Ecclesia Dei. Cattolici Apostolici Romani

La verità su Giordano Bruno

« Older   Newer »
  Share  
TotusTuus
view post Posted on 16/12/2006, 20:11     +1   -1




Giordano Bruno. Chi era veramente? 1



Chi era veramente Giordano Bruno? Un campione del libero pensiero o un mago bestemmiatore? Facciamo chiarezza su una delle vicende più strumentalizzate dalla propaganda anticristiana

Come è noto, a partire dalla "guerra civile ideologica" che si apre nel corso dell'Ottocento fra élites massoniche e liberali e Chiesa Cattolica, la figura di Giordano Bruno svolge un ruolo tutt'altro che secondario, e questo difficile e oscuro pensatore viene trasformato nel simbolo del "libero pensiero", di una modernità "illuministica" ingiustamente ostacolata dalla Chiesa stessa.

Ma chi è veramente Giordano Bruno? Per capirlo occorre più che mai ricominciare da capo e considerare aspetti biografici normalmente poco conosciuti o abilmente celati.

Bruno nasce a Nola nel 1548 e, ancora molto giovane, a Napoli, per continuare gli studi, veste l'abito dei domenicani. Rimane per dieci anni in convento, laureandosi in teologia e ricevendo gli ordini sacri, ma ben presto si scontra con i superiori come sospetto di eresia, in quanto da tempo si è dedicato a pratiche e a letture proibite. Il giovane filosofo nel 1576 lascia il convento e fugge. Bruno, sulla base della lettura di testi ermetici e magici, sviluppa una sofisticata ars memoriae, una memoria artificiale cioè, che fa da fondamento a tutte le sue successive concezioni.

Elabora intanto una metafisica che concepisce l'universo come infinito e privo di centro, increato, dove Dio è pensato panteisticamente come coincidente con il mondo e con la natura; il cosmo è pertanto infinito e in esso tutto viene divinizzato.

Questa filosofia porta con sé la necessità di distruggere il cristianesimo, la sua morale, la sua concezione dell'uomo, segni per il filosofo di un'estrema decadenza e povertà del mondo.

Giordano Bruno inizia quindi una serie di drammatiche peregrinazioni attraverso l'Europa. La sua prima tappa importante è a Ginevra, dove aderisce alla confessione calvinista dominante per venire ben presto processato, scomunicato e costretto a fuggire in Francia. Qui entra in contatto con Enrico III di Valois che forse, secondo la Yates, lo invia in Inghilterra con una precisa missione politico-culturale: cercare di convincere la regina Elisabetta e i circoli colti della corte inglese ad aderire alla nuova religiosità magica ed "egiziana" di cui Bruno si fa banditore e sacerdote. Lo scopo è smorzare la contrapposizione fra cattolici e protestanti trovando un comune terreno "ermetico" di intesa in funzione antispagnola. Un altro storico inglese, John Bossy, nel 1991 pubblica un testo fondamentale, "Giordano Bruno e il mistero dell'ambasciata", in cui avanza la tesi che Bruno a Londra si sia posto al servizio dei servizi segreti di Sir Walsingham, aiutandoli a sventare i complotti dei cattolici inglesi, giovandosi a questo scopo anche delle confessioni che carpisce in qualità di sacerdote all'ambasciata francese di cui è ospite.

Dopo l'esperienza inglese, e un breve e sfortunato ritorno in Francia, Bruno passa un lungo periodo in diversi stati tedeschi e a Wittenberg tesse uno strabiliante (e strumentale) elogio di Lutero, infarcito di accuse durissime contro il Papa. La sua adesione opportunistica al luteranesimo non gli impedisce però di essere scomunicato ancora una volta ad Helmstadt proprio dai protestanti locali. Bruno è infatti tradito dal suo carattere focoso e irascibile, dal suo senso smisurato del proprio valore. Nel 1591 è raggiunto da un invito di un nobile veneziano, il Mocenigo, che vorrebbe imparare da lui la mnemotecnica.

Perché il filosofo accetta il rischio di rientrare in Italia?
Secondo il Corsano lo si comprende se si considerano i testi di magia nera che Bruno ha scritto in Germania prima del rientro a Venezia: sono scritti terribili in cui il mago italiano sviluppa tecniche per realizzare "legamenti" magici e soggiogare così le persone che si intendono asservire ai propri scopi. Forte di queste tecniche Bruno intenderebbe nientemeno che recarsi a Roma e conquistare il Papa, spingendolo a riformare il cattolicesimo in senso magico-egiziano: un progetto incredibile che fa dire alla Yates, una studiosa solitamente molto prudente, che il filosofo è ormai ai confini della follia, del delirio conclamato.

Il Mocenigo però rimane sconvolto da quanto vede e sente fare dal suo ospite - in particolare dalle sue bestemmie - e lo denuncia all'Inquisizione con accuse molto precise; il tribunale veneziano lo arresta senza esitazioni.

Inizia in tal modo la fase veneziana del processo di Giordano Bruno che si conclude con una spettacolare e spontanea abiura da parte del filosofo di Nola, che ritratta le sue convinzioni - non si sa quanto sinceramente - e invoca il perdono dei giudici promettendo di ravvedersi. Il Sant'Uffizio romano ha però deciso di avocare a sé la causa e ottiene dalla Repubblica di Venezia il trasferimento dell'imputato: inizia così la seconda parte del processo, che si svolge a Roma a partire dal febbraio del 1593 per ben sette anni. L'Inquisizione romana si muove con una scrupolosità straordinaria: verbalizza minutamente numerosissimi interrogatori, fa analizzare da teologi esperti tutte le opere di Bruno, sottopone ripetutamente al filosofo elenchi di errori filosofici e teologici che gli chiede di abiurare, fornendo all'inquisito ampi mezzi di difesa.

Contrariamente a quanto si è abituati a pensare, la cella in cui Bruno viene rinchiuso e dove rimarrà per sette anni è - a detta del grande storico Luigi Firpo - un luogo abbastanza vivibile, ampio e luminoso, dove la biancheria viene cambiata due volte alla settimana e dove l'imputato può usufruire di vari servizi come il barbiere, i bagni, la lavanderia. Nei verbali rimane traccia, ad esempio, della richiesta avanzata da Bruno di avere un cappello di lana per l'inverno e una copia della Summa di Tommaso, richieste prontamente soddisfatte.

A Roma, nel corso del 1597, forse subisce una seduta di tortura; "forse" perché non va dimenticato che per l'Inquisizione la semplice minaccia di ricorrere alla tortura viene registrata nei verbali come tortura effettivamente somministrata.

All'inizio del 1600 il Tribunale presieduto dal cardinale Bellarmino, che ha tentato in tutti i modi di convincere il filosofo dei suoi errori, dopo una lunga serie di ultimatum posti al Bruno, a cui egli risponde con la promessa di voler abiurare, per poi tornare sui suoi passi, decide di consegnarlo al braccio secolare: si arriva così al tragico rogo del 17 febbraio 1600.

Dunque la morte di Bruno, per quanto tragica, se contestualizzata nel momento e nelle condizioni storiche in cui avvenne, non ha nulla né di misterioso, né di barbaro; ed anzi si può affermare, senza essere temerari, che pochi altri processi - non solo cinquecenteschi - hanno visto da parte dei giudici mettere in atto un comportamento così scrupoloso e corretto, così moralmente e deontologicamente irrepresensibile.

Matteo D'Amico



1 Tratto da "Il Timone", anno 5 (2003) maggio/giugno, n. 25, p. 22s.
 
Top
TotusTuus
view post Posted on 16/12/2006, 20:27     +1   -1




Giordano Bruno, un po' martire, un po' spia1



Detestava le donne e definiva gli ebrei "escrementi d'Egitto". Ma per l'industria culturale (e i sussidiari di Berlinguer) fu un campione del libero pensiero e l'antesignano dell'epoca dei lumi. Dimenticano, i divulgatori del mito, che la storia ci tramanda di lui il profilo di un brutto ceffo dotato d'ingegno. Un tale che, a quanto dice una autorevole biografia, tra una disputa e l'altra, arrotondava lo stipendio col fare la spia e mandare la gente al patibolo. Controcelebrazione del beato laico Giordano Bruno.

Caro, vecchio Giordano Bruno! Forse salendo sul patibolo sapeva già, grazie alla sua scienza occulta e prodigiosa, che il suo supplizio gli avrebbe procurato quella popolarità universale che aveva sempre cercato in vita e che non aveva mai riscosso. Eppure, intelligente e orgoglioso com’era, sapeva anche la verità di quell’antica massima, secondo la quale il genio è colui che dà argomenti di conversazioni agli imbecilli di tre secoli dopo. Per lo sventurato mago e filosofo è stato un tripudio trasversale, dalla Massoneria a "Liberazione" e solo pochi, come Tullio Gregory su "Il Sole 24 Ore", hanno saputo delineare con sobrietà e precisione i tratti essenziali del suo pensiero.

Commemorazioni politically correct

Ciò che è mancata quasi del tutto nella recente parodia di beatificazione (e spontaneo e paradossale è il confronto con santa Giovanna d’Arco) è stata una ricostruzione accurata della sua vita avventurosa, difficilmente scindibile dalla sua opera. In particolare, è il soggiorno londinese nel 1583 a essere stato obliterato, come in un "Ministero della Verità" orwelliano. Eppure è proprio a Londra che vengono composti capolavori come "La Cena delle Ceneri" e "Gli eroici furori", ed è qui che conosce personalmente la regina Elisabetta I.

Questo "buco" storico è stato colmato da un docente dell’Università di York, John Bossy, e il suo volume "Giordano Bruno e il mistero dell’ambasciata" (Garzanti) è stato insignito del prestigioso Wolfson Award. Chi scrive è riuscito a reperirlo in una libreria "Remainders" al 70% di sconto, negletto e dimenticato, tra un manuale di suor Germana e un testo di Rosanna Lambertucci. L’impressione che il libro abbia avuto poco successo in Italia è confermata anche dal recentissimo ed eccellente studio di Matteo D’Amico "Giordano Bruno" (Piemme), laddove, con un ironico eufemismo, si definisce "non entusiastica" l’accoglienza da parte del pubblico italiano. Il perché sarà chiaro tra poco.

Fagot, il chiacchierone...

La tesi di Bossy è molto semplice. Giordano Bruno, il 7 aprile 1583, viene accolto nella casa dell’ambasciatore francese a Parigi, De Castelnau, su raccomandazione personale di re Enrico III. Il 20 aprile successivo Sir Francis Walshingham, capo dell’"Intelligence Service" del tempo, riceve il primo di una serie di rapporti provenienti proprio dalla casa di De Castelnau. L’autore è un certo Fagot, uno spiritoso pseudonimo che significa "chiacchierone" o "fascina" o, in gastronomia, "involtino di fegato". Dalla corrispondenza, conservata negli archivi britannici, ed esibita da Bossy con scrupolo impeccabile, si può capire che Fagot è italiano, conosce il francese parlato ( un po’ meno quello scritto), comprende l’inglese, anche se fa finta di non capirlo, è un sacerdote ed è ferocemente antipapista. Denuncia i contatti di De Castelnau con i cattolici che cercano di introdurre testi religiosi in Inghilterra; arruola il segretario dell’ambasciatore perché intercetti la posta del suo padrone; contribuisce all’arresto del cattolico Francis Trockmorton che verrà atrocemente torturato e condannato a morte; denuncia (senza conseguenze) anche uno spagnolo che, in confessione, gli aveva rivelato di voler assassinare la Regina; e, soprattutto, sputtana completamente De Castelnau presso il governo inglese, tanto che "bruciato" dovrà far ritorno in Francia, ridotto in rovina. Questo Fagot, tuttavia, non parla mai di Giordano Bruno, italiano, poliglotta, sacerdote, seppure inabilitato a celebrare, e ferocemente anticattolico.

Un cattivista misogino e antisemita

John Bossy, attraverso un confronto scrupoloso delle diverse calligrafie di Bruno con quella di Fagot, e mediante una serie di deduzioni degne di Conan Doyle, arriva a stabilire con estrema probabilità che Fagot e Bruno sono la stessa persona. Il fatto che il suo studio venga relegato nel campo delle ipotesi, non vale a negare che quella di Bossy sia l’unica teoria che dia un volto a Fagot e che, con ottime probabilità, è destinata rimanere tale. Il perché di questo imbarazzo si può comprendere facilmente. Solo un laico illuminato come Luigi Firpo ha potuto descrivere in "Il processo di Giordano Bruno", frigido pacatoque animo, un processo drammatico, durato otto anni e sostanzialmente corretto, sia nella forma che nella sostanza. L’idea che Bruno fosse un infame che tradiva i propri benefattori non collima col mito che se ne è fatto, così come le pratiche di magia (e a Londra incontrò John Dee, il più grande negromante di tutti i tempi) possono inficiare, ma solo in apparenza, le sue portentose intuizioni sul cosmo e sulla psiche. Ciò che va smantellato, e subito, è quell’aura di santità laica del quale, spiritoso com’era, sarebbe il primo a ridere, e il riso può diventare incontrollabile, ove si pensi alla sinistra italiana che idoleggia uno al cui confronto Haider è un bambino dell’asilo. Si leggano, i femministaioli e antifascisti militanti le pagine di Bruno sulle donne, esseri inferiori, idioti e ripugnanti, e sugli ebrei, "escrementi dell’Egitto". Bruno non era un buonista e tantomeno ipocrita, scrive Bossy, "Non sarebbe mai stato uno di quei pusillanimi che prima dicono che è peccato sputare in chiesa e poi vengono sorpresi a cagare sull’altare: Bruno avrebbe lordato l’altare tutto il tempo"

Un sincero intollerante

Al tempo stesso era sincero quando rivendicava la libertà di ricerca e di pensiero, ma solo per se stesso, giacché anche Giovanni Gentile ammise che Bruno non aveva mai creduto nell’autonomia della coscienza individuale.

Ciò che lo rovinò fu una presunzione e un’arroganza proporzionate a un’intelligenza e a una memoria eccezionali, ma insufficienti a prevalere sugli odi che provocava. Ci si dovrebbe chiedere perché sia stato dichiarato "persona non gradita", praticamente da tutti i paesi europei e sia tornato, alla fine, proprio in Italia per ottenere un’udienza dal papa. Giustamente il D’Amico parla del rogo del Campo de’ Fiori come di una sconfitta per la Chiesa, avvenuta dopo che erano stati esauriti tutti i tentativi per ragionare con un uomo che, vuoi per il fallimento dei propri progetti, vuoi per il tipo di sapienza acquisita o per il logorio di un’umana, ma lunghissima detenzione, pareva aver perso il senso della realtà.

Ancora oggi la lettura di una biografia del Nolano suscita una qualche immediata simpatia per lui, non fosse altro per quell’irritazione che provava coi semicolti del suo tempo, coloro, secondo una definizione di Del Noce "non sanno di non sapere" e che si divertiva a demolire e a schiacciare nei pubblici dibattiti, senza usare un poco di carità, anche solo umana se non cristiana; quella stessa irritazione che noi, cattolici incazzati, sentiamo verso i semicolti del nostro tempo che straparlano di Crociate e di Inquisizione e che ameremmo schiacciare con la faccia nella "buazza" se non riconoscessimo, in questo istinto, la prima conquista del nostro cuore da parte del Nemico.

Alberto Leoni



1 Tratto da "Tempi" n. 10, 15 marzo 2000
 
Top
TotusTuus
view post Posted on 17/12/2006, 11:35     +1   -1




Giordano Bruno «santino» dei liberi pensatori 1




Giordano Bruno: gratta il «santino» dei liberi pensatori, trovi il filosofo-mago. Processato dai protestanti, prima che dai cattolici, il filosofo-mago fu campione di doppio gioco...

Quando si parla di scienza e di Chiesa il tasso minimo di ideologia presente nell'aria esige che si faccia almeno un cenno a Giordano Bruno, e alla sua esecuzione in Campo de'Fiori, a Roma. La fama del filosofo nolano, infatti, è dovuta senz'altro al fascino della sua morte, da ribelle impenitente, più che alla sua produzione culturale, così intrisa di magia, di astrologia, di vitalismo panteistico e, per questo, in nulla moderna, né scientifica (Frances A. Yates, "Giordano Bruno e la tradizione ermetica", Laterza). Una fama, dunque, ottenuta dopo la morte, ma cercata con ossessione durante tutta la vita, con una presunzione astrale, "accentuata dalle pratiche magiche cui Bruno si dedica con crescente intensità e che sviluppano in lui un senso di onnipotenza materiale e intellettuale assoluta" (Matteo D'Amico, "Giordano Bruno", Piemme).
Tutta la sua esistenza, infatti, è in vista di una affermazione personale, per sé e per la sua visione del mondo, contro avversari di tutti i paesi e di tutte le confessioni, che divengono via via "porci", "pedanti", "barbari e ignobili". Il giovane Bruno è già un personaggio non comune, che ama raccontare di essere stato aggredito, a sassate, dagli spiriti, e che ha il suo primo importante scontro teologico nel 1576 con un confratello domenicano, riguardo alla dottrina di Ario, e il secondo nella capitale del calvinismo, a Ginevra.
Vi giunge nel 1579, in cerca di fortuna. Ma il suo comportamento è subito ambiguo e aggressivo a un tempo: da una parte abbraccia il calvinismo, per essere accettato nei circoli culturali e religiosi della città, e dall'altra attacca violentemente un professore del luogo, dando alle stampe un libello contro di lui, e, a quanto sostiene l'accusa, mentendo platealmente. Viene processato dai membri del Concistoro, non cattolico, ma calvinista, e costretto in ginocchio a lacerare il suo opuscolo, ammettendo la propria colpa.
Lasciata Ginevra, che dunque non lo capisce, Bruno approda a Parigi nel 1581: la sua fama di esperto nell'ars memoriae gli vale la convocazione del re Enrico III, di cui diviene in breve intimo confidente. Dopo soli due anni Bruno finisce a Londra, presso l'ambasciatore francese Castelnau, in Salisbury Court, vicino al Tamigi. Qui, secondo le recenti indagini di John Bossy ("Giordano Bruno e il mistero dell'ambasciata", Garzanti) svolge un lavoro di spionaggio contro l'ambasciatore francese di cui è ospite, a tutto svantaggio dei cattolici, arrivando addirittura a rivelare i segreti carpiti in confessione. Infatti, pur essendo già da tempo un feroce nemico del cattolicesimo e della Chiesa, considerati la causa della decadenza dell'Europa, Bruno si finge zelante sacerdote e celebra riti in cui non crede, nell'ambasciata francese, vantando d'altra parte la propria apostasia presso la corte di Elisabetta. Nel suo arrivismo giunge a svelare alla regina l'esistenza di un complotto catto-spagnolo, in realtà inesistente, contro di lei: scrive di esserne venuto a conoscenza in confessione. Nessuno gli crede.

Alla ricerca di una cattedra

A questo punto Bruno, sempre scalpitante, vuole una cattedra a Oxford. Come ottenerla? Si offre volontario, con una umile missiva, in cui si presenta così: "Professore di una sapienza più pura e innocua, noto nelle migliori accademie europee, filosofo di gran seguito, ricevuto onorevolmente dovunque, straniero in nessun luogo, se non tra barbari e gli ignobili... domatore dell'ignoranza presuntuosa e recalcitrante... ricercato dagli onesti e dagli studiosi, il cui genio è applaudito dai più nobili...". Alla terza lezione verrà accusato di plagio e invitato a togliere il disturbo; le sue invettive feroci contro i londinesi, e contro il prossimo suo in genere, gli procurano, probabilmente, un breve arresto e determinano il ritorno precipitoso a Parigi. Ma qui, nel frattempo, il clima politico è cambiato, e i Guisa, la nobile famiglia a capo della Lega Cattolica, ha sempre maggior potere: Bruno non esita a mettersi al suo servizio, e a chiedere di essere riaccolto "nel grembo della Chiesa catholica". In realtà, ancora una volta, fa il doppio gioco, tessendo rapporti con i protestanti, benché nello "Spaccio della bestia trionfante" del 1584 avesse deprecato violentemente, in mille maniere, la figura di Lutero. Nello stesso periodo viene accusato da Fabrizio Mordente, inventore del compasso differenziale, di volergli carpire l'invenzione: Bruno infatti ne è entusiasta, ma come già per Copernico, ritiene che ai disprezzati matematici sfugga il valore magico ed ermetico delle loro scoperte, che lui solo, invece, ha la capacità di comprendere!

Seconda Parte

Calvino, Lutero e la magia. Le armi del filosofo-mago nel suo scontro con la Chiesa


Scomunicato dalla Chiesa cattolica e dai calvinisti di Ginevra, cacciato da Oxford e da Londra, Giordano Bruno, nel 1586, dopo l'ennesima disputa finita in rissa, deve abbandonare anche Parigi, perché neppure il vecchio amico Enrico III è più intenzionato ad accoglierlo.
La destinazione, questa volta, è la Germania, e in particolare la città protestante di Marburgo. Ancora una volta il filosofo di Nola ottiene, dietro pressanti richieste, una cattedra universitaria, ma, detto fatto, entra in conflitto col rettore, Petrus Nigidius, che lo aveva assunto e che ora lo licenzia. Con la grinta di sempre Bruno riparte, per approdare a Wittenberg, città simbolo del luteranesimo, dove, tanto per cambiare, ottiene il diritto di tenere corsi universitari. E' qui che Bruno cambia ancora casacca: in occasione del discorso di addio, dopo soli due anni di permanenza, polemiche, e tanti nemici, l'8 marzo 1588 tiene davanti ai professori e agli alunni dell'università un elogio smaccato della figura di Lutero, contrapposta a quella del papa, presentato, secondo le migliori tradizioni del luogo, come un vero anticristo. "Come ha usato Calvino contro la Chiesa, così adesso usa Lutero: il cattolicesimo emerge come il vero grande nemico" (Matteo D'Amico, "Giordano Bruno", Piemme). Chiaramente il gioco può riuscire sperando che a Wittenberg non si conosca il libello bruniano di soli quattro anni prima, e cioè lo "Spaccio". In esso infatti Bruno auspicava che Lutero e i suoi seguaci fossero "sterminati ed eliminati dalla faccia della terra come locuste, zizzanie, serpenti velenosi", essendo causa di guerre, disordini e discordie senza fine.
Inoltre, tanto per toccare con mano la "scientificità" del personaggio, Bruno spiegava la metempsicosi, affermando che coloro i quali abbiano "viso, volto, voci, gesti, affetti ed inclinazioni, altri cavallini, altri porcini, asinini, aquilini (...), sono stati o sono per essere porci, cavalli, asini, aquile, o altro che mostrano"!
Lasciata Wittenberg, Giordano Bruno approda a Praga, la città dell'imperatore Rodolfo II, che ne sta facendo una centrale di maghi, alchimisti e occultisti da tutta Europa. Rodolfo è un tipo bizzarro, preda, spesso di allucinazioni e di crisi depressive. Ancora una volta Bruno cerca il potere, aspira a coniugare le arti magiche, di cui si ritiene in possesso, con alleanze potenti e concrete. C'è ormai in lui il desiderio di non rimanere un teorico, ma di passare all'azione, di essere ispiratore di un rinnovamento del mondo, di una palingenesi, che i segni dei tempi gli dicono vicina, e che lui vuole guidare, con compiti e ruoli non secondari.
Ma, vuoi per il suo caratteraccio, vuoi perché le vantate arti magiche in suo possesso non danno i frutti sperati e promessi, anche Praga viene presto abbandonata per la città protestante di Helmstadt, nel 1589. Brigando a suo modo, Bruno ottiene di poter insegnare nell'università locale, e per l'ennesima volta, pur fingendosi protestante e scagliandosi contro la Chiesa cattolica, suo bersaglio preferito, viene in breve scomunicato dal pastore della locale chiesa luterana! Ciò nonostante neppure in questa occasione gli viene a mancare quella disponibilità di denari "che gli permette di fare lunghi viaggi, di affittare appartamenti, di tenere a suo servizio, regolarmente, segretari diversi, di pubblicare opere voluminose, di vivere infine per lunghi periodi senza alcun lavoro fisso": denari, ipotizza il D'Amico, che potrebbero giungere da quell'attività così redditizia di informatore segreto che aveva appreso a Londra.

Le formule per assoggettare Gregorio XIV

Nel 1590 Bruno è a Francoforte, senza grande entusiasmo dei suoi allievi, che non riescono a comprendere quanto la miracolosa mnemotecnica bruniana sia da lui mal insegnata e quanto essa sia invece mal conosciuta.
Dopo Francoforte, Zurigo, Padova e, infine, nel 1591, Venezia. Nella città veneta è accolto con curiosità da una cerchia di nobili da salotto, e in particolare da Giovanni Mocenigo, che è disposto a ospitarlo e nutrirlo in cambio dei suoi "segreti". Ma Giordano Bruno non è certo incline a fare il precettore privato: il suo desiderio sembra essere quello di usare le sue conoscenze magiche, espresse nei testi "De magia" e "De Vinculis", per assoggettare nientemeno che il pontefice Gregorio XIV ai suoi disegni di riforma religiosa e politica universale! Ritiene infatti di saper controllare e dominare le forze demoniche presenti nella natura e di poter soggiogare il prossimo con messaggi subliminali, formule magiche non percepibili dagli incantati: "Ritmi e canti che racchiudono efficacia grandissima, vincoli magici che si realizzano con un sussurro segreto..." ("De Vinculis").

Terza Parte

L'epilogo del processo, la dignità della morte dopo una vita di intrighi e magie

Giordano Bruno concepisce a Venezia il folle disegno di "portare cambiamenti (politici) significativi, quantomeno nello scacchiere italiano". A tal fine progetta di rientrare nella Chiesa, di recarsi a Roma dal pontefice Clemente VIII, per dedicargli un'opera, e, come si diceva, probabilmente, per riuscire a condizionarlo tramite le arti magiche.
Non c'è grande nobiltà nei mezzucci con cui, contraddicendo patentemente il suo credo, persegue i propri fini. Ma nello stesso 1591 viene denunciato al Santo Uffizio dal suo stesso ospite: al Mocenigo è bastato un attimo per rimanere deluso dagli insegnamenti di Bruno, e scandalizzato dalle sue bestemmie.
Dopo i sogni di potenza, il filosofo nolano precipita sul banco degli imputati, ma è già abituato ai processi, alle abiure, alle fughe, e forse pensa, in cuor suo, di farla nuovamente franca. La sua tattica difensiva consiste nell'ammettere alcune accuse, nell'attenuarne altre, e nel negare, infine, le più infamanti. Negare tutto sarebbe troppo sciocco, vista la possibilità per il tribunale di venire in possesso dei suoi scritti, e di indagare sul suo passato. Lo scopo è quello di "apparire persona rispettosa della autorità della Chiesa e della sua dottrina, anche se momentaneamente posto al di fuori di essa" (D'Amico).
Arriva così a rinnegare alcune sue opere, e a presentare i suoi passati riavvicinamenti alla Chiesa, compiuti sempre e solo per convenienza politica, come testimonianza della sua sostanziale "ortodossia". Il filosofo degli "eroici furori", in realtà, non ha nulla di eroico: "tutti li errori che io ho commesso... et tutte le heresie... hora io le detesto et abhorrisco...". Come già coi calvinisti di Ginevra, il ribelle, la spia, l'arrivista in cerca di poltrone universitarie, dopo aver attaccato e inveito, si inginocchia e abiura, con pari teatralità e finta compunzione. Ma Roma sospetta, e nel febbraio 1593 avoca a sé il processo, che durerà otto lunghi anni. Il tribunale inquisitoriale non emette condanne frettolose, ma procede con precisione e scrupolo, convocando testimoni, compulsando le opere, rispettando tutte le procedure, invitando ripetutamente ad abiurare. Bruno si dichiara disposto in più occasioni a cedere: la condanna, e l'affido al braccio secolare, arrivano dopo varie promesse di abiura, e altrettanti ripensamenti.

Il memoriale mandato in extremis al Papa

Nel giorno della condanna giunge al Papa un memoriale di Bruno: perché, se aveva già deciso di affrontare la morte? Probabilmente il memoriale, che non conosciamo, conteneva l'ennesima disponibilità all'abiura: forse Bruno credeva di poter ancora dire e disdire, senza conseguenze.
A cosa si deve, allora, questa improvvisa accelerazione del processo? Secondo la Yates, a un evento contemporaneo: l'arresto di un altro domenicano ribelle, Tommaso Campanella. Non bisogna infatti dimenticare l'epoca in cui ci troviamo: la Riforma ha portato alla ribalta prima Lutero, con le conseguenti guerre dei cavalieri e dei contadini, e le relative mattanze, e poi millenaristi come Matthison di Haarlem, un capo anabattista che si sentiva "incaricato della esecuzione del castigo divino contro gli empi, e mirava semplicemente al massacro universale", o il "profeta Hofmann" di Strasburgo, "il quale andava dicendo di voler fondare la Nuova Gerusalemme" e si accingeva a preparare la mobilitazione "dei cavalieri della strage che con Elia e Enoch appariranno impugnando la spada e vomitando fiamme per sterminare i nemici del Signore".
Campanella è filosoficamente molto vicino a Bruno. Anch'egli ritiene che stia giungendo l'ora dei "grandi mutamenti, l'avvento dell'età dell'oro". Organizza così una congiura, in meridione, cercando l'alleanza dei Turchi, e in particolare di feroci pirati come Bassàn Cicala, per realizzare uno Stato magico, dittatoriale, di impostazione comunista. La congiura viene sventata nel 1599 (Francesco Forlenza, "La congiura antispagnola di Tommaso Campanella", Temi).
Tale nuova minaccia, religiosa e politica insieme, accelera forse la condanna di Bruno, che morirà, alla fine, con dignità. Ma dopo essere stato scacciato da almeno dieci città diverse, condannato da cattolici, calvinisti, protestanti e professori universitari; dopo essere stato spia, aver violato il segreto confessionale, aver ripudiato se stesso, per convenienza, innumerevoli volte, e, infine, dopo aver cercato, attraverso la magia e l'intrigo, di rovesciare l'ordine politico, non solo quello religioso, del suo tempo. Spacciarlo per un puro, un eroe coerente sino alla fine, uno scienziato moderno (titolo che lui stesso non avrebbe affatto desiderato), come cercano di fare Nuccio Ordine e Giulio Giorello sul "Corriere della Sera" di martedì scorso, è mera e ideologica falsificazione storica (condita con abbondanti dosi di retorica).

Francesco Agnoli



1 Tratto da "Il Foglio", in 18 agosto 2005 (parte I), 25 agosto 2005 (parte II) e 1 settembre 2005 (parte III).
 
Top
TotusTuus
view post Posted on 18/12/2006, 15:08     +1   -1




Giordano Bruno "martire" della scienza?1



Il 16 febbraio 2000, presso il Liceo Classico Antonio Calamo di Ostuni, in provincia di Brindisi, in collaborazione con il preside, professor Francesco Masciopinto, Alleanza Cattolica ha organizzato una conferenza — con annuncio e con eco sui mass media locali — sul tema Giordano Bruno e la scienza medioevale: continuità o frattura?, relatore il professor Stanley L. Jaki O.S.B., cosmologo e storico della scienza, insignito nel 1970 del premio Lecomte du Nouy e nel 1987 del premio Templeton per la Religione.

Nato a Gyâr, in Ungheria, il 17 agosto del 1924, all’età di diciotto anni entra nell’ordine benedettino e nel giorno anniversario della prima apparizione della Madonna a Fatima, il 13 maggio 1944, fa la professione religiosa. Il 29 giugno 1948 viene ordinato sacerdote. Nel 1950 ottiene il dottorato in Teologia presso il Pontificio Istituto Sant’Anselmo di Roma. Trasferitosi negli Stati Uniti d’America — ne acquisterà la cittadinanza —, consegue la laurea in Scienze e nel 1957 il dottorato in Fisica con una tesi realizzata sotto la direzione del fisico austriaco professor Victor Franz Hess (1883-1964), lo scopritore dei raggi cosmici, premio Nobel per la Fisica nel 1936. Nel 1956 la prestigiosa casa editrice Herder pubblica un’ampia versione della sua tesi di laurea in Teologia, Les tendences nouvelles de l’ecclésiologie, ristampata nel 1963 grazie al rinnovato interesse per l’argomento dovuto al Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965) allora in pieno svolgimento. Fra i suoi numerosi titoli accademici sono da menzionare lauree honoris causa in Filosofia, in Matematica e in Lettere.

Attualmente è professore emerito della Seton Hall University, nello Stato del South Orange, negli Stati Uniti d’America, membro onorario della Pontificia Accademia delle Scienze e di un’altra decina fra accademie e fondazioni culturali: fra esse la Olbers Gesellschaft di Brema, in Germania, e la società ellenica per gli studi umanistici di Atene. Ha pubblicato quarantasei volumi e centinaia di articoli su temi riguardanti prevalentemente la storia e la filosofia della scienza. Sono leggibili in traduzione italiana Le strade della scienza e le vie verso Dio (Jaca Book, Milano 1988), Dio e i cosmologi (Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1991; su cui cfr. Luciano Benassi, Fede, scienza e falsi miti nella cosmologia contemporanea, in Cristianità, anno XXI, n. 224, dicembre 1993, pp. 17-25), Il Salvatore della scienza (Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1992), e Lo scopo di tutto. Scienza, filosofia & teologia si interrogano sulla finalità (Ares, Milano 1994).

Nella sua consistente bibliografia si trova anche un buon numero di pubblicazioni teologiche, fra le quali meritano una speciale menzione uno scritto sul primato di Pietro, And on this rock: the Witness of One Land and Two Covenants, in terza edizione riveduta (Christendom Press, Front Royal [Virginia] 1997); un commento ai salmi, Praying the salms. A Commentary (Wm. B. Eerdmans, Grand Rapids [Michigan] 2000); e un’opera, in seconda edizione riveduta e ampliata, sulle implicazioni scientifiche, teologiche e storiche del primo capitolo della Genesi, Genesis 1 trough the ages (Thomas More Press, Londra 1992).

In occasione della sua presenza in Italia, come già precedentemente — cfr. Fede e ragione fra scienza e scientismo, intervista a cura di L. Benassi e Maurizio Brunetti, in Cristianità, anno XXIII, n. 239, marzo 1995, pp. 15-20 —, abbiamo intervistato lo studioso benedettino su alcuni argomenti collegati alla conferenza.


D. Padre Jaki, quest’anno ricorre il quarto centenario del rogo di Giordano Bruno, il filosofo e frate domenicano nato nel 1548 a Nola, nel Napoletano, e morto eretico impenitente a Roma, in Campo dei Fiori, il 17 febbraio 1600. Com’era prevedibile, i mass media hanno fatto un gran clamore, accusando la Chiesa di oscurantismo ed esaltando la figura del pensatore nolano, definito di volta in volta "martire della scienza", "apostolo della modernità", "precursore dell’illuminismo" e così via.

Lei che, trent’anni fa, ha tradotto in inglese di questo autore La cena de le Ceneri. Descritta in cinque dialogi, per quattro interlocutori, con tre considerazioni, circa doi suggetti (The Ash Wednesday Supper, Mouton, L’Aia 1975), il primo scritto sull’opera del canonico e matematico polacco Mikolas Kopernik, italianizzato in Nicolò Copernico (1473-1543), può dirci qualcosa sul pensiero di Bruno?

R. Per prima cosa voglio dire che Bruno non ha nulla a che vedere con la scienza. Trent’anni fa, quando decisi di tradurre il suo saggio La cena de le Ceneri, del 1584, dall’italiano-napoletano in inglese, avevo un’opinione diversa. A quel tempo pensavo che, siccome si trattava della prima opera pubblicata su Copernico, dovesse necessariamente contenere concezioni interessanti, sia su Copernico che sulla scienza copernicana. Fui completamente deluso, non solo perché in tale saggio non vi era alcuna traccia di scienza, ma addirittura il suo contenuto rappresentava un insulto a Copernico e alle sue concezioni. Purtroppo, perfino gente con un elevato grado di cultura crede ancora che Bruno abbia serie credenziali scientifiche. Altrimenti, per esempio, perché organizzare, presso l’università La Sapienza di Roma, un convegno internazionale dal titolo Giordano Bruno e la nuova scienza, al quale, il giorno 18 febbraio 2000, sono stato invitato come relatore?

D. Nell’opera Giordano Bruno: A Martyr of science? (Real View Books, Royal Oak [Michigan] 2000) Lei scrive che "Bruno usò Copernico per promuovere fini non copernicani". Sembra un paradosso. Può precisare la sua argomentazione?

R. Per Bruno, Copernico è solo un ariete, sicché un edificio ordinato come la visione del mondo aristotelico-tolemaica è distrutta in modo tale che la confusione, producendo rovine, diviene la regola suprema. Bruno non vuole sostituire queste rovine con la precisione dell’universo copernicano e del suo strumento, la geometria. Bruno distrugge, affinché la confusione e l’imprecisione possano regnare.

D. Dunque, da parte di Bruno non si tratta di adesione alle teorie scientifiche di Copernico, ma semplicemente di un procedimento tattico?

R. Sì, una tale tattica è chiaramente quella di un megalomane che, come tutti i megalomani, si mette una benda davanti agli occhi. Questo non gli permette di vedere i contorni definiti delle cose e lo induce a credere che anche tutti gli altri uomini possano chiudere i loro occhi davanti alla chiara evidenza. Perciò dovrebbe essere palese che, nell’usare Copernico, a Bruno sfugge il fatto che la sua tattica si rivelava immediatamente come qualcosa di chiaramente irrazionale. È sempre irrazionale usare la ragione contro la ragione. Una cosa era celebrare Copernico come il grande distruttore del mondo chiuso di Aristotele (384-322 a. C.), un’altra era affermare che, una volta distrutti i confini limitati di quel mondo, rimaneva solo un’enorme entità, un "animale" — secondo un’espressione dello stesso Bruno — comprendente tutto quanto non poteva essere descritto con gli strumenti della geometria nel suo futuro corso d’azione. Una tale entità non ha confini, nessun ordine specifico e nessuna coerenza razionale.

D. Uno dei luoghi comuni della cultura contemporanea vuole che Bruno sia andato al rogo per le sue idee sulla scienza. Bruno può essere considerato un "martire della scienza e/o del libero pensiero"?

R. Bruno non è certamente un martire della scienza e neppure del libero pensiero, a meno che per "libero pensiero" non s’intenda "pensiero a ruota libera". Infatti, La cena de le Ceneri è una denuncia diretta e indiretta delle caratteristiche fondamentali della geometria: la precisione e la chiarezza.

Lo scopo di Bruno consisteva nel promuovere una visione del mondo impregnata di misticismo occultista e magico. Invece, dall’inizio alla fine l’opera di Copernico De revolutionibus orbium caelestium libri VI, del 1543, è caratterizzata da un cospicuo uso della geometria e da una fervente ammirazione per la sua efficacia. Bruno rifiutava quell’esattezza che la geometria rappresentava. Non si cura neppure di studiare la complessità della geometria. Gli studiosi dell’università di Oxford, proprio durante il primo dibattito sul sistema copernicano, nel 1584, si rendono perfettamente conto che, a questo riguardo, Bruno non aveva compreso i punti nodali del sistema copernicano. Alle loro argomentazioni egli non replica con controargomenti, ma con aspre ingiurie. Gli studiosi di Oxford affermavano semplicemente che Bruno non conosceva realmente Copernico. Il suo interesse per la teoria copernicana aveva soltanto lo scopo di promuovere la visione di un nuovo ordine del mondo basato sull’occultismo.

D. Come fondare questa affermazione?

R. L’asserzione di Teofilo — il personaggio che ne La cena de le Ceneri espone il pensiero di Bruno — secondo cui, fra tutti gli uomini, solo lui può interpretare Copernico, dovrebbe suonare molto strana sulle labbra di uno che molto probabilmente non ha mai letto tutte le pagine del De revolutionibus orbium caelestium, ma solo una parte esigua di esse. D’altronde Bruno non ama la geometria, che ovunque conferma gli argomenti di Copernico, e con ogni evidenza non ha nessuna preparazione relativa al tipo di geometria necessaria per capire e per assimilare i ragionamenti copernicani. Perfino nelle traduzioni moderne il De revolutionibus orbium caelestium rimane un testo ostico da seguire per chiunque non sia preparato in quella che più tardi verrà conosciuta come geometria differenziale.

D. Vi sono altre ragioni che rendono discutibile la qualifica di Bruno quale "martire della scienza"?

R. Bruno non può essere considerato un martire della scienza anche perché, esaminando gli elenchi dei suoi errori compilati dai tribunali dell’inquisizione di Venezia e di Roma, si può notare come, fra le accuse, l’eliocentrismo costituisca solo una piccola parte. In realtà, Bruno è un eretico a tutto tondo: non vi è dogma della fede cristiana che egli non abbia negato, almeno implicitamente. Certamente è deprecabile che sia stato messo al rogo, ma rimane il fatto che il distacco di Bruno dall’ortodossia cristiana era così ampio e profondo, che lo stesso destino gli sarebbe stato riservato sia nella "repubblica teocratica" costruita nell’elvetica Ginevra da Jean Cauvin — italianizzato in Giovanni Calvino (1509-1564) — che nell’Inghilterra di Elisabetta I Tudor (1533-1603), se fosse rimasto in entrambe per lo stesso lasso di tempo. A Ginevra viene scomunicato dal Concistoro calvinista, e sarebbe stato immediatamente arrestato, se non fosse sfuggito alla presa della teocrazia calvinista il più velocemente possibile.

D. Normalmente Bruno è considerato il filosofo dell’infinito. Già il canonico e filologo inglese Richard Bentley (1662-1742), scrivendo al matematico e fisico, pure inglese, Isaac Newton (1642-1727), intravede, fra l’altro, che l’idea di un universo omogeneo e infinito avrebbe potuto servire da copertura per l’ateismo. Alla luce della teoria della relatività Bruno, con il suo infinito, precorre la scienza moderna?

R. Nell’opera De l’infinito universo et mondi, del 1584, Bruno scrive: "Ci sono soli innumerevoli e un numero infinito di terre orbita attorno a quei soli, così come i sette che noi possiamo osservare orbitanti attorno al sole che è vicino a noi". Tali e simili affermazioni sono state invariabilmente addotte dagli ammiratori di Bruno, che lo considerano un profeta della moderna visione scientifica del mondo.

Quella dell’infinità era una pretesa curiosa già nel contesto dei suoi tempi, ed è un’assurdità dal punto di vista della scienza moderna. Infatti l’universo di Copernico è rigorosamente finito. L’astronomo e matematico tedesco Johannes Kepler, italianizzato in Giovanni Keplero (1571-1630), sostiene con forza che le stelle sono contenute in un ristretto guscio sferico di 2000 leghe tedesche, un’antica unità di misura, variabile a seconda delle nazioni fra i 4 e i 5,5 chilometri, in Germania pari a circa 10 mila chilometri. In verità, egli fa questa affermazione avendo presente, per oppositionem, la convinzione di Bruno che le stelle siano omogeneamente distribuite in un universo infinito. Inoltre, il fisico e matematico italiano Galileo Galilei (1564-1642) sostiene la finitezza dell’universo, senza tuttavia specificare l’ampiezza del guscio nel quale le stelle sono collocate. Newton non sostiene mai l’idea di un universo infinito e mai rigetta un suo saggio giovanile nel quale esplicitamente sosteneva la finitezza dell’universo.

L’idea di un universo newtoniano infinito, che appare sporadicamente durante il secolo XVIII, diviene largamente diffusa soltanto nel secolo XIX, sebbene non tanto fra gli scienziati, quanto fra alcuni filosofi e scrittori di scienza. Gli scienziati sapevano bene che un universo infinito, nel quale le stelle siano omogeneamente distribuite, sarebbe colpito da due paradossi: quello ottico e quello gravitazionale. Com’è ben noto, la soluzione del medico e astronomo tedesco Whilelm Olbers (1758-1842) al paradosso ottico era sbagliata: infatti si basava sull’asserto che una parte della luce delle stelle fosse assorbita dall’etere interstellare e conseguentemente il cielo apparisse scuro di notte; ma la soluzione sarebbe stata valida solo se l’etere, o qualsiasi altro mezzo interstellare, non si fosse a sua volta surriscaldato assorbendo luce e riemettendola all’esterno, come di fatto avviene per effetto delle leggi della termodinamica. Durante gli ultimi decenni del secolo XIX, e per la maggior parte dei primi tre decenni del secolo XX, gli astronomi credevano che l’universo visibile o investigabile fosse rigorosamente finito, e che la parte infinita fosse situata al di là di quella finita, e pertanto non avesse alcuna influenza fisica, sia gravitazionale che ottica, su quest’ultima. Nello stesso periodo l’astrofisico tedesco Johann Carl Friedrich Zöllner (1834-1882) e altri asserivano che, per evitare il paradosso gravitazionale, bisognava postulare che la massa totale dell’universo fosse finita e che tale massa doveva essere contenuta entro una sfera quadridimensionale non euclidea. Comunque, dopo la pubblicazione, nel 1917, della quinta memoria del fisico tedesco, naturalizzato svizzero, Albert Einstein (1879-1955) sulla relatività generale, che tratta delle sue conseguenze cosmologiche, la finitezza della massa totale dell’universo è divenuta una pietra angolare delle maggiori cosmologie scientifiche. Alla luce delle implicazioni cosmologiche della teoria generale della relatività anche il filosofo e fisico tedesco Moritz Schlick (1882-1936), fondatore del positivismo logico, ammette che "l’infinità spaziale del cosmo deve essere rifiutata".

D. Se le asserzioni di Bruno devono essere considerate anti-scientifiche nei confronti della scienza moderna, che cosa dire di esse in relazione alla scienza medieovale?

R. Bruno rifiutava qualsiasi sistema definito, sosteneva una visione del mondo per la quale ogni cosa si trasformava perpetuamente in ogni altra: agli occhi di Bruno nulla ha un carattere permanente, ogni oggetto può divenire qualsiasi altro. Nella sua visione delle cose non vi è differenza alcuna fra le stelle e i pianeti: è come se la nostra Terra si trasformasse in una stella simile al sole e viceversa. Diversamente, durante il Medioevo, uno dei versetti biblici citati più spesso era quello tratto dal Libro della Sapienza (11, 20): "Dio ha disposto ogni cosa secondo misura, calcolo e peso".

Questa citazione sapienziale esprime chiaramente il clima intellettuale che si è venuto a creare in epoca medioevale per la grande considerazione in cui era tenuta la geometria. In tutte le civiltà antiche il mito dell’eterno ritorno è causa di morte prematura della scienza: nell’antico Egitto, in Cina, in India e nella Grecia classica. Solo nel Medioevo cristiano la scienza sfugge alla sindrome della sua inevitabile morte. Allora l’ipotesi dell’eternità dell’universo, presente nella cosmologia greca, viene abbandonata in considerazione del dogma cristiano della creazione ex nihilo et in tempore. Questo mutamento comporta, in particolare, una sostituzione delle leggi aristoteliche del moto con la legge del moto inerziale formulata dai filosofi e teologi scolastici francesi Jean Buridan, italianizzato in Giovanni Buridano (1300 ca.-1360 ca.), e Nicole d’Oresme (1323-1382), fatto di grande aiuto per Copernico e per i suoi primi seguaci. Un altro grande contributo dei medioevali alla scienza newtoniana è l’invenzione dell’ars latitudinis, ovvero dell’uso delle dimensioni geometriche per rappresentare le grandezze fisiche. Essa è basilare per lo sviluppo successivo della geometria analitica da parte del filosofo e matematico francese René Descartes, italianizzato in Renato Cartesio, (1596-1650) e aiuta Galileo nel calcolare che le distanze coperte dai corpi in caduta libera sono proporzionali al quadrato del tempo. Pertanto, se il mondo moderno ha una scienza, lo deve alla cultura della Cristianità medioevale.

D. Ritiene che questa sua affermazione possa essere pacificamente accettata dalla cultura dominante e diffusa nell’Occidentale contemporaneo?

R. Precisamente al contrario, questa verità ai nostri tempi viene misconosciuta in modo sistematico. La società moderna non potrebbe vivere un solo secondo senza l’aiuto della scienza: Internet, computer superveloci, fibre ottiche...

Vi sarà sempre più sviluppo scientifico nella nostra vita. Tuttavia, questa cultura moderna vuole la totale confusione, il totale soggettivismo a livello filosofico. Il liberalismo moderno vuole distruggere tutti i princìpi, tutte le norme accettate e non vuole sostituirle con altre regole specifiche. I princìpi fondamentali del liberalismo moderno possono essere condensati in un unico concetto: l’assoluto permissivismo. In questo modo le politiche e le legislazioni moderne, profondamente ancorate a una sempre maggiore permissività, stanno portando la società occidentale al decadimento. Da questo punto di vista, Bruno deve essere considerato solamente come il perfetto precursore di quei filosofi e sociologi moderni che vogliono abbattere ogni regola e specificità. Siate assolutamente orgogliosi dell’eredità trasmessa dalla cultura cristiana.


1 Tratto da Cristianità n. 299 (2000). Intervista a cura di Cosimo Baldaro e Cosimo Galasso.
 
Top
TotusTuus
view post Posted on 18/12/2006, 23:05     +1   -1




Il rogo di Giordano Bruno



Intendo fare come premessa un'osservazione metodologica che serve sia retrospettivamente per il problema delle crociate, sia per il problema molto più complesso e spinoso di Giordano Bruno e che servirà anche per tutti i punti scottanti della storia della Chiesa.

Il problema della conoscenza storica è un problema di conoscenza globalrnente morale. Non si tratta di conoscenza scientifica dell'avvenimento storico. L'avvenimento storico, infatti, in quanto è un atto di persone e di gruppi di persone che hanno intenzioni e subiscono condizionamenti non può essere studiato come un qualsiasi fenomeno scientifico. La verità ultima di tutti gli avvenimenti storici sfugge allo storico, che la può conoscere solo per approssimazione. In questa approssimazione c'è certamente un aspetto di considerazioni morali, ma non soltanto morali, infatti l'aspetto interessante sta nel vedere come attorno al giudizio morale si raccolgono fatti, valori positivi, condizionamenti che ci mostrano la struttura sottostante, per cui la conoscenza di un fenomeno storico è ultimamente la conoscenza della sua struttura. Ora, nella struttura di questo periodo, mi sembra che il movente non unico, ma determinante, che convive con moltissime cadute o incoerenze, sia un movente che trova la sua origine nella fede e nell'impegno della testimonianza cristiana nel mondo.

L'osservazione che nel fenomeno delle crociate ci sono stati dei fatti immorali sarebbe inutile a farsi. io non ho avuto l'intenzione di dire che non ci sono stati fenomeni di violenza, ho semplicemente cercato di scardinare l'idea laicista della crociata, cioè che nella crociata la religione mostra il suo fondamentalismo utilizzando la violenza per un'operazione di carattere ideologico-politico: questo è quello che io ho messo in discussione. Ciò che ci preme dire circa il cedimento morale è che non si tratta di un problema delle crociate, ma di quell'epoca: durante tutto quel periodo il contatto era rozzo e si avevano le mani piuttosto pesanti, non solo fra cristiani e musulmani, ma fra cristiani e cristiani, fra musulmani e musulmani, ecc

É chiaro che ovunque si ammazza un uomo si compie un delitto. Il problema è vedere il gioco di questo giudizio morale all'interno di un fenomeno che è complesso e sfaccettato, denso delle più diverse implicazioni.

Per quanto riguarda Giordano Bruno, la complessità si rivela nel fatto che la sua vicenda va situata nel suo nucleo teologico-filosofico-ecclesiale, nell'ottica di quella particolarissima situazione della Chiesa e della società civile che caratterizzava ancora il Seicento.

La soppressione di una vita (che dal punto di vista morale è sempre un grave errore, sia esso compiuto nel 1600 al Campo dei Fiori oppure nei campi di concentramento, oppure sparando all'amante della moglie) assume connotazioni, valori anche morali diversi a seconda che si cerchi di individuare il contesto in cui è operata e le motivazioni profonde che l'hanno determinata. Quindi vi è certamente una valenza morale, ma non si può ridurre la conoscenza storica alla valutazione morale, poiché la conoscenza storica è conoscenza di un complesso di istanze che si intrecciano in ogni gesto umano. In ogni gesto umano esiste l'aspetto dell'intenzione, dei valori, del condizionamento, dell'incoerenza. L'interesse di uno studio storico è allora mettere in evidenza che cosa è Stato determinante come intenzione, che cosa è stato determinato come esperienza e quali sono stati eventualmente i valori che l'hanno resa più o meno coerente e che, quindi, rendono più o meno comprensibile il gesto.

Veniamo ora alla questione di Giordano Bruno.

Intendo immedesimarmi nella domanda che è stata posta a titolo di questa parte: "L'inquisizione ha spento la creatività dell'uomo moderno?". Cercherò di rispondere tentando di delineare almeno gli aspetti fondamentali dell'episodio di Giordano Bruno.

1. Giordano Bruno è un fenomeno assolutamente eccezionale nella storia della cultura del Rinascimento italiano. E l'espressione di quel particolare momento, la pienezza del Rinascimento italiano, in cui l'uomo è la misura di tutte le cose, si concepisce veramente come l'origine di tutte le energie intellettuali e morali.

Rileggendo il fenomeno di Bruno, Schelling diceva: "È una personalità ebbra di Dio". Bruno è una personalità di ricchissima cultura, normalmente acquisita in modo autodidattico, pur avendo fatto studi regolari che, seguendo l'itinerario dell'ordine domenicano cui apparteneva, avevano una impostazione sostanzialmente non ancora tomistica, ma che comprendeva una forte componente agostiniana. Infatti il pensiero di san Tommaso si fa strada faticosamente anche all'interno dell'ordine, arricchendosi di influssi e correnti diverse.

La sua stessa vita, se ripercorsa, ci mostra una capacità straordinaria di produzione culturale e di rapporti. Quest'uomo, che nasce tutto sommato in una piccola città di provincia (Nola) e che nel giro dei pochi anni giovanili ha già rotto con l'ordine, si è secolarizzato e arriva nel 1581 a Parigi. Qui entra a contatto con le cerchie più interessanti della cultura e della politica ed i suoi rapporti con Enrico III, re di Navarra, sono qualcosa che deve essere ben studiato perché io mettono anche in una posizione di particolare rilievo a livello politico nel confronto Francia, Inghilterra, Spagna che domina in quel momento la storia politica. Passa in Inghilterra nel 1583; a Oxford scrive le opere fondamentali in italiano: La cena delle Ceneri; Della causa principio et uno; Dell'infinito universo et lo mundi; Lo spaccio della bestia trionfante; Gli eroici furori.

Si scontra con la cultura di Oxford; commentando questo episodio, è sempre stato detto che è l'uomo del Rinascimento a mettere in crisi la struttura medievale che sopravvive a Oxford. Non è assolutamente vero: la Oxford che egli incontra è protestante, ha rotto con la tradizione filosofica del Medioevo, quindi con la grande scolastica, e si è ridotta ad essere sostanzialmente un luogo di filologi, un luogo di letterati.

Quindi, la lotta, il confronto è fatto da Giordano Bruno nel tentativo di recuperare i termini della grande cultura oxoniense ed è all'inizio di un movimento di recupero della cultura tradizionale che passa attraverso l'università, su impulso anche suo e di altri grandi personaggi del mondo elisabettiano, attraverso dei cenacoli liberi. Egli si trasferisce in seguito a Praga, dove viene a contatto con una tradizione di carattere ermetico-magico. Torna finalmente a Parigi nel 1586, dove la morte improvvisa di Enrico III di Navarra che apre l'ascesa al trono di Francia ad Enrico IV, lo convince a tornare in Italia nel 1591.

Appena tornato a Venezia, in una situazione di fondamentale libertà nei confronti della struttura ecclesiastica, viene denunziato dal patrizio che l'aveva chiamato, Giovanni Mocenigo. Incomincia qui quel lungo processo di cui parlerò come terzo argomento del nostro lavoro: iniziato nel 1591 si conclude, per quanto riguarda la fese veneta, nel 1593 con un sostanziale "non luogo a procedere" di fatto se non di diritto. A seguito di ciò abbiamo l'estradizione a Roma nel 1593, una seconda fase del processo che si conclude con il rifiuto alla ritrattazione e con l'esecuzione capitale nel febbraio del 1600 in Campo dei Fiori.

E certamente un personaggio straordinario, frate di un convento di una piccola provincia italiana, che gestisce una responsabilità di carattere culturale e in qualche modo politico che assume connotazioni di carattere sociale e politico di rilievo internazionale. Ma non è l'unico. Nello stesso periodo, più o meno coevo, Tommaso Campanella ha una situazione di carattere culturale, storico e politico analoga.

Bruno è un uomo che non ha retroterra culturali determinati, che riesce a valorizzare san Tommaso e la cultura del Rinascimento italiano; riesce anche a valorizzare la filosofia neoplatonica nella versione fondamentalmente ortodossa di Marsilio Ficino. Ma, attraverso Agricola, viene a contatto con il pensiero ermetico e magico o con quella che vien chiamata la filosofia e la religione egiziana. Dopo aver mostrato l'eccezionalità di questa figura, che dimostra realmente come il Rinascimento italiano ha determinato un'immagine d'uomo e di cultura assolutamente nuova e creativa, dobbiamo ora cercare di entrare nel vivo del pensiero di Giordano Bruno.

2. A questo scopo noi possiamo utilizzare oggi le opere di una studiosa, la Yates, che ha dedicato a Giordano Bruno tutta la sua ricerca filosofica ultraquarantennale favorendone un'interpretazione in qualche modo nuova e più adeguata.

Bruno non vuole essere un filosofo cristiano, ma un mago rinascimentale propagatore dell'antica religione egiziana, poiché attraverso Agricola valorizza e si fa promotore di tutta la corrente mnemotecnica e magica. Si tratta della corrente della teoria della memoria, che nasce come letteratura (come studi di struttura letteraria, diremmo noi oggi), ma che ha un valore molto più ampio della struttura letteraria, perché viene accostata alla capacità magica. In questa accezione, Giordano Bruno è innanzitutto un mago rinascimentale, che crede dì poter realizzare una visione universale di carattere precristiano e fondamentalmente anticristiano perché il cristianesimo è, secondo lui, responsabile della distruzione di questa antica religione egiziana che permette il massimo nell'intervento e nella trasformazione della realtà materiale e sociale attraverso la magia in senso stretto.

La sua preoccupazione fondamentale, lo vedremo nel processo, è quella di attutire il più possibile i punti di contrasto con la tradizione cattolica e addirittura con la disciplina ecclesiastica. Egli vuole dimostrare una capacità di formulazione culturale assolutamente nuova, che non ha e non vuole avere legami immediati con la tradizione cristiana, anche se non la rifiuta. Ecco perché a Oxford è il difensore di san Tommaso, ovvero il difensore dal punto di vista culturale di un'altissima tradizione filosofica che le vicende del protestantesimo, con una sorta di distruzione dell'immediato passato cattolico, avevano cancellato. A Oxford c'erano stati dei veri e propri roghi di centinaia di migliaia di manoscritti dell'antica tradizione filosofica; Giordano Bruno e un uomo di cultura, che non può accettare che un momento fondamentale della storia, della cultura precedente venga distrutto per fanatismo.

Si tratta dunque di un uomo che, nella sua straordinaria libertà di approccio con il passato, non ha come preoccupazione quella del dialogo con la tradizione cattolica, ma quella di formulare un'immagine assolutamente nuova dell'uomo e del suo rapporto con la realtà. Nello Spaccio della bestia trionfante si afferma: "Non sai come l'Egitto sia l'immagine del cielo? La nostra terra è tempio del mondo, ma tempo verrà che apparirà l'Egitto. Invano esso è stato religioso cultore della divinità. O Egitto, delle religioni tue solamente rimarranno le favole, la morte sarà giudicata più utile della vita, nessuno alzerà gli occhi al cielo. Il religioso sarà stimato insano, l'empio sarà giudicato prudente, il furioso forte, il pessimo buono; ma non dubitare Asclepio, perché dopo che saranno accadute queste cose, allora il Signore, Padre e Dio governatore del mondo, senza dubbio darà fine a tal macchia richiamando il mondo all'antico volto".

Dunque, c'è una posizione del tutto originale, che è quella della religione egiziana e della magia a essa conseguente, fenomeno che si lega al progetto globale di una riformulazione radicale e definitiva della cultura proprio del Rinascimento. Anche Campanella, infatti, parlerà di una instauratio magna della filosofia e delle scienze; anche Telesio ha parlato di una instaurazione da capo del sapere, proprio perché l'uomo che fa cultura non ha più nessuna vincolo, ed in questo senso è realmente l'uomo moderno, che si sente e vive svincolato da qualsiasi condizionamento.

Su questo progetto si innesta una preoccupazione di tipo strettamente politico: Giordano Bruno è filofrancese. Quando soggiorna a Oxford abita a casa dell'ambasciatore di Francia, presso la corte di S. Giacomo. Infatti, la Cena delle Ceneri, che è l'opera programmatica, è la descrizione di una cena, svoltasi nell'ambasciata francese, in cui egli dialettizza con i rappresentanti della cultura ufficiale di Oxford.

Sostanzialmente la sua preoccupazione religioso-politica è quella di operare una mediazione che isoli gli estremismi.

Quali sono per lui gli estremismi? Il regno di Spagna e la sua politica ultrapapale, ultracattolica e il fanatismo luterano. Stando così le cose, lo scontro e inevitabile e la possibilità di ricostruire in Europa una situazione sociale e politica non turbata dagli scontri religiosi si annulla.

Ecco perché intorno ad Enrico III c'è, certamente appoggiato all'azione culturale di Giordano Bruno, il tentativo di tessere le trame di un'alternativa moderata alla controriforma da un lato e al radicalismo luterano, calvinista, protestante e anglicano. La morte di Enrico III e la salita al trono di Enrico IV che si converte perché "Parigi val bene una messa", mette fine a questo progetto.

É fuori discussione che uno potesse pensare di essere mago rinascimentale, cioè di creare un tipo di struttura intellettuale e tecnologica (perché, in fondo, la scienza è un aspetto della tecnologia o, almeno, ha delle applicazioni tecnologiche) per modificare la vita e il comportamento degli uomini e, al di là di esso, i comportamenti sociali e, quindi, la struttura della società ma è chiaro che tale posizione non possa più essere considerata cattolica.

Dunque, la Chiesa con Giordano Bruno si trova di fronte a un fenomeno che ha più volti e che pretende giocare anche un peso di sostanziale rilievo all'interno della politica. Occorre tener presente che sono gli anni in cui il cattolicesimo era ridotto a Italia e Spagna; sono infatti gli anni della massima avanzata del luteranesimo in Europa e, con Elisabetta, della sistemazione dell'anglicanesimo in Inghilterra e Bruno è certamente il ponte fra i settori moderati che sono attorno ad Elisabetta regno di Francia per creare un'intesa moderata.

Che questa sia la sostanza del pensiero di Bruno, credo che si possa più mettere in discussione: mi che sia un dato acquisito dalle ricerche più rea compreso il contributo della Yates, come riconoscimento unanime di tutti gli studiosi, primo fra tutti il Garin, che si erano occupati del problema della filosofia rinascimentale in Italia.

É un fenomeno, dal punto di vista culturale, di assoluta eccezionalità, nuovo e che pretende di essere nuovo, che nelle sue radici travalica, a monte, il cattolicesimo portando a galla una tradizione gnostica, sofistica, magica che ha permeato tutta la tradizione, anche tutta la cultura medievale, senza mai essere completamente eliminata.

Quindi, in Giordano Bruno viene a galla il volto anticattolico della modernità, il massimo della creatività; ma questa creatività, evidentemente, non può che essere "diversa": si tratta di una creatività nuova che prende atto di vivere in un contesto determinato dalla tradizione. La tradizione, però, è sostanzialmente da rinnegare perché il cattolicesimo, come struttura ecclesiale ed ecclesiastica, è per Bruno responsabile della eliminazione della religione naturale universale.

La religione egiziana come religione naturale: è una tematica che tutto il Seicento affronterà, dove viene messo a tema il rapporto fra le religioni naturali e le religioni storiche e se le religioni storiche, e in particolare il cattolicesimo, siano una corruzione o un inveramento delle religioni naturali.

Si tratta perciò di una problematica che vede un mutamento antropologico: questa gente non aveva nessun pregiudizio né rispetto per niente, perché voleva costruire una visione originale dell'uomo e della realtà e portarla, il più rapidamente possibile, dall'aspetto teorico all'aspetto pratico. Quindi, viene recuperata anche quella istanza fondamentale della modernità che si sarebbe espressa compiutamente dopo l'illuminismo, cioè l'ideologicità, ovvero il passaggio dalla teoria alla prassi e la modificazione della prassi, soprattutto della prassi sociale, a partire dalla teoria.

Questo è Giordano Bruno. Egli non è soltanto un frate ribelle; è una personalità che si pone sul piano teorico, pratico, ecclesiale e politico dei problemi che sono assolutamente obiettivi.

Dopo aver chiarito l'immagine, ricordiamo che già nella sua biografia gli studiosi si sono chiesti chi ha finanziato la sua enorme capacità di viaggio, non potendo evidentemente essere pagata da lui stesso. Qualche anno fa un certo filone di studi storici ha individuato la possibilità che egli fosse una spia in Inghilterra a servizio della Francia.

Anche queste ipotesi tendono a indagare livelli di eccezionale complessità nella vicenda bruniana, la quale, nella sua realtà ultima, appare in tutta la sua perspiquità.

3. Arriviamo al processo. Su di esso dobbiamo certamente soffermarci in quanto è questo il punto dello "scandalo" per la storiografia e la cultura laicista.

Qualche mese fa, quasi provvidenzialmente, è uscito in Italia Il processo a Giordano Bruno a cura di Luigi Firpo.

Luigi Firpo è stato un grande filosofo del diritto e della morale, un grande storico della filosofia di formazione laicista, uno dei migliori allievi di Saitta e Gentile, che ha studiato per quasi quarant'anni le carte del processo di Giordano Bruno. Con questi documenti è stato possibile ricostruire con assoluto rigore tutte le vicende giudiziarie di Bruno, ad esempio le varianti delle accuse nelle denunce scritte e nelle accuse orali.

Il processo di Giordano Bruno è il tipico processo inquisitoriale; noi diremmo, provocatoriamente, un processo altamente garantista. Il processo si muove a partire da alcune accuse, orali o scritte, che vengono registrate e di cui viene data immediata notizia a colui che è inquisito perché possa difendersi; sono decine, e son tutti in archivio i memoriali che Bruno stende per rispondere alle singole accuse. Le accuse non hanno valore probatorio se non sono confermate da almeno tre testimoni; per cui, un'accusa di un solo testimone, per esempio il Mocenigo, quello che lo denunziò, viene ritenuta invalida fino agli ultimissimi giorni del processo.

Dopo la conclusione del processo a Venezia, che resta una cosa a parte, inizia la prima fase del processo romano nel 1593. Egli è detenuto a Roma nelle prigioni del S. Uffizio, che sono prigioni che prevedevano che il carcerato avesse una sua cella a disposizione, potesse scrivere, leggere, entrare a contatto periodicamente con quelli che potevano essere coinvolti nella sua difesa. Ogni tre mesi, infatti, gli inquisitori (non soltanto i funzionari, ma i cardinali inquisitori) incontravano i prigionieri, i quali esprimevano le loro istanze, le loro richieste: ci sono documenti in cui Giordano Bruno chiede vestiti pesanti perché fa freddo, chiede una modificazione del vitto perché è sempre quello, chiede di poter leggere e scrivere, chiede penne, inchiostro, breviari, chiede la possibilità di consultare la Summa Theologiae. Quindi, anche dal punto di vista del rapporto con gli accusatori pubblici, il processo è fatto perché l'imputazione possa essere contestata.

C'è, dunque, una prima fase che è quella della individuazione delle accuse, della interrogazione dei testi, della loro verbalizzazione e contestazione, motivo per cui l'udienza si chiama "constituto"; ci sono ventun "constituti" in cui Bruno è presente, in cui vengono contestate le accuse e gli vien dato, normalmente, uno spazio adeguato di tempo per la risposta.

Quando si è in fase di conclusione del processo romano (siamo nel 1595), c'è un intervento diretto del Papa il quale, siccome le accuse hanno messo in evidenza le opere, chiede a una commissione di teologi di valutare se, nella lettura dei testi stampati e anche di quelli non ancora stampati, ma manoscritti, ci siano conferme alle accuse già fatte o nuove accuse. Questa censura (come si dice) dei libri dura due anni: dal 1596 al 1597.

Nel 1597 si rifà integralmente il processo, perché l'Inquisizione richiede che, discussa una prima volta la causa, escussi i testi, archiviate le accuse e risposto l'inquisito alle accuse, non sia sufficiente: è necessaria una ripetizione, che può essere fisica o documentale, cioè il testimone può tornare per riproporre le accuse oppure può affermare, per iscritto, che le accuse precedentemente presentate sono confermate.

Dal punto di vista del rigore giuridico, non si può fare nessuna accusa al processo inquisitoriale perché questo è esattamente lo schema di tali procedimenti.

Alla fine di questo lungo processo (leggendo Firpo ci si rende conto del passaggio) alcune accuse vengono fatte cadere e alcune sono confermate. Le quattordici proposizioni che vengono sottoposte negli ultimi due "costituti" a Giordano Bruno e sui quali gli viene chiesta la ritrattazione, non sono tutte le accuse del primo processo del 1591; non sono neppure quelle del secondo processo del 1594, ma sono ciò che è rimasto di tutta l'azione giurisdizionale di carattere inquisitoriale e che rappresentano qualche cosa nei confronti della quale la Chiesa non può ammettere che un cristiano le affermi impunemente. Esse sono: negare la Transustanziazione, che riprende la quarta accusa della prima denuncia; mettere in dubbio la Verginità di Maria; aver soggiornato in Paesi eretici, vivendo alla loro guisa; aver scritto contro il Papa lo Spaccio della bestia trionfante; sostenere l'esistenza di mondi innumerevoli ed eterni, in una concezione totalmente panteistica, per cui l'universo è Dio e Dio è l'universo, e il rapporto tra l'uno Dio e il mondo è un processo emanativo, quindi sostanzialmente necessitato, e quindi non è più affermato il principio della creazione del mondo da parte di Dio; asserire la metempsicosi e la possibilità che un'anima informi più corpi, ritenere la magia buona e lecita; identificare lo Spirito Santo con l'anima del mondo, quindi dare una versione non cristiana di un dogma fondamentale della fede; affermare che Mosè simulò i miracoli e inventò la Legge; dichiarare che la Sacra Scrittura non è che un sogno; ritenere che perfino i demoni si salveranno; asserire che Cristo non è Dio, ma ingannatore e mago, e che a buon diritto è stato ucciso; asserire che anche i Profeti e gli Apostoli furono maghi e quasi tutti vennero a mala fine.

Ciò che è accaduto negli ultimissimi mesi rimane, anche nello studio delle carte processuali un fatto enigmatico. Giordano Bruno, non soltanto nella fase veneta (1591-1593), ma anche lungo tutto il corso della fase romana si era detto disponibile alla ritrattazione e aveva sostanzialmente ritrattato tutti i punti di più grave frizione con il dogma cattolico e con la disciplina ecclesiastica, ribadendo, nei casi del dogma, che si trattava il più delle volte di discussioni di carattere puramente teorico fatte con gente che non ci credeva; dal punto di vista della disciplina, aveva ribadito che, essendo vissuto come errabondo per tutta l'Europa in Paesi non cattolici, poteva avere certamente assunto un modo di fare e di dire non propriamente ecclesiastico.

Quindi, se si seguono le carte del processo, per quanto riguarda il patrimonio dogmatico-cattolico e la ecclesialità Giordano Bruno è morbidissimo.

La ritrattazione nel processo inquisitoriale comporla sola comminazione di pene canoniche, non di pene civili. Il reo che ha ritrattato, che ha riconosciuto avere sbagliato, al massimo ha una serie di pene cache, nel caso di frati, consistevano nel confinamento in qualche convento e nell'esercizio di una serie di pratiche di pietà da realizzare evitando, quindi, di essere consegnato al braccio secolare, come invece chi non ritrattava. Al contrario, chi non ritrattava assumeva esplicitamente e pubblicamente una posizione alternativa alla Chiesa; e siccome la Chiesa informava la società, consegnava il reo al braccio secolare perché la vicenda da religiosa e canonica assumeva un rilevo di carattere civile.

Ora, è indubbio che il processo stia andando verso la ritrattazione quando accade un evento gravissimo: un anno prima della conclusione un frate che era stato imprigionato a Padova e a Venezia con Giordano Bruno, tal frà Celestino da Verona, che vive in un convento delle Marche e sta ponendo fine ad una condanna di carattere canonico che aveva ricevuto dall'Inquisizione, si presenta spontaneamente a Roma con un accusa circostanziata a Giordano Bruno.

Era un'accusa tremenda, così grave, dice il Firpo che ha studiato le carte, che viene segretata direttamente da Clemente VIII per cui non se ne trova traccia. Essa è comunque un'accusa gravissima, di cui Celestino si dice anch'egli responsabile, tant'è vero che viene giustiziato sei mesi prima di Giordano Bruno.

C'è dunque questo fenomeno aberrante, incomprensibile di uno che sostanzialmente accusa Giordano Bruno di una tale eterodossia e probabilmente di una doppiezza invincibile nei confronti della Chiesa che non solo il suo caso ha una conseguenza tragica, ma che il processo a Giordano Bruno, con una testimonianza così giurata e spontanea, si trova di fronte a una svolta veramente drammatica.

Giordano Bruno sembra sostanzialmente dire: "Sono disposto a ritrattare tutto, meno i principi della mia filosofia".

Questa è la questione. Sostanzialmente il rifiuto di Giordano Bruno è di mettere in discussione, con una istanza culturale e morale come la (Chiesa, il contenuto della sua creatività. I suoi errori dogmatici e la sua disobbedienza erano per lui in fondo degli avvenimenti secondari. Il cuore della sua vicenda umana e culturale era la sua filosofia, questa nuova o antica visione della realtà recuperata e portata in vigore, su cui si poteva in qualche modo creare un momento nuovo della storia dell'umanità. Su tutto avrebbe potuto ritrattare, su questo no.

Ma le proposizioni su cui la Chiesa ha chiesto la ritrattazione sono ugualmente di carattere dogmatico, di carattere disciplinare ed ecclesiastico e di carattere filosofico. Credo che il dramma (e Firpo dice dramma tra la libertà di coscienza e l'autorità) è davvero nel senso che la visione cattolica dell'uomo ritiene che la creatività non sia l'assoluto; la creatività è una capacità soggettiva ed individuale che deve misurarsi con una Presenza che ritiene di essere la rivelazione definitiva dell'Essere, di Dio e che, quindi, in qualche modo si pone come normativa della creatività.

Allora, è indubbio che il processo ha la sua conseguenza inevitabile: il rifiuto della ritrattazione dà alla questione un carattere prevalentemente civile.

La ritrattazione rifiutata comporta l'itinerario solito, cioè la consegna al braccio secolare e l'esecuzione; ma affinché avvenga la ritrattazione dei dieci, quindi dalla comminazione della sentenza all'esecuzione, vi è stato (come ricordano le carte dei processo) un susseguirsi continuo di tentativi di aiutarlo a trattare attraverso i migliori rappresentanti degli Ordini Predicatori di Roma (agostiniani, francescani, gesuiti). Ma Giordano Bruno è irremovibile e, essendo irremovibile, la questione ha la sua conseguenza di carattere civile. Infatti la legge non prevedeva eccezioni: l'itinerario fu seguito fino al suo esito ultimo, fino all'esecuzione capitale.

Vorrei ora fare due osservazioni conclusive, sperando di avervi dato il senso della drammaticità della questione:

- Prima osservazione. Indubbiamente la creatività intesa nel senso moderno della parola è una creatività che, dove la Chiesa ha avuto un suo influsso determinante, si è in qualche modo ridotta, questo è fuori discussione. La controriforma ha rappresentato, dal punto di vista della espressione, della espansione della creatività individuale, un reale ed obiettivo condizionamento. Ma questa creatività di tipo assoluto, in cui l'uomo si concepisce come il creatore della cultura in quanto in qualche modo si concepisce come il creatore della realtà, non può essere pensata puntualmente riferita a Giordano Bruno, il quale non può non essere collegato, al di là della sua vicenda, alla secolarizzazione dell'Occidente e alla nascita di una cultura alternativa a quella cattolica, a quella che dall'Illuminismo in poi si è trasformata sostanzialmente nelle ideologie e nei grandi sistemi totalitari da esse derivati.

Non si può, quindi, idealizzare la creatività nella storia: la creatività non cattolica nella storia dell'Occidente significa la creazione di una società in cui il riferimento religioso viene contestato, dove c'è una presunta centralità dell'uomo cui segue la distruzione ideologica dell'uomo stesso, la sua obiettiva "manipolazione" da parte del potere ideologico.

Noi non facciamo la storia di Giordano Bruno cento anni fa; noi rileggiamo la storia di Giordano Bruno alla fine della parabola moderno-contemporanea, ed è fuori discussione che, al di là di tutta l'enfasi sull'assolutezza della persona, la persona umana alla fine di questa parabola risulta molto più manipolata e negata di quanto non fosse all'inizio.

Quindi, indubbiamente, la creatività riceve un "freno"; ma stiamo attenti a valutare i termini oggettivi e storici di questa creatività.

- Seconda osservazione. Per capire questa vicenda, che è drammatica, si devono rilevare due aspetti ben distinti.

Anzitutto, che il rifiuto del dogma e dell'ethos cattolico implicava sostanzialmente il rifiuto dei fondamenti su cui poggiava la società; se volete un paragone con cui si possono capire certe cose è l'equivalente del terrorismo degli anni '70. Dal punto di vista culturale e sociale è un fenomeno che attacca i fondamenti stessi della società; allora la società e la Chiesa, in quanto forma della società, autorizza la difesa fino all'estrema ratio della soppressione della vita, che non viene giustificata, ma utilizzata come forma estrema di difesa.

É per questo che, senza malignità e senza doppiezza ritengo che l'apparato ecclesiale ed ecclesiastico-sociale non si sentisse personalmente responsabile del delitto, ma si sentisse necessitato ad un intervento particolarmente duro perché era in questione la possibilità stessa dell'esistenza della società, la quale prima di arrivare a questa estrema ratio aveva battuto tutte le strade del convincimento: primo, aveva dato l'esempio di un processo singolarmente oggettivo, senza pregiudizi a priori sulla colpevolezza; secondo, con una preoccupazione che l'accusato potesse prendere conoscenza delle accuse e rispondervi; terzo, l'accertamento che le cose erano obbiettive, cioè l'esistenza di testimonianze e confermavano o addirittura ammissioni proprie 'imputato (Bruno in più di un'occasione ammette: "Sì, ho pensato così, ed ho sbagliato"; ma per quanto riguarda la sua filosofia, in tutte le risposte di Bruno c’è una difesa ad oltranza della originalità del suo pensiero, di cui non si preoccupa e della cui obiezione al contenuto dogmatico fondamentale cattolico non si interessa.

Allora, concludendo, credo che il dramma di Giordano Bruno sia il dramma certamente della libertà di coscienza e della libertà di ricerca che trova sulla sua strada un punto di obiezione radicale, ma motivato in quanto c'è una dissonanza totale dalla dottrina della Chiesa e c'è la volontà a oltranza di rifiutare di rientrare nell'ambito della Chiesa; e, poiché si vive in una società che è influita dalla presenza della Chiesa, questa si difende.

È così oggettiva la preoccupazione che, secondo me, in questo caso l'aspetto morale non passa in secondo piano, ma non è quello rilevante, perché per la giurisdizione del tempo non è rilevante nel senso che quello è un modo in cui la società si difende.

Uno o due secoli dopo si potrà dire: "E una difesa eccessiva, è una difesa colposa" oppure si può obiettare che c'è una evoluzione della coscienza morale personale e sociale che dà alla società strumenti di difesa che non sono di questo tipo; ma tutto questo, secondo me, è secondario nella comprensione della vicenda di Giordano Bruno.

Riassumendo:

1) Si tratta di un fenomeno culturale assolutamente nuovo, che dice la maturità del Rinascimento italiano come capacità di creazione di un'antropologia originale e che vive una volontà di creazione totale di cui la frase "ebbro di Dio" è certamente un'immagine significativa. La vita testimonia questa creatività nell"impegno su più fronti: teorico, filosofico, religioso, politico, ecclesiastico-politico; quindi, fa diventare il fenomeno di enorme importanza.

2) L'aspetto del pensiero lo configura come non più cristiano e che non ha nessuna preoccupazione di affermare il suo non-cristianesimo di affermare una concezione sostanzialmente monistica-panteistica. Lo stesso eliocentrismo di carattere copernicano, ad esempio, viene assunto non in termini scientifici, ma magici; quindi, la visione dell'infinità dei modi, dell'Uno che si esprime nell'infinità dei mondi determina quella che potrebbe essere chiamata una polarizzazione dialettica nell'Essere, per cui l'Essere è insieme uno e molteplice.

Tutto ciò dice certamente il vigore e la genialità filosofica di questo personaggio, ma dice anche la rottura radicale con un passato, che viene valorizzato dove è necessario, perché è un uomo di cultura (ad esempio, quando la posizione che Bruno ha di fronte non è culturale, non rifiuta di difendere il tomismo, perché il tomismo ha più cultura di quello che domina ad Oxford quando vi parla).

Quindi, il fenomeno culturale è di una grande imponenza e di una grande e significativa articolazione.

3) Il processo. Sul processo non c'è niente da dire, trattandosi di un processo oggettivo, di cui il Firpo dice: "La condanna è stata oggettiva. Dal punto di vista giuridico del tempo non esisteva alternativa. Dal punto di vista del procedimento è un procedimento esemplare"; e in questo Firpo dà ragione ad un altro grande storico dei processi inquisitoriali che è il francese Leo Moulin. E un processo altamente garantista, di cui si è in qualche modo tentato di mettere in evidenza l'aspetto delle varietà delle componenti, nessuna delle quali poteva essere ignorata dalla Chiesa: non poteva essere ignorata la visione globale della realtà al di là degli indizi per cui si è anche pensato ad un Improvviso impazzimento, ma sono tutte ipotesi sulle quali sta il fatto grave della testimonianza di frà Celestino da Verona, ma sta soprattutto la non volontà di Bruno di identificare l'aspetto dogmatico con quello filosofico e la difesa a oltranza della propria posizione filosofica contro tutto e contro tutti.

Certamente la creatività ne risulta ridotta, ma non dobbiamo dire come Gentile e come dice la cultura laicista che l'Italia e la Spagna non conoscono la libertà di cultura e di ricerca, mentre la conoscono solo i Paese protestanti.

È indubbio che Giordano Bruno rappresenta un punto di scontro drammatico; però questa creatività va letta storicamente. Essa, infatti, è all'inizio di una parabola in cui la creatività alla fine è servita a distruggere l'uomo. Non diciamo che Giordano Bruno voleva distruggere l'uomo; ma se vogliamo fare un'osservazione storica, dobbiamo legare il 1600 al 1900, che è l'espressione storica coerente di questa creatività assoluta dell'uomo per cui egli diventa padrone della realtà. Ma diventandone padrone, diventa padrone anche dei suoi simili, cioè realizza sui suoi simili un progetto ideologico per il quale non risponde a niente e a nessuno, perché essendo l'ideologo il rivoluzionario può fare dei suoi simili tutto quello che vuole.

Allora, chi ha in qualche modo frenato questa creatività ha certamente ridotto la libertà di ricerca in un punto, ma forse ha anche messo le condizioni perché la parabola non fosse così rovinosa. Questa è almeno un ipotesi da verificare, e io ritengo che la presenza della Chiesa cattolica, che ha duramente contestato una certa antropologia e una certa vita politico-sociale, non ha fatto solamente la difesa dei propri interessi, o la difesa del passato (come dice la storiografia laicista), ma anche creato quello che Giovanni Paolo Il chiama "un grande movimento per la liberazione della persona umana".

Queste sono tutte le osservazioni che, in questa ricerca spassionata e appassionante, io ho fatto ed ho messo a vostra disposizione perché, almeno quando si tratta di una questione così drammatica che coinvolge anche la libertà e la vita della persona, siano evitate le approssimazioni, gli equivoci o le esasperazioni particolari che non servono mai alla comprensione del dramma della storia, ma, semplificando eccessivamente la storia, danno l'illusione di conoscere. Al contrario, al di là di questa illusione di conoscenza, c'è tanta ignoranza; e l'ignoranza è anche sempre fonte di violenza.

Luigi Negri



1 Tratto da False accuse alla Chiesa, Piemme, Casale Monferrato 1997, pp. 145-165.
 
Top
4 replies since 16/12/2006, 20:11   1857 views
  Share