Ecclesia Dei. Cattolici Apostolici Romani

Catechesi di Papa Giovanni Paolo II sull'Inferno

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quaero
view post Posted on 6/10/2006, 14:48     +1   -1




Questa è la Catechesi di Papa Giovanni Paolo II sull'Inferno:

Tratta da: http://www.vatican.va/holy_father/john_pau...8071999_it.html

GIOVANNI PAOLO II
UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 28 luglio 1999




L’inferno come rifiuto definitivo di Dio

Lettura: Gv 3,17-19

1. Dio è Padre infinitamente buono e misericordioso. Ma l’uomo, chiamato a rispondergli nella libertà, può purtroppo scegliere di respingere definitivamente il suo amore e il suo perdono, sottraendosi così per sempre alla comunione gioiosa con lui. Proprio questa tragica situazione è additata dalla dottrina cristiana quando parla di dannazione o inferno. Non si tratta di un castigo di Dio inflitto dall’esterno, ma dello sviluppo di premesse già poste dall’uomo in questa vita. La stessa dimensione di infelicità che questa oscura condizione porta con sé può essere in qualche modo intuita alla luce di alcune nostre terribili esperienze, che rendono la vita, come si suol dire, un “inferno”.

In senso teologico, tuttavia, l’inferno è altra cosa: è l’ultima conseguenza dello stesso peccato, che si ritorce contro chi lo ha commesso. È la situazione in cui definitivamente si colloca chi respinge la misericordia del Padre anche nell’ultimo istante della sua vita.

2. Per descrivere questa realtà, la Sacra Scrittura si avvale di un linguaggio simbolico, che si preciserà progressivamente. Nell’Antico Testamento, la condizione dei morti non era ancora pienamente illuminata dalla Rivelazione. Si pensava infatti per lo più che i morti fossero raccolti nello sheól, un luogo di tenebre (cfr Ez 28,8; 31,14; Gb 10,21s.; 38,17; Sal 30,10; 88,7.13), una fossa dalla quale non si risale (cfr Gb 7,9), un luogo in cui non è possibile dare lode a Dio (cfr Is 38,18; Sal 6,6).

Il Nuovo Testamento proietta nuova luce sulla condizione dei morti, soprattutto annunciando che Cristo, con la sua risurrezione, ha vinto la morte e ha esteso la sua potenza liberatrice anche nel regno dei morti.

La redenzione rimane tuttavia un'offerta di salvezza che spetta all'uomo accogliere in libertà. Per questo ciascuno verrà giudicato “secondo le sue opere” (Ap 20,13). Ricorrendo ad immagini, il Nuovo Testamento presenta il luogo destinato agli operatori di iniquità come una fornace ardente, dove è “pianto e stridore di denti” (Mt 13,42; cfr 25,30.41), oppure come la Geenna dal “fuoco inestinguibile” (Mc 9,43). Tutto ciò è espresso narrativamente nella parabola del ricco epulone, nella quale si precisa che gli inferi sono il luogo di pena definitiva, senza possibilità di ritorno o di mitigazione del dolore (cfr Lc 16,19-31).

Anche l’Apocalisse raffigura plasticamente in uno “stagno di fuoco” coloro che si sottraggono al libro della vita, andando così incontro alla “seconda morte” (Ap 20,13s.). Chi dunque si ostina a non aprirsi al Vangelo si predispone a “una rovina eterna, lontano dalla faccia del Signore e dalla gloria della sua potenza” (2 Ts 1,9).

3. Le immagini con cui la Sacra Scrittura ci presenta l’inferno devono essere rettamente interpretate. Esse indicano la completa frustrazione e vacuità di una vita senza Dio. L’inferno sta ad indicare più che un luogo, la situazione in cui viene a trovarsi chi liberamente e definitivamente si allontana da Dio, sorgente di vita e di gioia. Così riassume i dati della fede su questo tema il Catechismo della Chiesa Cattolica: «Morire in peccato mortale senza esserne pentiti e senza accogliere l’amore misericordioso di Dio, significa rimanere separati per sempre da lui per una nostra libera scelta. Ed è questo stato di definitiva auto-esclusione dalla comunione con Dio e con i beati che viene designato con la parola ‘inferno’» (n. 1033).

La ‘dannazione’ non va perciò attribuita all’iniziativa di Dio, poiché nel suo amore misericordioso egli non può volere che la salvezza degli esseri da lui creati. In realtà è la creatura che si chiude al suo amore. La ‘dannazione’ consiste proprio nella definitiva lontananza da Dio liberamente scelta dall’uomo e confermata con la morte che sigilla per sempre quell’opzione. La sentenza di Dio ratifica questo stato.

4. La fede cristiana insegna che, nel rischio del ‘sì’ e del ‘no’ che contraddistingue la libertà creaturale, qualcuno ha già detto no. Si tratta delle creature spirituali che si sono ribellate all’amore di Dio e vengono chiamate demoni (cfr Concilio Lateranense IV: DS 800-801). Per noi esseri umani questa loro vicenda suona come ammonimento: è richiamo continuo ad evitare la tragedia in cui sfocia il peccato e a modellare la nostra esistenza su quella di Gesù che si è svolta nel segno del ‘sì’ a Dio.

La dannazione rimane una reale possibilità, ma non ci è dato di conoscere, senza speciale rivelazione divina, se e quali esseri umani vi siano effettivamente coinvolti. Il pensiero dell’inferno – tanto meno l’utilizzazione impropria delle immagini bibliche – non deve creare psicosi o angoscia, ma rappresenta un necessario e salutare monito alla libertà, all’interno dell’annuncio che Gesù Risorto ha vinto Satana, donandoci lo Spirito di Dio, che ci fa invocare “Abbà, Padre” (Rm 8,15; Gal 4,6).

Questa prospettiva ricca di speranza prevale nell’annuncio cristiano. Essa viene efficacemente riflessa nella tradizione liturgica della Chiesa, come testimoniano ad esempio le parole del Canone Romano: “Accetta con benevolenza, o Signore, l’offerta che ti presentiamo noi tuoi ministri e tutta la tua famiglia … salvaci dalla dannazione eterna, e accoglici nel gregge degli eletti”.

CIAO :)
 
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quaero
view post Posted on 6/10/2006, 15:19     +1   -1




Così si esprime la Somma di Teologia Dogmatica del Casali sull'argomento:

L’INFERNO

L’INFERNO (= luogo inferiore; in ebraico scèol (Con la stessa parola si indica pure il seno di Abramo) = luogo cavo; in greco ade=luogo oscuro), indica lo stato, il luogo, dove sono puniti i demoni e gli uomini deceduti in peccato mortale.
Nella Scrittura viene chiamato luogo dei tormenti, camino di fuoco, stagno ardente, tartaro, abisso, geenna. Questo ultimo nome era ed è dato a una voragine presso il Cedron a Gerusalemme dove venivano gettati i rifiuti e bruciati per cui quasi di continuo vi ardeva il fuoco.

ERRORI - I SADDUCEI negarono l’esistenza relegandola fra le favole.
ARNOLIO (327) disse che i cattivi dopo un tempo di pena sarebbero stati annientati.
Gli ORIGENISTI negarono la durata eterna, dicendo che un giorno gli Angeli cattivi e gli uomini dannati si sarebbero ravveduti (Un errore simile è stato ripetuto ai nostri giorni nel libro: Il Diavolo, di G. PAPINI, dove viene messo in forma di domanda se un giorno non l’inferno, ma la pena dei dannati debba finire).
Similmente gli UNITARI ed altri PROTESTANTI.
Gli ALBIGESI giudicarono che le anime dei cattivi avessero come punizione un nuovo corpo, dopo di che sarebbero stati liberati.
I SOCINIANI, i PROTESTANTI LIBERALI e i RAZIONALISTI lo negarono affatto.

TESI - Esiste l’inferno dove oltre i demoni, cadono gli uomini che muoiono in peccato mortale dove sono puniti con differenti pene che durano in eterno.

E’ DI FEDE

Sono numerosi i documenti che danno questa definizione.
Il Papa Damaso (D. B. 16); il Simbolo Atanasiano: «Coloro che fecero il bene andranno nella vita eterna, chi invece il male, nel fuoco eterno”. Alessandro VIII (D. B. 1290); Pio VI (D. B. 1526).
Fra i documenti, tre importantissimi sono il Conc. di Lione II (a. 1274, D. B. 464), Benedetto XII nella Cost. Benedictus Deus (D. B. 531) e il Conc. di Firenze (D. B. 693). Essi hanno simili espressioni e riportiamo perciò quelle dell’ultimo: Definiamo «ugualmente che le anime di coloro che muoiono in peccato attuale mortale o anche nel solo originale, subito discendono nell’Inferno, da punirsi tuttavia con pene differenti”.
Abbiamo lasciato per ultima volutamente la definizione del Conc. Laterano IV (D. B. 429) come quella che risponde più direttamente agli errori degli Origenisti, ripetuti oggi: “essi, col diavolo (ricevono) un pena perpetua”.
Anche il Conc. di Costantinopoli (a. 543), confermato da Papa Virgilio condanna gli Origenisti “Se alcuno dice o sente che il supplizio dei demoni e degli uomini è per un determinato tempo, e che un giorno ci sarà la sua fine ossia che avverrà la restituzione e la redintegrazione dei demoni e degli uomini empi, sia scomunicato.
Pio XII nel discorso all’Uunione Giuristi Cattolici d’Italia (Cfr. l’Osservatore Romano 6 Febbr. 1955) dichiara: “La Rivelazione e il Magistero della Chiesa stabiliscono fermamente che, dopo il termine della vita terrena coloro che sono gravati da colpa grave subiranno dal supremo Signore un giudizio ed una esecuzione di pena, dalla quale non vi è alcuna liberazione o condono. Iddio potrebbe anche nell’al di là rimettere una simile pena; tutto dipende dalla sua libera volontà; ma Egli non l’ha mai accordata nè mai l’accorderà... il fatto della immutabilità e della eternità di quel giudizio di riprovazione e del suo adempimento è fuori di qualsiasi discussione”.

SPIEGAZIONE: Le pene differenti corrispondono alla colpevolezza e alla differenza del numero e della gravità dei peccati ma basta un solo peccato mortale per meritare la pena eterna”. «Dio rende a ciascuno secondo le sue opere» (Rom. 2,16).

PROVA: A) - DALLA SCRITTURA:

1) Nell’Antico Testamento:

il Libro dei Numeri (16, 30 s.) parla di Core, Dathan, Abiron sotto i cui piedi si apre la terra e «discendono nell’inferno”.
Il libro Giuditta (16,20-21) dice che Dio nel giorno del Giudizio visiterà i cattivi e “darà loro il fuoco e il verme nelle loro carni, perchè siano bruciati e soffrano per tutta l’eternità”.
Il Salmo 48: “Andrà al ceto dei suoi padri che in eterno non vedranno luce”.
Ci dispensiamo dal portare altre numerose testimonianze.

2) Nel Nuovo Testamento. Moltissime volte Gesù parla della dannazione dei cattivi: “chi avrà detto stolto al fratello è reo della Geenna di fuoco” (Mt. 5,22): I Giudei che respingono la fede «saranno gettati nelle tenebre esteriori dove è pianto e stridore di denti” (Mt. 8,11-12); così all’invitato a nozze che entra senza veste nuziale (Mt. 22 1-14); ecc.
La dannazione è eterna: “Chi bestemmierà lo Spirito Santo non avrà la remissione in eterno, ma sarà reo di eterno delitto” (Mc. 3, 29; Mt. 12,22).
Gesù quando dice di togliere la mano o l’occhio che scandalizza, conclude che è meglio entrare nella vita eterna privo di essi, che con essi andare nella Geenna “dove il verme non muore e il fuoco non si estingue” (Mc. 9,41 ss.; Mt. 18,8 ss.).
Come abbiamo veduto Gesù nella sentenza finale dirà ai cattivi: «Andate maledetti al fuoco eterno.., e andranno questi nel supplizio eterno; e i giusti nella vita eterna” (Mc. 9,42 43). Dai sepolcri “usciranno quanti fecero il bene in resurrezione dl vita, quanti poi fecero il male in resurrezione di condanna” (Gv. 5,29).
Da questi ultimi testi si vede il parallelismo fra la vita e la condanna eterna. Come eterno è il premio, così eterno è il castigo.
Così molti altri testi, fra cui il seguente: “Chi crede nel Figlio ha la vìta eterna chi invece è incredulo nel Figlio, non vedrà la vit4, ma rimarrà su di lui l’ira di Dio” (Gv. 3,36).
Gli Apostoli continuano l’insegnamento del Maestro, insistendo molto su questa verità. Ne diamo alcuni accenni: “Non sapete che gli iniqui non possederanno il Regno di Dio?” (1 Cor. 6,9); «i quali saranno perduti nelle pene eterne lontani dalla faccia del Signore e dalla gloria della sua potenza” (2 Tess. 1,9).
S. Pietro (2, 2-12 ss.) parlando di coloro che bestemmiano ciò che ignorano afferma che “periranno nella loro corruzione.
S. Giuda (6, s.) parlando dei cattivi: «A somiglianza degli Angeli ribelli sosterranno «la pena del fuoco eterno”, e che è «loro riservata in eterno la procella di tenebre”.
S. Giovanni nell’Apocalisse (20, 13; e 21, 8) parla di una seconda morte che consiste “nell’inferno in unO stagno di fuoco".

B) - DALLA TRADIZIONE: S. Ignazio (Ep. 16,1) parlando di un eretico afferma che “andrà nel fuoco inestinguibile”.
Per S. Giustino (Apol. 1, 21) coloro che vivono malamente e non si convertono “sono puniti col fuoco eterno”.
Così S. Ireneo insegna come verità cattolica che “gli uomini empi, ingiusti, iniqui, blasfemi, sono messi nel fuoco eterno”.
Questo insegnamento che come si vede veniva ammesso unanimemente, ebbe una accentuazione per parte dei Padri che seguirono Origene il quale dopo averlo ammesso cade nella incertezza riguardo alla eternità delle pene. Potremmo fare una lunga citazione, ma ci contentiamo solo di portarne qualcuna.
S. Efrem (Sermo de fine 8): ci insegna che «non ci sarà la fine dei tormenti del peccatore, nè riposerà per un piccolo istante dalla pena che punisce il peccato, perchè durerà in eterno e in nessun tempo mai sarà sciolta”.
S. Agostino (De Cic. Dei 21, 23), afferma che nel giudizio finale come sarà dato per tutta l’eternità il premio, così per tutta l’eternità sarà data la pena.

C) - LA RAGIONE conferma la giustezza della eternità delle pene. C’è discussione se la ragione da sola lo possa dimostrare, smarrendosi dinanzi al grande mistero, ma certamente dimostra che non va contro alcuno degli attributi divini (Cfr. Pio XII, discorso citato). Essa fa vedere come non sarebbe giusto che ricevessero la stessa ricompensa tanto i buoni che i cattivi.
Riguardo alla durata della pena dobbiamo tener presente:
1) mentre in vita l’uomo può dirigersi verso Dio o allontanarsi da Lui, avvenuta la morte, l’anima resta immobile nella sua decisione. Se è contro Dio resterà contro Dio per sempre, quindi per sempre degna di castigo.

2) l’eternità non è una successione di momenti come il tempo, ma è: “la possessione perfetta e tutta insieme di una vita interminabile” (Boezio). Non c’è quindi, un prima o un poi, ma grava sul soggetto tutta insieme. Quindi, chi è dannato oggi è dannato per sempre.

Le pene dell’inferno

I Teologi distinguono due ‘pene nell’Inferno: quella del danno e quella detta del senso.
Esse corrispondono a ciò che ha fatto l’uomo col peccato:
si è allontanato da Dio - e resta allontanato per sempre da Lui con la pena del danno - e si è attaccato alle creature - e con queste resterà per sempre ricevendo da loro il tormento colla pena del senso.

PENA DEL DANNO. Essa è la privazione della visione beatifica, cioè la visione e il possesso di Dio, perduto per sempre. Esso è perduto come fine soprannaturale e anche come fine naturale.
In questa vita ci è difficile comprendere la somma gravità di questa pena che è immensamente più grande di tutte le altre, perchè si tratta della perdita del bene infinito che è Dio, per il Quale eravamo stati creati. Nell’altra vita, invece, non più accecati dai beni sensibili, ne sarà compresa in pieno la gravità. Quaggiù si cerca di farlo capire rappresentando per esempio la separazione di un figlio dalla madre, ma ciò non è che una pallida ombra.
Colla privazione della visione di Dio c’è anche la privazione di tutti i beni, quali la familiarità colla Madonna, gli Angeli, i Santi e tutte le gioie del Paradiso. Questa pena sarà tanto più acerba quanto più si vedrà che era facile la salvezza, le grazie numerosissime che Dio aveva dato per salvarci, l’infinita rinunzia fatta nel lasciare Dio per una misera creatura e per il piacere avvelenato di un momento. I dannati perciò saranno presi dalla più cupa disperazione trovandosi in quello stato eternamente per propria colpa. Vedendo i giusti salire al cielo «saranno turbati da un timore orribile.., dicendo dentro di sè, pentiti e gementi per l’angoscia dello spirito: .. Noi insensati che giudicavamo la loro vita una pazzia e il lorà fine senza onore. Ecco come sono stati annoverati fra i figli di Dio, e fra i Santi è la loro sorte” (Sap. 5,1 ss.).
Quantunque la Chiesa non ci abbia dato definizioni sulla intima natura delle pene infernali, è di fede che c’è questa pena del danno. Il Conc. Fiorentino dice che saranno «puniti all’inferno con pene differenti.”. La prima pena è certamente quella di essere allontanati e maledetti da Dio, quindi esclusi dalla sua visione, come dirà Gesù nell’ultimo giorno: «Andate via da me maledetti» (Mt. 25,12).

LA PENA DEL SENSO. Si chiama così non in quanto sia sentita solo dai sensi del corpo - poichè i demoni per sempre e le anime fino al giorno del giudizio non hanno il corpo - ma in quanto con cose sensibili viene tormentato e spirito e corpo. Quindi il fuoco, le tenebre, le grida e lo stridore dei denti, l’orrore del luogo e ogni altro male senza alcun bene costituiscono questa pena.
Lo si può rilevare dalle varie espressioni riportate con cui la Scrittura ricorda il “luogo dei tormenti”.
La spiegazione comune dei Padri e dei Teologi ci dice la stessa cosa, per cui tutte le pene della terra non sono paragonabili col più piccolo tormento dell’inferno.
Fra tutte queste perle, quella su cui la Scrittura insiste di più è la pena del fuoco: «Andate maledetti nel fuoco eterno” (1. c.). Così la Tradizione.
Alcuni di fronte alla difficoltà che il fuoco tormenti gli spiriti si sono domandati se debba intendersi in senso fisico e reale oppure metaforico. Risponde il Suarez (De Angelis 8):
“E sentenza certa e cattolica che il fuoco... è un vero e proprio fuoco corporeo”.
La Sacra Penitenzieria il 30 aprile 1890 di fronte a questo dubbio rispondeva che chi si fosse ostinato a non credere a un fuoco reale non poteva essere assolto. Nel tentare di darne spiegazione non tutti i Teologi convengono nella stessa sentenza: S. Tomaso parla di una unione locale fra lo spirito e il fuoco “in modo di un legamento” per cui in qualunque luogo si trovi lo spirito è sempre preso dal fuoco.
Il Suarez giudica che questo fuoco ha in sè una qualità spirituale e soprannaturale per cui gli spiriti vengono tormentati secondo la loro natura.
Il Lessio dice che come in questa vita il fuoco bruciando il corpo fa soffrire anche l’anima, così nell’altra può prendere direttamente lo spirito.
Qualunque spiegazione si voglia dare di questo fuoco reale che tormenta e corpi e spiriti, certamente a Dio non manca il modo di far sì che il fuoco possa far penare gli spiriti, per cui concludiamo con S. Agostino (De Civ. Dei 21,10): «Sono afflitti con modi meravigliosi, ma veri modi”,
I Santi dicono che il fuoco dell’Inferno creato da Dio per adempiere la sua giustizia è tanto più tremendo del più ardente fuoco della terra, creato dalla sua misericordia per il nostro uso per cui questo non è che un’ombra di fronte a quello.

Fuoco non splendente ma tenebroso, che tormenta al di fuori e al di dentro di ogni membro, fino all’intimo dell’anima senza consumare e distruggere.

LA DURATA DELLE PENE. Abbiamo detto altrove della DURATA ETERNA delle pene DIFFERENTI secondo la punizione dovuta a ciascun dannato e IMMUTABILI per sempre. Ciò per quanto riguarda la pena sostanziale. Nell’Inferno “non vi è nessuna redenzione”. Però vi è anche una pena accidentale dovuta ai peccati veniali e ai mortali rimessi in quanto alla colpa. Secondo la sentenza più probabile seguita da S. Tomaso e Scoto questa pena accidentale può diminuire entro il giorno del giudizio; altri però lo negano.
IL LUOGO. La Scrittura e la Tradizione non lo dicono. I Padri e i Teologi giudicano però che non sia soltanto uno stato ma anche un luogo. Per questo concludiamo col Crisostomo: «Non cerchiamo dove sia l’Inferno, ma come lo possiamo evitare”.


CIAO :)
 
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quaero
view post Posted on 6/10/2006, 16:01     +1   -1




Veniamo alle critiche indirette.

http://www.cattolicigenovesi.org/archivio_13.html

L'INFERNO È UN ASSURDO?


Un settimanale cattolico ad un quesito posto da un lettore se l’inferno è: “un retaggio del terrore medievale, la cui eternità è assurda, come assurda è l'idea di un Dio vendicativo”. Il teologo Giordano Frosini risponde: “L‘argomento proposto dal lettore riguarda una questione dibattuta da tempo nell'ambito della teologia: sull'inferno la ricerca ha fatto grandi progressi negli ultimi anni, procedendo in diversi casi ben oltre le idee tradizionali.(..) Il problema fondamentale rimane quello di conciliare, «un Dio di infinito amore e ricco di misericordia con una punizione così tremenda, sproporzionata e irrevocabile come l'inferno.
A differenza del passato, noi possiamo ragionare sulla base di una migliore comprensione della rivelazione (…)
Anzitutto il pensiero che la condizione infernale non è un castigo di Dio né, men che mai, una sua vendetta. Oggi si tende a parlare, e giustamente, non tanto di dannazione, quanto di auto-dannazione.
Dio vuole la salvezza degli uomini e tutto dispone perché il fine della creazione sia pienamente realizzato.
Dio non vuole la condanna dei suoi figli nemmeno in nome della giustizia: i ragionamenti anche di San Tommaso sono ormai per noi inutilizzabili. Dinnanzi a colui che gli si rifiuta, Dio soffre, si sente frustrato, subisce una sconfitta, se vogliamo, affronta la più grande delle sue umiliazioni In qualche modo, quando ha creato l'uomo libero, Dio ha rinunciato alla sua onnipotenza. E l'inferno è la riprova ultima della libertà dell'uomo.
La dannazione è cosi tutta dalla parte dell'uomo. Anche sulla natura dell'inferno nella riflessione teologica si registrano novità o meglio, si è ritornati con più coerenza alle primitive e tradizionali impostazioni, che consideravano la perdita di Dio (la pena deI danno) come l'essenza stessa della dannazione: l'immagine del fuoco - tanto frequente nell'iconografia e nelle descrizioni letterarie - significa semplicemente che anche il corpo è interessato allo stato del dannato.
Rimane da specificare meglio il peccato che porta all'inferno. Deve trattarsi di un peccato tremendamente serio (nel linguaggio tradizionale si definiva "peccato mortale"), non di una " bagatella", come è stato detto da qualcuno, di uno stato più che di un atto. L'ipotesi dell'opzione finale illumina non poco anche questo mistero.

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Dalla risposta si deduce che il buon Dio non ci può mandare all’inferno perché sarebbe vendicativo e i ragionamenti di San Tommaso sulla giustizia sono ormai inutilizzabili.
Per ogni individuo che va all’inferno Dio piange si dispera, si sente umiliato e sconfitto.
L’inferno esiste solo come prova di libertà dell’uomo che si autocondanna con la sua scelta.
Nell’inferno non ci sono fiamme.
Infine, per meritare l’inferno non basta una “bagattella” un semplice atto grave ma di uno stato di peccato.

Per il teologo Giordano Frosini come per molti esponenti della nuova teologia che apprezzano le cose di questo mondo, non è “l’uomo immagine e somiglianza di Dio” ma “Dio come immagine dell’uomo”.
Dio che piange, si dispera si sente umiliato e sconfitto è ciò che non può accadere. Dio non può ne soffrire ne patire e soprattutto non ha rinunciato alla sua onnipotenza. Sembra più un’immagine della mitologia greca che della teologia cristiana.
Il premio ed il castigo fa parte della giustizia di Dio. Il modello scelto da Dio per la creazione prevede queste cose e queste cose sono volute. Del resto il Vangelo dice esplicitamente di temere non tanto chi ti può togliere la vita quanto chi ti può punire con la pena eterna. È presunzione collocare il piccolo Frosini al di sopra di San Tommaso.
Che l’inferno sia la perdita di Dio è verissimo, che sia uno stato anche ma è pure un luogo visto che c’è la risurrezione della carne. Se vi deve essere una partecipazione anche del corpo noi non possiamo escludere niente neanche il fuoco. Del resto con cosa possiamo sostituire i patimenti dell’inferno forse con un mal di pancia? Visioni di Santi, indicazioni del Vangelo parlano di fiamme; quindi prima di esprimere altre valutazioni bisogna saperne di più. Quanto al peccato che nel linguaggio tradizionale si definiva “peccato mortale” per certi teologi parola caduta in disuso, addirittura deve essere uno stato di peccato. Come dire non basta un peccato ma si deve essere peccatori abituali e convinti. Tutte tesi che attingono alimento dall’andazzo della società attuale dove si trova che tutti sono buoni e se si combina qualcosa di male la colpa è della società. In tutto questo c’è tanto amor di Dio ma il timor di Dio è rimasto sepolto nei vecchi libri impolverati delle biblioteche, per i giovani di adesso è un termine sconosciuto. A chi il demerito?

RINO TARTAGLINO

http://www.cattolicigenovesi.org/cultura_giu03.html

I CASTIGHI DI DIO??QUANDO ERAVAMO BAMBINI CI DICEVANO CHE NON BISOGNAVA FARE PECCATI ALTRIMENTI DIO CI AVREBBE CASTIGATI. LA PUNIZIONE POTEVA AVVENIRE NELL'ALDILA' PER CHI MORIVA IN CONDIZIONE DI PECCATO MORTALE; A VOLTE ANCHE SU QUESTA TERRA CON LO SCOPO DI DARCI L'OCCASIONE PER RAVVEDERCI E SALVARCI L'ANIMA. ALCUNI TEOLOGI PIU' AGGIORNATI NON PARLANO PIU' DI CASTIGHI DI DIO, PERCHE' RITENGONO CHE L'AMORE DI DIO SIA INCOMPATIBILE CON UNA PENA ETERNA. QUANTE VOLTE ABBIAMO SENTITO DIRE: "SE L'INFERNO ESISTE FORSE E' VUOTO" . MOLTI PER ACCETTARE L'IDEA DELLA PUNIZIONE ETERNA RISOLVONO IL PROBLEMA DICENDO CHE L'UOMO QUANDO COMMETTE PECCATO SI STACCA DA DIO, LO RIFIUTA E QUINDI LA PUNIZIONE E' UNA AUTOPUNIZIONE. L'UOMO SI PUNISCE DA SOLO. COSI' TUTTO VA A POSTO, DIO CHE AMA INFINITAMENTE GLI UOMINI NON LI PUNISCE PERCHE' LO FANNO GIA' DA SOLI, LA GIUSTIZIA INFINITA VUOLE CHE I GIUSTI SIANO PREMIATI E I COLPEVOLI PUNITI VIENE UGUALMENTE RISPETTATA. SECONDO QUESTA TEORIA, IL BUON DIO HA CREATO GLI UOMINI, LI HA IMMESSI IN UN MONDO DI REGOLE CHE FUNZIONANO AUTOMATICAMENTE. IL BUON DIO QUINDI DOPO LA CREAZIONE DORME UN SERENO SONNO BEATO. IN REALTA' DIO NON DORME PER NIENTE, CONTINUA LA SUA OPERA PER IL BENE DELL'UOMO E SE HA SCELTO DI FAR VIVERE L'UOMO IN QUESTO MONDO CON QUESTE LEGGI E' VOLONTARIAMENTE RESPONSABILE NEL DECRETARE IL PREMIO O IL CASTIGO DI OGNI UOMO. SAREBBE VERAMENE INCOERENTE SE DIO, GIUSTIZIA INFINITA, CREASSE PREMI E CASTIGHI E NON SI ASSUMESSE LA VOLONTA' DEI MEDESIMI.?
Rino Tartaglino


Che vuol dire che Dio è "volontariamente responsabile", "assumesse la volontà dei medesimi" visto che la Chiesa ha condannato come eresia la teoria della doppia predestinazione di Calvino?
Che ne pensate delle critiche e della Catechesi del Papa?

CIAO :)
 
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dante pastorelli
view post Posted on 6/10/2006, 16:30     +1   -1





Lasciamo perdere il Frosini che ne dice di cotte e di crude.
Un Dio che è somma Giustizia ha stabilito il premio ed il castigo.
Ha dato ll'uomo il libero arbitrio. Proprio per rispetto alla libertà dell'uomo ed alla Sua giustizia lascia che sia l'uomo ad assumersi la responsabilità della scelta. Non può coartare la sua volontà inducendolo alla scelta che Lui, nel Suo amora, vorrebbe fosse fatta.
 
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quaero
view post Posted on 6/10/2006, 17:46     +1   -1




Di solito mons. Frosini viene indicato come grande teologo, almeno qui a Pistoia, io ho letto qualche suo articolo sull'ecumenismo e non mi tornano molto.

Per restare sull'argomento, mi capitò di leggere un articolo di un Sacerdote sedevacantista sull'argomento dei Novissimi. In quell'articolo il Sacerdote criticava molto Catechesi del Papa contrapponendola ad argomenti molto simili a quelli descritti dal Casali. In pratica la conclusione era che Papa Giovanni Paolo Secondo aveva detto delle eresie.
Calunnia grave questa, se Raimundus mi darà il permesso pubblico l'articolo.
Comunque tra la Catechesi del Papa e quanto riportato nel Casali non ci vedo nessuna contraddizione.
Alla fine il tutto si sintetizza nelle 3 righe del discorso di Dante.

CIAO :)
 
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dante pastorelli
view post Posted on 6/10/2006, 18:34     +1   -1




L'unico prete veramente dotto ch'io ho conosciuto a Pistoia, ora ultraottantenne se è sempre in vita (abbiamo insegnato insieme al Pacini, dove io sono stato dal 67 al 70) è don Mario Leporatti. Poi ne ho conosciuto di mediocri, ed anche uno spretato diventato sociologo, Nesti.
 
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quaero
view post Posted on 7/10/2006, 12:51     +1   -1




CITAZIONE
è don Mario Leporatti.

Ne ho sentito parlare molto bene come di un Santo, è ancora in vita. Penso sia all'interno della Curia della Diocesi. Comunque ora cambia il Vescovo.

In un articolo un Sacerdote sedevacantista forza il testo della Catechesi del Papa. In pratica secondo lui il Papa avrebbe negato la pena del senso e la Giustizia di Dio.
Accusa questa assolutamente falsa: il Papa vuole prendere le distanze dalla teoria eretica calvinista della doppia predestinazione.
Dio ha stabilito con la Sua Volontà il libero arbitrio umano, il premio ed i castigo. Sta all'uomo scegliere con la sua responsabilità. L'ordine creato da Dio non si può cambiare, in Dio non c'è mutamento.
Il Papa non ha affatto negato che l'Inferno, Purgatorio e Paradiso siano dei luoghi.

Il Papa NON ha detto che l'Inferno è vuoto:
http://www.totustuus.it/modules.php?name=F...c11f64ca7382d76

CIAO :)
 
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dante pastorelli
view post Posted on 7/10/2006, 13:03     +1   -1




Se lo vedi, ormai da anni non l'incontro - prima si facevan le cene tra prof. ed alunni - salutalo, don Mario.
Quante battaglie in quegli anni duri abbiam combattuto contro i professori rivoluzionari nei collegi dei docenti che finivano a mezzanotte, mai contro i ragazzi che ci stimavano e amavano e alle nostre ore erano sempre in classe anche quando erano in sciopero!
Evidentemente qualcosa sapevamo trasmetter loro.
 
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quaero
view post Posted on 7/10/2006, 13:08     +1   -1




Presenterò :)

Ne ho sentito parlare molto bene da amici che conoscono bene la Curia.
Tra poco ci manderanno un nuovo Vescovo, quando arriva lo annuncerò nella sezione Toscana.

CIAO :)
 
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dante pastorelli
view post Posted on 7/10/2006, 13:18     +1   -1




Si fanno diversi nomi, tra cui quello di Maniago, ausiliare di Firenze, sempre che non vada a Pisa. E' uomo (in tutti i sensi, coi tempi che corrono è ben essere chiari)) disponibile all'ascolto. Non ha prevenzioni nei nostri riguardo, anche se, ovviamente, è molto conciliare. Ma sino ad oggi s'è dimostrato saggio e corretto. E non ha la lingua biforcuta.
 
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quaero
view post Posted on 7/10/2006, 19:25     +1   -1




Tratto da:http://www.paginecattoliche.it/modules.php?name=News&file=article&sid=403

CITAZIONE
Qui l'abbiamo voluto solo accennare per indicare che le immagini (fuoco, verme ecc.), proprie del giudaismo ai tempi di Gesù, devono essere prese per quello che sono, ossia come immagini, e non come affermazioni letterali.
Su questa base di indiscussa esegesi biblica appare quanto sia superficiale ed antibiblica l'affermazione dei tdG, secondo cui la Chiesa Cattolica insegnerebbe l'esistenza di un inferno di fuoco letterale, dove i dannati sarebbero arrostiti per tutta l'eternità. E' chiaro che né la Bibbia e tanto meno la Chiesa Cattolica ha mai detto o dice simili idiozia.

Che ne pensate, qui mi sa che il confutatore dei TdG abbia un po' sbagliato.

CIAO :)
 
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dante pastorelli
view post Posted on 7/10/2006, 20:09     +1   -1




Il verme è il rimorso senza penitenza che alimenta la rabbia e la bestemmia contro Dio. La maggior parte dei teologi classici pensano ad un fuoco reale che brucia i dannati senza consumarli e incenerirli, in modo misterioso. Varie sono le spiegazioni che sono state date.
Un'interpretazione allegorica del fuoco non è eretica: le anime soffrono per la rivolta di tutto il creato contro di loro che li stringe in un dolore atroce come quello provocato dal fuoco.
Comunque reale o simbolico, cerchiamo di evitar di caderci dentro!
 
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quaero
view post Posted on 8/10/2006, 07:59     +1   -1




CITAZIONE
rimorso senza penitenza

Non sono sinonimi?
Il pentimento è il dispiacere dei peccati, l'odio dei peccati ed il fermo proposito di non farne più in avvenire.
Rimorso è anche quello dispiacere ed odio al peccato?
CIAO :)
 
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dante pastorelli
view post Posted on 8/10/2006, 11:31     +1   -1




Rimorso, in quel caso, è la consapevolezza d'aver sbagliato che tuttavia non porta al pentimento: anzi moltiplica l'odio verso Dio, gli altri e se stessi. E' un rimorso-pena, rimorso-disperazione.
 
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Raimundus
view post Posted on 27/8/2007, 10:27     +1   -1




Pubblichiamo il commento di padre Raniero Cantalamessa, OFM Cap. – predicatore della Casa Pontificia –, alla liturgia di questa domenica, XXI del tempo ordinario.


* * *



XXI Domenica del tempo ordinario
Isaia 66, 18-21; Ebrei 12, 5-7.11-13; Luca 13, 22-30

ENTRARE PER LA PORTA STRETTA



C'è una domanda che ha sempre assillato i credenti: sono molti o pochi quelli che si salvano? In certe epoche, questo problema è diventato così acuto da gettare alcune persone in una angoscia terribile. Il Vangelo di questa Domenica ci informa che un giorno questo problema fu posto a Gesù: "Mentre era in cammino verso Gerusalemme, un tale gli chiese: Signore, sono pochi quelli che si salvano?" La domanda, come si vede, verte sul numero; in quanti ci si salva: in molti o in pochi? Gesù, rispondendo, sposta il centro dell'attenzione dal quanti al come ci si salva, cioè entrando "per la porta stretta".

È lo stesso atteggiamento che notiamo a proposito del ritorno finale di Cristo. I discepoli chiedono quando avverrà il ritorno del Figlio dell'uomo e Gesù risponde indicando come prepararsi a quel ritorno, cosa fare nell'attesa (cfr. Mt 24, 3-4). Questo modo di fare di Gesù non è strano o scortese. È semplicemente l'agire di uno che vuole educare i discepoli a passare dal piano della curiosità, a quello della vera sapienza; dalle questioni oziose che appassionano la gente, ai veri problemi che servono per la vita.

Già da questo possiamo capire l'assurdità di quelli che, come i Testimoni di Geova, credono di sapere addirittura il numero preciso dei salvati: centoquarantaquattromila. Questo numero che ricorre nell'Apocalisse ha un valore puramente simbolico (il quadrato di 12, il numero delle tribù d'Israele, moltiplicato per mille) ed è spiegato immediatamente dall'espressione che segue: "una moltitudine immensa che nessuno poteva contare" (Ap 7, 4.9).

Oltre tutto, se quello è davvero il numero dei salvati, allora possiamo chiudere subito bottega, noi e loro. Sulla porta del paradiso ci deve essere appeso da tempo, come all'ingresso di certi parcheggi, un cartello con la scritta "Completo".

Se, dunque, a Gesù non interessa tanto rivelarci il numero dei salvati, quanto il modo di salvarsi, vediamo cosa egli ci dice a questo riguardo. Due cose sostanzialmente: una negativa, una positiva; prima, ciò che non serve, poi ciò che serve per salvarsi. Non serve, o comunque non basta, il fatto di appartenere a un determinato popolo, a una determinata razza, tradizione, o istituzione, fosse pure il popolo eletto da cui proviene il Salvatore. Ciò che mette sulla strada della salvezza non è un qualche titolo di possesso ("Abbiamo mangiato e bevuto intua presenza…"), ma è una decisione personale, seguita da una coerente condotta di vita. Questo è più chiaro ancora nel testo di Matteo che mette in contrasto tra di loro due vie e due porte, una stretta e una larga (cf. Mt 7, 13-14).

Perché queste due vie sono chiamate rispettivamente via "larga" e via "stretta"? È forse la via del male sempre facile e piacevole da percorrere e la via del bene sempre dura e faticosa? Qui c'è da fare attenzione per non cadere nella solita tentazione di credere che tutto va magnificamente bene quaggiù ai malvagi e tutto invece va sempre storto ai buoni. La via degli empi è larga, sì, ma solo all'inizio; a mano a mano che ci si inoltra in essa, diventa stretta e amara. Diventa, in ogni caso, strettissima alla fine, perché finisce in un vicolo cieco. La gioia che in essa si prova ha come caratteristica di diminuire via via che la si gusta, fino a generare nausea e tristezza. Lo si vede in certi tipi di ebbrezze, come la droga o l'alcol, il sesso. Occorre una dose o uno stimolo sempre più grande per produrre un piacere della stessa intensità. Fino a che l'organismo non risponde più ed è lo sfacelo, spesso anche fisico. La via dei giusti invece è stretta all'inizio, quando la si imbocca, ma poi diventa una via spaziosa, perché in essa si trovano speranza, gioia e pace del cuore.
 
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14 replies since 6/10/2006, 14:30   4624 views
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