ci sono ancora tanti altri piccoli ammiccamenti confortanti… L'abate Pierre Courouble ha scoperto che il greco di Pilato nel Vangelo di San Giovanni è il greco di uno straniero, con errori e latinismi, mentre in tutto il resto del Vangelo esso è grammaticalmente perfetto. Molto tempo dopo l'evento chi se ne sarebbe ricordato? (Aggiungo, d'altronde, che non è impossibile che le frasi originali di Pilato in cattivo greco siano state conservate tali e quali anche in un testo originale semitico).

Altro esempio: Perché San Marco racconta che Gesù nella tempesta che placherà era "nella poppa, addormentato sul giaciglio" e non "a poppa" (dove tra l'altro avrebbe disturbato la manovra)? La risposta si trova nel relitto di una nave, che per la sua età potrebbe essere dell’epoca di Gesù, ritrovato nel lago di Genezareth nel 1986. Sul ponte di poppa si trovava uno spazio coperto in cui un uomo poteva tenersi al riparo (Bonnet-Eymard).

Il professor Zaninotto ha elencato i codici nei quali si riporta che il Vangelo di San Matteo è stato scritto otto anni dopo l'Ascensione di Nostro Signore, quello di San Marco undici anni dopo quest'evento, quello di San Luca quindici e quello di San Giovanni trentadue. I più antichi datano del IX secolo ed è possibile, mi ha riferito il professor van Esbroeck dell'Università di Monaco di Baviera, che la fonte di quest'informazione risalga ad ancor prima. Da dove vengono queste date così precise? Perché sono state fornite al Sinodo di Gerusalemme dell'836, alla presenza dei tre patriarchi melchiti di Antiochia, di Alessandria e di Gerusalemme? Perché questo campo di ricerca è stato trascurato?

Tocchiamo con mano qui il più grande mistero dell'esegesi cristiana di oggi – con un'eccezione per l'ortodossia. Invece di accogliere tutte queste scoperte che confermano che la nostra fede non è vana, che poggia su fatti storici reali, vissuti, con l'entusiasmo che meriterebbero, troviamo il silenzio per non dire peggio.

Giulio Firpo, professore all'Università di Chieti, ha fatto una ricerca straordinaria sui Vangeli dell'infanzia, utilizzando centinaia di documenti, scritti dell'antichità o dell'epoca moderna, iscrizioni, monete e papiri vari da cui si ricava che questi brani del Vangelo hanno un'altissima probabilità di essere autentici. Sapevate ad esempio che ci furono moltissimi censimenti alla fine del I secolo a.C.? Ma chi ha sentito parlare del libro di questo straordinario erudito: Il problema cronologico della nascita di Gesù?

L'abate Carmignac lasciò in testamento all'Institute Catholique di Parigi tutti i suoi scritti. Trentadue casse di manoscritti e documenti classificati con inventario furono portati dopo la sua morte dalla signorina Demanche, sua segretaria, a quella facoltà. Chi chiede di andare a consultare questi archivi non ha il diritto di accedervi ed il signor de Guibert, editore dell'abate Carmignac, non è autorizzato a pubblicare queste opere postume.

Il settimanale Il Sabato, pubblicato con successo in Italia, ebbe l'audacia di rendere pubblica questa faccenda, così come le scoperte di Thiede e le controversie che ne seguirono. Dovette chiudere stranamente all'improvviso poco tempo dopo ed il mensile internazionale Trenta Giorni, che ne riproponeva gli articoli, cambiò allo stesso tempo direzione e filosofia.

La mostra "Dalla Terra alle Genti" presentata a Rimini nel 1996 con enorme successo, faceva conoscere al grande pubblico gli oggetti illustranti tra le altre queste pagine. Forti resistenze si oppongono alla sua venuta in Francia anche sotto forma di fotografie commentate (mentre questa formula le permette di "girare" oggi in diverse parti del mondo con altrettanto successo).

Non ci resta che evocare i metodi e le convinzioni di quella maggioranza di esegeti e di teologi che purtroppo non accettano la coincidenza del Gesù della storia con il Gesù della fede. Per loro si tratta, dal momento che la storia non può contenere il soprannaturale, di spiegare diversamente la sua presenza nei nostri libri sacri. Ma lo fanno in modo tale da erigere a dogma l'esistenza di fonti diverse dai fatti reali alle quali gli Evangelisti avrebbero attinto. Deve essere esistita una fonte Q. I Vangeli devono essere stati composti da comunità (immaginarie o quanto meno esaltate) della fine del primo secolo. I fatti e gli atti di Gesù devono essere stati presi nell'Antico Testamento in modo da renderlo profetico. Le "comunità" devono essersi ispirate agli scritti dei rabbini – anche se questi ultimi risultano, ad un attento esame, essere stati redatti alcuni secoli dopo – o apertamente ai racconti pagani – anche se questa "fonte" è stata dimostrata falsa da molto tempo da studiosi del calibro d'un Festugière. Allo stesso modo bisogna distinguere nella Resurrezione il sepolcro trovato vuoto, dalle apparizioni. È certo che l'uno senza l'altro non prova più niente. Altri metodi: sostenere che la parola "storico" può avere numerosi significati, al punto che i nostri racconti possono essere perfettamente storici pur non essendolo – oppure affermare che i brani fastidiosi sono stati aggiunti in seguito. Riguardo alla "Formgeschichte" e ai "generi letterari" che spiegherebbero tutto, essi non appaiono, sottoposti ad analisi, per nulla più convincenti. Su tutti questi punti – e su qualcun altro – rimando al mio libro I Vangeli sono dei reportage in cui, avendo più spazio, esamino e dimostro quello che qui posso solo affermare.

Concludo ringraziando Les Dossiers d'Archéologie per aver avuto il coraggio di consentire ad un membro dell'esegesi minoritaria di esporre i fondamenti razionali e scientifici sui quali poggiano la sua fede e tutta la sua ragione di vivere.

Marie-Christine Cendrier Ceruti



Tratto da: Les Dossiers d'Archéologie. Traduzione di Francesco Morabito.
 
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